[RIFORMANDO:398] intervento alla Convention radicale
Giovanni Cominelli  Sabato, 18 Marzo 2000


Invio, a chi avesse voglia di leggerlo, il testo - in stile parlato -
dell'intervento, che ho
tenuto alla Covention radicale del 3-5 marzo 2000 alla Convention
radicale.
giovanni cominelli


Intervento di Giovanni Cominelli
Venerdì 3 marzo 2000


Temevo che il mio rito di circoncisione radicale fosse più doloroso,
invece devo ringraziare sia Marco che Emma, sia Della Vedova che
Striklievers a Milano che hanno cercato di rendere meno drammatico
questo mio passaggio dai DS al movimento radicale, di renderlo più
leggero.
Come direbbe Berlusconi, in questo caso a ragione, "mi manda la
sinistra".
Vorrei brevemente spiegare per quali ragioni, che cosa sia successo,
attraverso quale strano "stargate" io sia venuto di qui.
Alcuni compagni DS sostengono due tesi: una che io sia impazzito, e
questa e' la classica interpretazione psichiatrica.
L'altra tesi sostiene che io cercassi un traghetto verso Forza Italia,
essendo io di destra, di destra liberale/liberal all'interno dei DS.
Quindi sono andato nei Radicali, perché i Radicali si stavano
apprestando a traghettare verso il Polo. 
Adesso incomincio a ricevere qualche telefonata di scuse. Forse avevi
ragione tu…, mi dicono. 

In ogni caso, qui non faro' un discorso politico togato, perché qui ne
sentirete e ne avete già sentiti parecchi.
Voglio semplicemente dare una testimonianza, magari intercalandola con
qualche considerazione politica. Io sono ormai vecchiotto, sono del '43.
Appartengo a quella generazione cattolica degli anni '60, che si e'
formata all'Università Cattolica, sulle tesi del Concilio vaticano II,
una generazione rivoluzionaria dal punto di vista del cristianesimo.
Pensava, per dirla un po' sinteticamente, che se questa e' una valle di
lacrime, questa generazione avrebbe abolito il pianto. Avrebbe
realizzato il regno di Dio in terra. Alcuni di noi partivano per il Mato
Grosso, altri correvano a prendere le armi con padre Camilo Torres,
altri passavano, com'é stato il mio caso, al marxismo più puro, che non
era quello togliattiano, era il marxismo rivoluzionario, convinti che
era possibile cambiare a tal punto la storia degli uomini da eliminare
il pianto, da dare la salvezza. Solo molto lentamente abbiamo capito,
almeno io ho capito, con molta lentezza e con molta fatica, abbiamo
capito che, se questa e' una valle di lacrime, la politica non può
eliminare il pianto, il male, il dolore, il non senso della vita. 
Può, questo si', asciugare qualche lacrima: in ciò consiste il
riformismo. 
Asciugare qualche lacrima, migliorare un po' il mondo, far star meglio
la gente, senza illudersi che la politica possa costituire il
significato dell'esistenza e possa determinare significati assoluti per
gli esseri umani. 
Albert Camus, all'epoca molto letto e poco capito da noi, parlava di "un
pensiero politico modesto, cioè liberato da ogni forma di messianismo e
sgombro di ogni nostalgia del paradiso terrestre..."  In ogni caso,
allora non lo capimmo. Ci precipitammo, molti di noi allora nel '68,
qualcuno anche alla lotta armata, penso a Curcio in particolare, che era
venuto a Milano da Trento. 
Abbiamo percorso gli anni '70 stretti fra compromesso storico, unita'
nazionale, partito armato, cercando di costruire un itinerario di
cambiamento del Paese. In realtà noi vivevamo una contraddizione:
eravamo, in quanto "essere", motore e protagonisti di  un movimento di
cambiamento sociale e culturale della società italiana. Ma quando
andavamo a cercare le parole per dare "coscienza" e "autocoscienza" a
questo "essere", le prendevamo dagli antichi vocabolari, che sono stati
sfornati nel corso dell'ultimo secolo delle rivoluzioni: ci sono
sfuggiti pochi "ismi", le correnti "calde" e le correnti "fredde" del
marxismo, l'austromarxismo, etc. etc. Questa contraddizione fra le
parole e ciò che eravamo, é ciò che alla fine ha disperso questa
"tribù", se così vogliamo chiamarla. 
