[RIFORMANDO:613] Il futuro? Cerchiamolo in America...
Francesco Paolo Forti  Domenica, 23 Luglio 2000

Un saggio provocatorio del celebre economista Lester C. Thurow 
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http://www.cdt.ch/giornale/cdt/26062000//CULTURA/25062000183128.asp
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Dal Corriere del Ticino: Giuliano Polidori

I governi parlamentari, con il voto via Internet, forse spariranno. Entro il 2010 la metà dei negozi americani sono destinati a chiudere, sostituiti dalla vendita in rete. Quanto alle biotecnologie, è assurdo averne paura: quando saranno liberamente applicate sull'uomo, nessuno correrà il rischio di avere i figli più stupidi del vicinato.
Parola di Lester C. Thurow, il celebre economista del Mit (Massachusetts Institute of Technology), autore di best-sellers internazionali e vicino a molti presidenti democratici, che nel suo ultimo volume, appena arrivato in libreria - La costruzione della ricchezza (edizioni Il Sole 24 Ore, 291 pagine, 39.000 lire) - apre senza compromessi al nuovo e fissa le regole per aziende e imprenditori: le imprese di successo devono essere disposte a cannibalizzarsi, a distruggere il vecchio mentre è ancora vincente, se vogliono salvarsi. Altrimenti saranno distrutte dai concorrenti che innoveranno di più.
Piaccia o meno, dice Thurow, è questo il panorama della terza rivoluzione industriale: la microelettronica, i computers, le telecomunicazioni, i materiali per la progettazione, la robotica e la biotecnologia. Qui si decide il presente e il futuro. Alla base di questa nuova ricchezza non ci sono più impianti, attrezzature, risorse naturali, ma c'è solo la capacità di controllare la conoscenza. Bill Gates, per esempio, non possiede niente di tangibile, né terre, né oro o petrolio, né fabbriche, né processi industriali: «Per la prima volta nella storia l'uomo più ricco del mondo possiede solo conoscenza» (a proposito, il processo dell'Antitrust contro la Microsoft per Thurow è un'assurdità, perché penalizza una grande risorsa del mercato americano). Nell'era della terza rivoluzione industriale chi ha la conoscenza e la sa usare con tempestività è un uomo ricco. Lo studioso cita l'IBM, azienda leader e in straordinaria espansione fino a una decina di anni fa, drammaticamente precipitata quando il microprocessore ha permesso che il personal computer sostituisse il mainframe come mercato di crescita dominante nell'industria informatica, e sostituita da Microsoft e Intel.

Perciò Thurow indica il giusto percorso da seguire per ottenere il successo economico nel XXI secolo, che è più che altro una scalata alla piramide della ricchezza, quella piramide stampata sul retro della banconota da un dollaro, con la sommità tronca, a simboleggiare le illimitate possibilità di crescita che l'ottimismo americano non ha mai avuto paura di prefiggersi. Ma dai simboli l'economista passa subito al concreto, con una perentorietà che a tratti sconcerta, soprattutto gli interlocutori economici europei, bacchettati per una politica della creazione della ricchezza ancora troppo impacciata, poco audace.
I gradini della piramide di Thurow sono l'organizzazione sociale, l'imprenditorialità, gli strumenti, le risorse ambientali e naturali, e soprattutto conoscenza, conoscenza, conoscenza; una lezione che solo Oltre Oceano sembrano aver imparato a dovere. Negli Stati Uniti le nuove opportunità tecnologiche stanno creando colossali fortune, e molto più velocemente di quanto non sia accaduto in precedenza: negli anni Novanta il prodotto interno lordo è salito di 2.000 miliardi di dollari, una somma maggiore del PIdi qualsiasi altro Paese, escluso il Giappone; i tredici miliardari del 1982 sono stati raggiunti da altri 176 nel 1998 (per un patrimonio totale di 738 miliardi di dollari); negli ultimi anni il consumo generale è salito del 29 per cento, la vendita delle automobili di lusso del 74 per cento, quella degli yacht del 143 per cento, quella delle perle del 73 per cento... Insomma, un'esplosione della ricchezza quale non si era avuta neanche negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, quando l'economia cresceva anche più velocemente di quanto non sia accaduto durante l'ultimo decennio.
Di certo è l'effetto di lungo periodo del rapido, oculato passaggio da un'istruzione elitaria alla formazione tecnologica di massa. Ma anche della capacità degli americani, scrive Thurow senza mezzi termini, di sbattere la porta in faccia al vecchio, di rinunciare alle garanzie: «Il ridimensionamento di un'azienda è sempre doloroso, ma in America si può fare. In nessun posto, neanche nei paesi del terzo mondo, è più facile licenziare i lavoratori». Non c'è bisogno di dare motivi, né di preavviso, non è richiesto alcun trattamento di fine rapporto: «Come preside del Mit - scrive soddisfatto - una volta licenziai un dipendente che, nel giro di un'ora, si ritrovò fuori dei locali del Mit». E dire che Thurow fu, negli anni Ottanta un deciso avversario del liberismo reaganianoÉ

E l'Europa? L'Europa risparmia e investe molto, ha una buona formazione e una solida base tecnologica, ma non crea lavoro e crea poca ricchezza, troppo poca in relazione alle sue straordinarie potenzialità. Thurow snocciola implacabile i suoi dati: mentre l'America ha creato 11 milioni di posti di lavoro durante i primi sette anni del decennio appena finito, l'Unione Europea ne ha creati soltanto 71.000 e nessuno nel settore privato. La rivoluzione della conoscenza sembra non coinvolgere gli Europei.
Ma Thurow ha pronta la sua ricetta: quella di un'Europa sempre più simile all'America. La parola d'ordine è flessibilità; anzi, più brutalmente, riduzione degli stipendi. Se l'Europa Occidentale, seguendo quanto periodicamente suggerisce l'OCSE, introducesse il diritto in stile americano, il giorno dopo milioni di lavoratori verrebbero licenziati. In questo modo la concorrenza crescente concorrerebbe a una riduzione dei tassi di stipendio reale. Esempio pratico: «Con gli stipendi più bassi, l'America impiega molte più guardie e addetti ai parcheggi rispetto ai paesi europei, dove gli stipendi sono più alti» e dove perciò conviene usare i cancelli automatici. Se poi si aggiunge il fatto che le Banche Centrali europee attuano una politica monetaria restrittiva, nemica dello sviluppo e adatta tutt'al più al panorama inflazionistico degli anni Settanta e dei primi anni Ottanta, lo scenario è completo.
Thurow riconosce che in America il divario tra le classi sociali è in enorme aumento. Dal 1983 al 1995 la ricchezza dei più ricchi è cresciuta del 17 per cento, ma la ricchezza delle famiglie dal reddito medio è calata dell'11 per cento. La vasta sezione inferiore della forza lavoro americana prende ormai gli stipendi più bassi dell'intero mondo industriale, e questo, ammette Thurow, nel lungo periodo è insostenibile. Ma si tratta di una fase di transizione, spiega poi rassicurante, presente in ogni rivoluzione industriale.
Poi una velenosa stoccata contro Clinton: la sua Amministrazione ha deciso di occuparsi di sanità - che per Thurow non è altro che una forma di consumo pubblico - anziché investire di più in istruzione e infrastrutture. Per questo non lascerà tracce nella storia americana del Novecento. 




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