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Invio, a chi avesse voglia di leggerlo, il testo - in stile parlato - dell'intervento, che ho tenuto alla Covention radicale del 3-5 marzo 2000 alla Convention radicale. giovanni cominelli Intervento di Giovanni Cominelli Venerdì 3 marzo 2000 Temevo che il mio rito di circoncisione radicale fosse più doloroso, invece devo ringraziare sia Marco che Emma, sia Della Vedova che Striklievers a Milano che hanno cercato di rendere meno drammatico questo mio passaggio dai DS al movimento radicale, di renderlo più leggero. Come direbbe Berlusconi, in questo caso a ragione, "mi manda la sinistra". Vorrei brevemente spiegare per quali ragioni, che cosa sia successo, attraverso quale strano "stargate" io sia venuto di qui. Alcuni compagni DS sostengono due tesi: una che io sia impazzito, e questa e' la classica interpretazione psichiatrica. L'altra tesi sostiene che io cercassi un traghetto verso Forza Italia, essendo io di destra, di destra liberale/liberal all'interno dei DS. Quindi sono andato nei Radicali, perché i Radicali si stavano apprestando a traghettare verso il Polo. Adesso incomincio a ricevere qualche telefonata di scuse. Forse avevi ragione tu…, mi dicono. In ogni caso, qui non faro' un discorso politico togato, perché qui ne sentirete e ne avete già sentiti parecchi. Voglio semplicemente dare una testimonianza, magari intercalandola con qualche considerazione politica. Io sono ormai vecchiotto, sono del '43. Appartengo a quella generazione cattolica degli anni '60, che si e' formata all'Università Cattolica, sulle tesi del Concilio vaticano II, una generazione rivoluzionaria dal punto di vista del cristianesimo. Pensava, per dirla un po' sinteticamente, che se questa e' una valle di lacrime, questa generazione avrebbe abolito il pianto. Avrebbe realizzato il regno di Dio in terra. Alcuni di noi partivano per il Mato Grosso, altri correvano a prendere le armi con padre Camilo Torres, altri passavano, com'é stato il mio caso, al marxismo più puro, che non era quello togliattiano, era il marxismo rivoluzionario, convinti che era possibile cambiare a tal punto la storia degli uomini da eliminare il pianto, da dare la salvezza. Solo molto lentamente abbiamo capito, almeno io ho capito, con molta lentezza e con molta fatica, abbiamo capito che, se questa e' una valle di lacrime, la politica non può eliminare il pianto, il male, il dolore, il non senso della vita. Può, questo si', asciugare qualche lacrima: in ciò consiste il riformismo. Asciugare qualche lacrima, migliorare un po' il mondo, far star meglio la gente, senza illudersi che la politica possa costituire il significato dell'esistenza e possa determinare significati assoluti per gli esseri umani. Albert Camus, all'epoca molto letto e poco capito da noi, parlava di "un pensiero politico modesto, cioè liberato da ogni forma di messianismo e sgombro di ogni nostalgia del paradiso terrestre..." In ogni caso, allora non lo capimmo. Ci precipitammo, molti di noi allora nel '68, qualcuno anche alla lotta armata, penso a Curcio in particolare, che era venuto a Milano da Trento. Abbiamo percorso gli anni '70 stretti fra compromesso storico, unita' nazionale, partito armato, cercando di costruire un itinerario di cambiamento del Paese. In realtà noi vivevamo una contraddizione: eravamo, in quanto "essere", motore e protagonisti di un movimento di cambiamento sociale e culturale della società italiana. Ma quando andavamo a cercare le parole per dare "coscienza" e "autocoscienza" a questo "essere", le prendevamo dagli antichi vocabolari, che sono stati sfornati nel corso dell'ultimo secolo delle rivoluzioni: ci sono sfuggiti pochi "ismi", le correnti "calde" e le correnti "fredde" del marxismo, l'austromarxismo, etc. etc. Questa contraddizione fra le parole e ciò che eravamo, é ciò che alla fine ha disperso