La mia maturazione verso la concezione del socialismo liberale/liberal
e' avvenuta attorno agli anni 79-82. Il Congresso di Rimini di Craxi,
Martelli e Amato del marzo 82  rappresento' per me una straordinaria
piattaforma: parlava per la prima volta di grande riforma istituzionale,
di meriti e di bisogni, di una società in cambiamento; offriva una
cultura politica che era maggiormente in grado di interpretare i
cambiamenti della società italiana. 
Il risultato paradossale di quella scoperta mi porto' ad iscrivermi al
PCI. 
Perché al PCI e non al PSI? Perché il PSI dimostrava sì di avere una
straordinaria cultura politica, ma anche una pessima collocazione
politica. Ancora di questi tempi, quando andiamo in giro a discutere
soprattutto a Milano - ieri sera abbiamo fatto una discussione, presente
il figlio di Craxi, la figlia, i vecchi sindaci di Milano - i socialisti
pongono sempre una questione: "Chi é stato ad uccidere il PSI?" e
sostengono che sia stato Di Pietro, che sia stato un complotto.  
La mia tesi modesta, non molto condivisa da parecchi di questi compagni,
é che ad uccidere il PSI sia stato Forlani: una collocazione politica,
dentro la quale Forlani ha lentamente, "doroteamente" soffocato il PSI,
lo ha portato nell'89 a non essere in grado di intervenire fortemente e
incisivamente nella grande crisi che il Partito Comunista stava
attraversando dopo la caduta del muro di Berlino. 
Perciò non entrai nel PSI, entrai nel PCI, consapevole che se aveva una
buona, per me, collocazione politica, la cultura politica di Berlinguer
era fortemente arretrata, conservatrice sui diritti civili,
conservatrice sulle questioni istituzionali, con quella arroganza della
diversità etica che ha guidato e continua a farlo molta parte dei DS, in
forza della quale si parlava di "governo degli onesti" dieci anni prima
di Di Pietro, e che e' stata una delle ragioni di fondo della crisi del
PCI. Una visione illiberale della società italiana, un giudizio per cui
i paesi dell'Est avevano per l'essenziale risolto i problemi economici,
rimaneva qualche piccolo problema sui diritti!… 
Questa visione che io ed altri abbiamo all'interno combattuto, su
posizioni di minoranza, la minoranza riformista, ha dominato e continua
ancora a dominare, a mio parere, la cultura politica dei DS. 
Dopo di che ho preso atto di una sconfitta, che e' avvenuta al Lingotto.
D'Alema aveva annunciato nel '94, come sua piattaforma per essere eletto
Segretario nazionale, nel contrasto con Veltroni, la rivoluzione
liberale. Io l'ho votato e l'ho preso sul serio. Però devo prendere atto
che D'Alema è in minoranza, nel partito e nel governo sul tema della
rivoluzione liberale. Quanto a Veltroni, la situazione é questa: nei DS
c'é un "core business", una coalizione di maggioranza formata dagli
operai delle grandi fabbriche, non tutti. Perché al Nord, a Bergamo,
nella FIOM, il 30% degli iscritti vota Lega, o votava Lega fino a poco
fa. Al Nord la Lega e' un grande partito operaio. In ogni caso: operai
delle grandi fabbriche, molto impiego pubblico, dove la CGIL sta
crescendo, pensionati. 
Questa coalizione sociale é l'azionista di maggioranza  all'interno
della sinistra, e, finché rimane questo vincolo, questa sinistra non é
in grado di fare nessuna riforma né del welfare,  né della politica, né
dello stato, né del sistema dei partiti. 
Purtroppo questa è la situazione Mi dispiace dirlo, perché ci ho messo
l'anima, negli anni in cui sono stato là dentro. Ma io vedo un destino
molto simile, se non avranno il coraggio di grandi scelte e di grandi
rotture, a quello che é toccato ai laburisti inglesi, che sono andati
all'opposizione, controllati da questa stessa maggioranza sociale, nel
'79 e sono tornati al potere nel '97. E i socialdemocratici tedeschi
sono andati all'opposizione nel '82 e sono tornati nel '98. 
