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Cari amici, sto leggendo un saggio (*) di J.M. Buchanan, Nobel per l'economia nel 1986 ricevuto per il suo contributo alla scuola della "Pubblic Choice" con il libro "Calcolo del consenso" (1962) il quale (saggio) e' decisamente notevole. In pratica l'autore sottolinea la differenza tra economia e politica evidenziando che nella prima e' sempre possibile la strategia di uscita (exit) mentre cio' e' molto problematico nella vita sociale e politica. In economia noi entriamo in rapporti di scambio e possiamo anche ritirarci, quando l'etica non e' soddisfacente e sospettiamo di essere sfruttati. Possiamo cambiare negozio o fornitore, anche se questa operazione ha un certo costo. Diciamo che c'e' un certo equilibrio tra il costo del cambio (il costo della strategia di uscita) ed il vantaggio che ho a rifornirmi da uno piu' onesto. Se un macellaio mi frega un grammo al giorno ma il prossimo e' a 10 Km, non cambio. Se mi frega 10 grammi al giorno e nel raggo di 100 metri ho tre concorrenti, la cosa e' ben diversa. Si crera' un certo equilibrio che dovrebbe essere "moralmente accettabile". Il mercato quindi e' eticamente regolato dalla presenza di competizione e dalla potenzialita' che cliente adotti la strategia di uscita. Il macellaio lo sa, anche perche' lui stesso puo' adottare la stessa strategia con il suo fornitore. La politica e' diversa. Noi nella societa' non possiamo adottare strategie di uscita, almeno di emigrare o di mettersi a fare il barbone o l'eremita. Buchanan, noto per aver introdotto nella economia politica le basi della teoria dei giochi (compreso il famoso dilemma del prigioniero) sostiene che a parte le societa' federali (in cui - se sono soddisfatte le condizioni del modello di Tiebaut e cio' in estrema sintesi piccoli territori e reale mobilita' personale - la strategia di exit e attuabile concretamente) nelle societa' centralizzate non e' possibile alcuna immediata fuga dalla politica o disapprovazione sulla morale del gioco politico. A detta dell'autore quindi il mercato e' piu' "moralmente regolato" della politica, contrariamente a quanto invece si sostiene (immoralita' del mercato ed eticita' della politica). Il saggio di Buchanan prosegue con una forte critica del sistema maggioritario (inteso non come antitesi al propozionale ma come espressione di un sistema che adotta decisioni a maggioranza) proponendo invece un modello unanimistico (perche' la cooperazione genera "surplus" di valore) e federalistico (per le strategie di uscita che la popolazione puo' adottare anche a livello "micro" e cittadino). Vi proporro' un'altra volta la dissertazione che lega il dilemma del prigioniero al tema della dittatura della maggioranza (accostamento singolare che porta l'autore a sostenere la necessita' di un modello con tasse e benefici il piu' possibile uguali per tutti) ed intendo soffermarmi sulla strategia di "uscita" in politica. Chi non riesce ad influire sulle regole del gioco politico e le critica apertamente, non ha, al di fuori di un contesto federale (in cui puo' cambiare giurisdizione facilmente, se sono piccole) molte possibilita' di uscita. Emigrare non e' una decisione facile (le strategie di "exit" hanno un costo elevato per la ricerca di una nuova sistemazione). Il "non-voto" appare un segale, a mio avviso, diretto in questo senso. Significa <<non mi piace quello che state facendo e quindi non gioco piu'>>. In un contesto in cui la politica sia intesa come mercato tra le cose che dai (tasse) e le prestazioni che ricevi (servizi pubblici) quando cambiare voto di partito non comporta cambiamenti allora si arriva, prima o poi, ad una strategia di abbandono del gioco. La migliore strategia di uscita e' quella che si fa subito. Appena fiuti la fregatura. Farla subito e' anche un segnale immediato per chi ti ha fregato. Nel caso del voto, anche se recentemente in Italia si vota spesso, l'astensione (tanto non cambia nulla) e' una risposta in ritardo ma resa piu' efficace dal fatto che sono sempre tanti (e di piu') ad attuarla. Secondo questa visione, cosa ci dice il fenomeno della astensione? Ci dice che i cittadini sono insoddisfatti della morale della politica, dei rapporti politici e non trovano alcun modo per dire cio' che "non votare". Il fatto che l'astensione sia piu' elevata a sinistra e' a questo punto un ulteriore elemento di riflessione. Una risposta a questo problema potrebbe essere, seguendo le tesi di Buchanan, quello di ad un federalismo vero (soprattutto costituzionale e fiscale) in modo che il cittadino esprima il suo eventuale disappunto sia con il voto che con il trasferimento fisico nel territorio adiacente, sempre che le giurisdizioni siano veramente piccole e differenziate, non macro-regioni come si intende ora. Un sistema del genere rende possibile una nuova moralita' in politica. Saluti e buona Pasqua, Francesco Forti ======================== (*) James M. Buchanan Comportamento indotto dalle istituzioni nel mercato e nella politica Politeia - 33/34, 1994 ![]() |