questa "tribù", se così vogliamo chiamarla. La mia maturazione verso la concezione del socialismo liberale/liberal e' avvenuta attorno agli anni 79-82. Il Congresso di Rimini di Craxi, Martelli e Amato del marzo 82 rappresento' per me una straordinaria piattaforma: parlava per la prima volta di grande riforma istituzionale, di meriti e di bisogni, di una società in cambiamento; offriva una cultura politica che era maggiormente in grado di interpretare i cambiamenti della società italiana. Il risultato paradossale di quella scoperta mi porto' ad iscrivermi al PCI. Perché al PCI e non al PSI? Perché il PSI dimostrava sì di avere una straordinaria cultura politica, ma anche una pessima collocazione politica. Ancora di questi tempi, quando andiamo in giro a discutere soprattutto a Milano - ieri sera abbiamo fatto una discussione, presente il figlio di Craxi, la figlia, i vecchi sindaci di Milano - i socialisti pongono sempre una questione: "Chi é stato ad uccidere il PSI?" e sostengono che sia stato Di Pietro, che sia stato un complotto. La mia tesi modesta, non molto condivisa da parecchi di questi compagni, é che ad uccidere il PSI sia stato Forlani: una collocazione politica, dentro la quale Forlani ha lentamente, "doroteamente" soffocato il PSI, lo ha portato nell'89 a non essere in grado di intervenire fortemente e incisivamente nella grande crisi che il Partito Comunista stava attraversando dopo la caduta del muro di Berlino. Perciò non entrai nel PSI, entrai nel PCI, consapevole che se aveva una buona, per me, collocazione politica, la cultura politica di Berlinguer era fortemente arretrata, conservatrice sui diritti civili, conservatrice sulle questioni istituzionali, con quella arroganza della diversità etica che ha guidato e continua a farlo molta parte dei DS, in forza della quale si parlava di "governo degli onesti" dieci anni prima di Di Pietro, e che e' stata una delle ragioni di fondo della crisi del PCI. Una visione illiberale della società italiana, un giudizio per cui i paesi dell'Est avevano per l'essenziale risolto i problemi economici, rimaneva qualche piccolo problema sui diritti!… Questa visione che io ed altri abbiamo all'interno combattuto, su posizioni di minoranza, la minoranza riformista, ha dominato e continua ancora a dominare, a mio parere, la cultura politica dei DS. Dopo di che ho preso atto di una sconfitta, che e' avvenuta al Lingotto. D'Alema aveva annunciato nel '94, come sua piattaforma per essere eletto Segretario nazionale, nel contrasto con Veltroni, la rivoluzione liberale. Io l'ho votato e l'ho preso sul serio. Però devo prendere atto che D'Alema è in minoranza, nel partito e nel governo sul tema della rivoluzione liberale. Quanto a Veltroni, la situazione é questa: nei DS c'é un "core business", una coalizione di maggioranza formata dagli operai delle grandi fabbriche, non tutti. Perché al Nord, a Bergamo, nella FIOM, il 30% degli iscritti vota Lega, o votava Lega fino a poco fa. Al Nord la Lega e' un grande partito operaio. In ogni caso: operai delle grandi fabbriche, molto impiego pubblico, dove la CGIL sta crescendo, pensionati. Questa coalizione sociale é l'azionista di maggioranza all'interno della sinistra, e, finché rimane questo vincolo, questa sinistra non é in grado di fare nessuna riforma né del welfare, né della politica, né dello stato, né del sistema dei partiti. Purtroppo questa è la situazione Mi dispiace dirlo, perché ci ho messo l'anima, negli anni in cui sono stato là dentro. Ma io vedo un destino molto simile, se non avranno il coraggio di grandi scelte e di grandi rotture, a quello che é toccato ai laburisti inglesi, che sono andati all'opposizione, controllati da questa stessa maggioranza sociale, nel '79 e sono tornati al potere nel '97. E i socialdemocratici tedeschi sono andati all'opposizione nel '82 e sono tornati nel '98. Io temo che questo