Io temo che questo sia per noi una sciagura, perché "purtroppo"
dall'altra parte non abbiamo una Thatcher, non abbiamo un Berlusconi che
si accinge a fare il lavoro liberale, anche un po' sporco, a tagliare
brutalmente certi privilegi e poi, alla fine arriva la sinistra di Tony
Blair, che medica le ferite, e che riconduce a maggiore equilibrio.
Purtroppo abbiamo di là una persona che non so se lo voglia o ci
faccia…, ma é certo che sta cercando di riportarci alla vecchia
Italietta dorotea, che ci sta portando indietro, con gli amici Bossi,
che si è fatto di questi tempi contro di voi, contro di noi, un'iperdose
di volgarità, e  con Buttiglione e Casini che sono quattro occhi appesi
al nulla. Con questa gente non é possibile cambiare il Paese! 
Ed ecco perché io considero l'impresa di Veltroni disperata, degna
quindi della nostra solidarietà umana...  la nostra comprensione. 
O cambiano, oppure  il paese declina.
Perché questa è la posta in gioco. Il Paese sta aggiustando i conti
finanziari, ci sono statistiche non male, si possono magari esaltare più
del necessario, ma sono un dato. Tuttavia il Paese reale é ancora un
Paese a rischio di declino, questo vale per l'Italia e vale per la
vecchia Europa. E' un paese a calo demografico, a basso sviluppo
economico, ad alta disoccupazione. Un paese in cui grandi corporazioni,
tecnostrutture pubbliche e private si tengono insieme, contrattano fra
di loro e scaricano sui cittadini il costo delle loro private
transazioni: é come se esistesse una sorta di blocco storico, che cambia
spalla al fucile, però il fucile se lo tiene sempre, una volta con il
Polo e una volta con' l'Ulivo.
E' chiaro che in queste condizioni l'Ulivo fa fatica, perché l'Ulivo, se
lo guardate bene, é l'alleanza di una sinistra a maggioranza
conservatrice  e di un centro democristiano, della sinistra
democristiana, soprattutto quella che sta nei Popolari, ma anche nei
Democratici, che è sostanzialmente conservatrice. Non mi meraviglia
allora la contraddizione che inizia a venire avanti ed essere visibile
fra questa alleanza politica, da una parte, e le domande del Paese che 
non trovano risposta. 
Io credo che ci sia uno spazio politico per il progetto radicale, ed é
per questa ragione, sulla base della condivisione di questo progetto che
ho fatto questa cosa pazzesca, di uscire da una chiesa tutta ben
strutturata e venire in questa "Cosa" che si sta strutturando, che
cambia in continuazione, questa specie di roveto ardente che brucia
sempre, senza consumarsi. Insomma: un pò lontano dalla mia storia! Ma
sono convinto che ci qui sia un soggetto che può cambiare le cose,
perché innanzitutto ha capito qual'é la posta in gioco. 
Io credo che la prima operazione che si deve fare in questa Convention e
anche nella campagna elettorale é che i Radicali dicano ai cittadini la
verità sullo stato reale del Paese. Che non é uno stato brillante,
perché il Paese esca dal rischio di declino, perché si sposti da quel
crinale. Il Paese ha bisogno di riforme fondamentali, in sintesi quella
che è chiamata  la rivoluzione liberale, che io vedo come "libertà
eguale". 
Cioè, una dotazione uguale per tutti di libertà "da" e di libertà "di",
come nocciolo fondamentale della politica e della cultura politica,
un'eguaglianza complessa, l'accesso ad una piattaforma di servizi
universali  liberalizzati, ai quali si acceda tramite dei buoni scuola,
buoni fondi pensione, buoni sanità, etc. Ed uno Stato che si ritira, che
smette di gestire, fa strategie e garantisce la qualità. 
Da noi in Lombardia Formigoni dice: "libero accesso dei cittadini a
tutte le cure", chiunque le offra, compreso Di Bella. 
