Percorso:
Nicola Tranfaglia (Unità 09/05/06) Parole chiare sulla Costituzione

Finita, con i risultati noti, la più aspra campagna elettorale degli ultimi decenni si avvicina un'altra scadenza importante per gli italiani che si riconoscono nell'Unione di Romano Prodi. Da una parte i partiti del centro-destra cercano di affrontare compatti la battaglia per la revisione costituzionale, dall'altra persino in alcune frange dello schieramento di centro-sinistra corrono voci di scarso impegno o di volontà di accordi con gli avversari sul referendum del 25-26 giugno prossimo che segnerà il mantenimento della costituzione repubblicana o la nascita di una repubblica retta da un pericoloso pasticcio, foriero di gravi conseguenze sui principi oltre che sulla seconda parte della carta del 1948.

È un pericolo assai grave che va denunciato e combattuto subito con la riaffermazione delle ragioni che dovranno portare gli italiani a recarsi a votare e a dire no al quesito referendario.

Vale la pena perciò chiarire ancora una volta perché la revisione ideata dai cosiddetti «saggi» del Cadore (il notaio abruzzese Andrea Pastore, il dentista bergamasco Roberto Calderoli, l'avvocato siciliano Domenico Nania, il professore di diritto salernitano Francesco D'Onofrio) costituisce nello stesso tempo un vero e proprio smantellamento della costituzione repubblicana e del suo complesso sistema di poteri e un pasticcio politico e giuridico che non può funzionare.

Per quanto riguarda il primo aspetto è agevole da spiegare.

Il sistema dei poteri che oggi prevede organi di decisione e di controllo in grado di impedire che un solo organo costituzionale controlli le scelte importanti si trasforma in un sistema che prevede un primo ministro(scelto dagli elettori ma non più nominato dal capo dello Stato né investito dalla fiducia parlamentare) che è in grado di presentare e far approvare le proposte di legge alle due Camere e ricattarle minacciando il loro scioglimento che dipende esclusivamente dalla sua volontà.

I due organi di controllo e garanzia costituzionale che oggi possono intervenire se atti legislativi o dell'esecutivo sono in contrasto con la carta costituzionale sono messi in condizione di non nuocere e non ostacolare l'azione del primo ministro.

Il capo dello Stato che non nomina più il primo ministro né interviene nella nomina o nella revoca dei ministri non può più pronunciarsi sullo scioglimento delle Camere.Conserva una funzione schiettamente decorativo nella legge di revisione già approvata due volte nell'ultima legislatura.

La Corte costituzionale, a sua volta, cambia nei meccanismi di formazione e non può più esercitare per la sostanziale parità dei membri di nomina politica e di nomina istituzionale e tenderebbe fatalmente a schierarsi con il governo cioè con il primo ministro e a non esercitare più la funzione finora esercitata di difesa puntuale e pignola della costituzione scritta e dei suoi principi.

«Un presidente del consiglio trasformato in un ducetto a termine - ha osservato giustamente Michele Ainis nel suo recentissimo saggio su style="font-style: italic;">Vita e morte di una costituzione. Una storia italiana pubblicato da Laterza - che le Camere possono licenziare soltanto con il suo accordo; tanto per dire se questa riforma fosse stata in vigore nel luglio 1960, quando il governo Tambroni mandò la polizia a sparare contro i dimostranti, nessuno avrebbe potuto scalzarlo dalla sedia».

Se a tutto questo si aggiunge che il meccanismo di formazione delle leggi è confuso e pasticciato e passa dall'attuale bicameralismo perfetto a un alternarsi di competenze della Camera e del futuro Senato federale con prevedibili conflitti costanti e che la divisione delle competenze tra lo Stato e le regioni provocheranno situazioni imbarazzanti e negative per il principio di eguaglianza degli italiani si ha un quadro ancora sommario, ma verosimile, degli effetti profondamente negativi che potranno scaturire dalla vittoria del referendum da parte del centro-destra.

In altri termini, se non riusciremo a respingere la legge di revisione costituzionale, correremo il rischio assai concreto dello smantellamento del sistema politico-istituzionale del paese sostituito non da una riforma moderna e funzionale bensì da un forte accentramento dei poteri, dal tramonto di un'equa divisione tra i tre poteri dello Stato e di un federalismo che attribuisce alle regioni rette da maggioranze che non hanno principi generali cmuni competenze sulla vita e sui destini degli italiani non più con eguali diritti e un'istruzione e un'assistenza sanitaria paragonabile al sud e al nord,all'est e all'ovest.

C'è qualcuno nella coalizione di centro-sinistra che pensa su queste materie di poter evitare il referendum e andare ad accordi con l'opposizione di centro-destra? A noi sembra assai difficile e comunque inaccettabile.

In quest'ultima campagna elettorale la battaglia contro la Casa delle Libertà ha avuto tra i suoi motivi fondanti la difesa dei principi fondamentali della Carta e gli ultimi avvenimenti hanno messo in luce proprio le tendenze eversive di Berlusconi e della sua coalizione. Non c'è da essere dunque più convinti che mai della necessità di una battaglia chiara e senza ombre contro il tentativo di stravolgimento della costituzione repubblicana?