sia per noi una sciagura, perché "purtroppo" dall'altra parte non abbiamo una Thatcher, non abbiamo un Berlusconi che si accinge a fare il lavoro liberale, anche un po' sporco, a tagliare brutalmente certi privilegi e poi, alla fine arriva la sinistra di Tony Blair, che medica le ferite, e che riconduce a maggiore equilibrio. Purtroppo abbiamo di là una persona che non so se lo voglia o ci faccia…, ma é certo che sta cercando di riportarci alla vecchia Italietta dorotea, che ci sta portando indietro, con gli amici Bossi, che si è fatto di questi tempi contro di voi, contro di noi, un'iperdose di volgarità, e con Buttiglione e Casini che sono quattro occhi appesi al nulla. Con questa gente non é possibile cambiare il Paese! Ed ecco perché io considero l'impresa di Veltroni disperata, degna quindi della nostra solidarietà umana... la nostra comprensione. O cambiano, oppure il paese declina. Perché questa è la posta in gioco. Il Paese sta aggiustando i conti finanziari, ci sono statistiche non male, si possono magari esaltare più del necessario, ma sono un dato. Tuttavia il Paese reale é ancora un Paese a rischio di declino, questo vale per l'Italia e vale per la vecchia Europa. E' un paese a calo demografico, a basso sviluppo economico, ad alta disoccupazione. Un paese in cui grandi corporazioni, tecnostrutture pubbliche e private si tengono insieme, contrattano fra di loro e scaricano sui cittadini il costo delle loro private transazioni: é come se esistesse una sorta di blocco storico, che cambia spalla al fucile, però il fucile se lo tiene sempre, una volta con il Polo e una volta con' l'Ulivo. E' chiaro che in queste condizioni l'Ulivo fa fatica, perché l'Ulivo, se lo guardate bene, é l'alleanza di una sinistra a maggioranza conservatrice e di un centro democristiano, della sinistra democristiana, soprattutto quella che sta nei Popolari, ma anche nei Democratici, che è sostanzialmente conservatrice. Non mi meraviglia allora la contraddizione che inizia a venire avanti ed essere visibile fra questa alleanza politica, da una parte, e le domande del Paese che non trovano risposta. Io credo che ci sia uno spazio politico per il progetto radicale, ed é per questa ragione, sulla base della condivisione di questo progetto che ho fatto questa cosa pazzesca, di uscire da una chiesa tutta ben strutturata e venire in questa "Cosa" che si sta strutturando, che cambia in continuazione, questa specie di roveto ardente che brucia sempre, senza consumarsi. Insomma: un pò lontano dalla mia storia! Ma sono convinto che ci qui sia un soggetto che può cambiare le cose, perché innanzitutto ha capito qual'é la posta in gioco. Io credo che la prima operazione che si deve fare in questa Convention e anche nella campagna elettorale é che i Radicali dicano ai cittadini la verità sullo stato reale del Paese. Che non é uno stato brillante, perché il Paese esca dal rischio di declino, perché si sposti da quel crinale. Il Paese ha bisogno di riforme fondamentali, in sintesi quella che è chiamata la rivoluzione liberale, che io vedo come "libertà eguale". Cioè, una dotazione uguale per tutti di libertà "da" e di libertà "di", come nocciolo fondamentale della politica e della cultura politica, un'eguaglianza complessa, l'accesso ad una piattaforma di servizi universali liberalizzati, ai quali si acceda tramite dei buoni scuola, buoni fondi pensione, buoni sanità, etc. Ed uno Stato che si ritira, che smette di gestire, fa strategie e garantisce la qualità. Da noi in Lombardia Formigoni dice: "libero accesso dei cittadini a tutte le cure", chiunque le offra, compreso Di Bella. Però il compito dello Stato, della dimensione pubblica, non é solo favorire l'accesso ai servizi, ma garantire ai cittadini inermi, inconsapevoli, spesso ignoranti, nel senso che non le conoscono, garantire sulla qualità dell'offerta di questi servizi attraverso