Però il compito dello Stato, della dimensione pubblica, non é solo
favorire l'accesso ai servizi, ma garantire  ai cittadini inermi,
inconsapevoli, spesso ignoranti, nel senso che non le conoscono,
garantire sulla qualità dell'offerta di questi servizi attraverso
Authority di diverso tipo. Questo é il punto fondamentale, che vale per
la scuola, con il servizio nazionale di valutazione, che vale per altre
politiche.
E poi la legalità: non intesa come le 150.000 "gride" manzoniane, più
tutte quelle che vengono prodotte a mezzo di leggi regionali, ma poche
regole severe, chiare e fatte rispettare. Una rivoluzione liberale é
questo, non è: facciamoci gli affari nostri e chi é più forte vince, chi
é debole va sotto. 
La rivoluzione liberale sono le regole, fatte rispettare fino in fondo. 
Un welfare leggero: se qualcuno cade la comunità lo aiuta a rialzarsi,
ma non può camminare al suo posto. Deve riprendere a camminare. 
Questo é il tipo di società che vogliamo. Nessuna paura di fronte alla
globalizzazione, é una grande occasione. Occorrono regole, guai alla
chiusura in piccole Patrie, chiuse ed ottuse, come ci stanno proponendo
Bossi e Berlusconi. Questo discorso vale soprattutto in Lombardia:
perché l'economia lombarda ha un'apertura internazionale al 60-70%. E i
manager, i giovani, la gente che lavora sono culturalmente aperti. Se
dovesse passare la linea Bossi-Berlusconi (lì interpretata da Formigoni)
di chiusura su se stessi, noi rallenteremmo lo sviluppo della civiltà e
della cultura lombarda e, io credo, del Paese.
Sulla collocazione politica, sull'andare da soli: é una scelta che io ho
condiviso. Anche se sappiamo che andare da soli é una scelta difficile e
pesante.
E ho condiviso anche il criterio. Prima o poi, quando dovesse passare il
referendum elettorale, noi saremo costretti fra i due Poli a fare delle
scelte, a fare delle alleanze. Però deve essere chiaro che scelte e
alleanze non si fanno sulle questioni ultime, in politica si fanno sulle
questioni penultime. E le questioni penultime sono quelle decisive: sono
la riforma del sistema politico in senso maggioritario, la riforma del
sistema istituzionale e della forma del governo, la riforma della
politica, le cose insomma che siete andati dicendo in questa ultima
parte della vostra esperienza.
E a questo punto voglio chiudere, usando con molta umiltà e molto pudore
il "noi",  per dire che ci dobbiamo chiedere se, così come siamo, noi
abbiamo la forza per rispondere alle sfide dello sviluppo del Paese,
alle sfide della globalizzazione, per rispondere alla sfida del
radicamento nella società e nelle istituzioni.
Io non so dare ora questa risposta, ho tuttavia questa impressione: i
Radicali hanno già incominciato un cambiamento, sono passati da
movimento per i diritti civili, un pò ereticale, che fa incursioni
piratesche nel sistema politico, a forza di governo, soprattutto i
questi ultimi due o tre anni, si sono sforzati di diventare una forza di
governo, che fa proposte di governo. Questa é la grande trasformazione
che ho visto dall'esterno, che immagino vediate anche voi, dall'interno. 
Questo é il grande cambiamento. Se é questo, allora ho l'impressione che
noi dobbiamo porci, dopo la raccolta delle firme, dopo le regionali,
dopo i referendum, porci il problema di una riflessione definitiva sulla
struttura politica, su ciò che vogliamo essere come movimento politico.
Noto che questo movimento ha una grande capacità di sollevare vento, ma
poi deve pensare anche ad attrezzarsi con le vele, questo é il punto da
affidare alla riflessione successiva.
Naturalmente io penso che questo vento debba continuare ad essere forte.
Consentitemi il vezzo di una piccola citazione, visto che siamo passati
anche per il maoismo. Il presidente Mao diceva: "l'albero può desiderare
la calma, non per questo il vento cesserà di soffiare". Io mi auguro che
l'albero pietrificato del sistema politico, questa foresta fossile che
non riesce a muoversi e a rispondere ai problemi del paese, continui a
sentire questo vento grande e che noi siamo in grado di mettere in mare
dei vascelli con vele più robuste di quelle che abbiamo ora.




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