Percorso:
Intervista a Leopoldo Elia, costituzionalista (Aldo Varano, l'Unità) Elia: ora la Costituzione è squilibrata e senza contrappesi

Leopoldo Elia, presidente emerito della Consulta, è uno dei maggiori costituzionalisti italiani. In questi anni ha lanciato ripetuti allarmi contro la riforma costituzionale voluta e imposta dalla CdL. Quando gli dico di Bossi che è venuto a Roma per festeggiare, mi interrompe: «Io credo che come italiani dovremmo essere tristi. Il paragone tra questo testo e la Costituzione del '47 è a tutto svantaggio del testo attuale».

Perché?
«Quel testo ha squilibri, viola il principio di garanzia, è privo di freni e contrappesi tra le istituzioni. Non trova riscontro in nessuna Costituzione, non dico di democrazia parlamentare, ma nemmeno di democrazia tout court, Usa compresi».

Squilibrata e priva di contrappesi. Ma risponde a una qualche logica?
«Sì, a una logica molto pericolosa. Io non dico che la riforma non funzioni. Dico che non è coerente con i principi del costituzionalismo democratico dei paesi più democratici del mondo. Ripeto: una logica molto pericolosa».

Un giudizio molto netto.
«Le costituzioni che si ispirano a Locke, Montesquieu e ai grandi teorici della liberaldemocrazia si basano sul principio della limitazione del potere. Noi invece accentriamo tutto il potere nella figura del primo ministro affidandogli un ventaglio di possibili interventi che non ha riscontro da nessuna parte. Il Premier avrà poteri tanto vasti ed ampi da diventare intoccabile per cinque anni. Una volta insediatosi potrà esercitare un potere senza freni e senza limiti. Ci sarà poi un presidente della Repubblica eletto a maggioranza assoluta dalle Camere e una Corte costituzionale nominata da questo presidente di maggioranza. Insomma, un potere senza limiti che nel suo esercizio potrà divenire anche tirannico».

Quindi, dalla limitazione del potere a garanzia di cittadini, gruppi sociali e collettività alla blindatura del premier?
«Assolutamente sì. In Usa o in Svizzera si affida a un uomo solo per un certo periodo un potere di cui non è responsabile di fronte alle Camere. Ma quando si sceglie questa via al Premier viene tolto, invece di darglielo, il potere di sciogliere le Camere. Se non fosse così non si riuscirebbe a capire perché un presidente Usa, che pure è tanto potente, può non riuscire a fare approvare la sua riforma della sanità, com'è accaduto a Clinton».

La CdL insiste: siamo nel pieno della tradizione europea del westminster.
«Purtroppo, è un falso clamoroso. Confondere il westminster, la forma inglese o tedesca di governo, con quello che propongono significa abusare della credulità dei nostri concittadini. Alcuni giuristi, con una certa faciloneria, hanno detto che il Premier inglese può sciogliere le Camere quando vuole. Ma si sono dimenticati di aggiungere che se il Premier inglese non ha più la maggioranza nel suo partito deve farsi le valigie e non può sciogliere le Camere. Come accadde alla Tatcher».

A proposito del dibattito parallelo sull'Italia che si spacca o meno con la devolution, qual è la sua opinione?
«Ho un punto di vista confortato da quello dei maggiori sostenitori del regionalismo in Italia, come il professore D'Atena, che è il direttore dell'Istituto di studi Severo Giannini sulle autonomie locali: non è vero che con questa riforma si sia disinnescato il pericolo di possibili dissoluzioni dell'unità e del nostro ordinamento».

Il principio dell'interesse nazionale sbandierato da An e Udc è insufficiente?
«Quando si afferma contemporaneamente che la sanità e il diritto all'istruzione rientrano per intero nella competenza esclusiva dello Stato e insieme che l'organizzazione scolastica e sanitaria rientrano per intero nella competenza esclusiva delle Regioni tutto dipenderà dalla interpretazione che si darà a questa esclusività. Con una maggioranza condizionata dalla Lega si darà una interpretazione debole dell'esclusività dello Stato e fortissima di quella delle Regioni. In questo caso, il Governo non impugnerà le leggi di fronte alla Corte Costituzionale. Se invece prevarrà una coalizione senza condizionamenti della Lega, le Regioni che tenteranno di sgarrare potranno essere fermate».

Nella migliore delle ipotesi un conflitto lacerante tra Stato e Regioni?
«Non c'è dubbio. E nella peggiore: leggi regionali senza l'opposizione del Governo e quindi una differenziazione sempre più forte tra le condizioni di vita nelle diverse regioni italiane».

Differenze crescenti possono innescare processi di rottura?
«È un rischio forte. Se non si realizza il principio di una uguaglianza vera all'interno di una stessa nazione, c'è il rischio di sommovimenti e rotture. E proprio quando l'Italia ha bisogno del massimo di coesione per reggere l'urto della globalizzazione. Per fortuna il referendum è ancora un cardine della Costituzione italiana. E' indispensabile e necessarissimo per non uscire fuori dall'Europa e dalla sue tradizioni democratiche».