Authority di diverso tipo. Questo é il punto fondamentale, che vale per la scuola, con il servizio nazionale di valutazione, che vale per altre politiche. E poi la legalità: non intesa come le 150.000 "gride" manzoniane, più tutte quelle che vengono prodotte a mezzo di leggi regionali, ma poche regole severe, chiare e fatte rispettare. Una rivoluzione liberale é questo, non è: facciamoci gli affari nostri e chi é più forte vince, chi é debole va sotto. La rivoluzione liberale sono le regole, fatte rispettare fino in fondo. Un welfare leggero: se qualcuno cade la comunità lo aiuta a rialzarsi, ma non può camminare al suo posto. Deve riprendere a camminare. Questo é il tipo di società che vogliamo. Nessuna paura di fronte alla globalizzazione, é una grande occasione. Occorrono regole, guai alla chiusura in piccole Patrie, chiuse ed ottuse, come ci stanno proponendo Bossi e Berlusconi. Questo discorso vale soprattutto in Lombardia: perché l'economia lombarda ha un'apertura internazionale al 60-70%. E i manager, i giovani, la gente che lavora sono culturalmente aperti. Se dovesse passare la linea Bossi-Berlusconi (lì interpretata da Formigoni) di chiusura su se stessi, noi rallenteremmo lo sviluppo della civiltà e della cultura lombarda e, io credo, del Paese. Sulla collocazione politica, sull'andare da soli: é una scelta che io ho condiviso. Anche se sappiamo che andare da soli é una scelta difficile e pesante. E ho condiviso anche il criterio. Prima o poi, quando dovesse passare il referendum elettorale, noi saremo costretti fra i due Poli a fare delle scelte, a fare delle alleanze. Però deve essere chiaro che scelte e alleanze non si fanno sulle questioni ultime, in politica si fanno sulle questioni penultime. E le questioni penultime sono quelle decisive: sono la riforma del sistema politico in senso maggioritario, la riforma del sistema istituzionale e della forma del governo, la riforma della politica, le cose insomma che siete andati dicendo in questa ultima parte della vostra esperienza. E a questo punto voglio chiudere, usando con molta umiltà e molto pudore il "noi", per dire che ci dobbiamo chiedere se, così come siamo, noi abbiamo la forza per rispondere alle sfide dello sviluppo del Paese, alle sfide della globalizzazione, per rispondere alla sfida del radicamento nella società e nelle istituzioni. Io non so dare ora questa risposta, ho tuttavia questa impressione: i Radicali hanno già incominciato un cambiamento, sono passati da movimento per i diritti civili, un pò ereticale, che fa incursioni piratesche nel sistema politico, a forza di governo, soprattutto i questi ultimi due o tre anni, si sono sforzati di diventare una forza di governo, che fa proposte di governo. Questa é la grande trasformazione che ho visto dall'esterno, che immagino vediate anche voi, dall'interno. Questo é il grande cambiamento. Se é questo, allora ho l'impressione che noi dobbiamo porci, dopo la raccolta delle firme, dopo le regionali, dopo i referendum, porci il problema di una riflessione definitiva sulla struttura politica, su ciò che vogliamo essere come movimento politico. Noto che questo movimento ha una grande capacità di sollevare vento, ma poi deve pensare anche ad attrezzarsi con le vele, questo é il punto da affidare alla riflessione successiva. Naturalmente io penso che questo vento debba continuare ad essere forte. Consentitemi il vezzo di una piccola citazione, visto che siamo passati anche per il maoismo. Il presidente Mao diceva: "l'albero può desiderare la calma, non per questo il vento cesserà di soffiare". Io mi auguro che l'albero pietrificato del sistema politico, questa foresta fossile che non riesce a muoversi e a rispondere ai problemi del paese, continui a sentire questo vento grande e che noi siamo in grado di mettere in mare dei vascelli con vele più robuste di quelle che abbiamo ora. ![]() |