[GARGONZA:9244] Lega Nord: insulti e mancata censura - Gennaro
Piero DM  Martedi`, 25 Luglio 2000


----- Original Message -----
From: gennaro casciello

> Non mi trovi molto d'accordo sull ' analisi storica che hai fatto della ,
> diciamo così,questione meridionale .
..> Il Regno di Napoli era uno Stato Europeo sovrano , uno tra i più ricchi
e
> potenti dell ' epoca.
> Ci sono i numeri a dimostrarlo e testimoniarlo .

La trasformazione dell'Europa - a cavallo tra il secolo della Rivoluzione
dell'89 e quello della rivoluzone industriale, borghese e liberale - ha
visto purtroppo il Regno di Napoli governato per lunghissimi decenni da un
personaggio stravagante e assolutista come Ferdinando. Un lunghissimo regno
Negli ultimi decenni del '700 il Regno era uno stato grande e forte, con
grandi potenzialità, tutto sommato in linea con gli altri stati europei - e
Napoli era una delle poche città veramente internazionali d'Italia.
Una grandezza che rimase nonostante tutto (un cosmopolitismo culturale e una
tradizione che rimane ancora oggi, a Napoli) ma più come incerta
testimonianza di ciò che poteva essere e non è stato: in effetti, il Regno
uscì dai decenni di Ferdinando politicamente e socialmente vecchio,
irrimediabilmente privo di quell'esperienza liberale che altre parti
d'Europa avevano avuto, e che a Napoli era stata soffocata nel sangue e
ricoperta dalla cappa assolutista, con il contributo attivo del vicino stato
della Chiesa.
Queste vicende politiche - intrecciate con la ben nota crisi
economico-commerciale che da tempo aveva relegato il mondo mediterraneo in
secondo piano rispetto a quello atlantico - restituiscono insomma all'800 e
alla modernità uno stato meridionale ancora grande e potenzialmente forte,
per pura virtù di tradizione e dell'estensione territoriale, ma
politicamente arretrato, che aveva perduto traumaticamente contatto con la
modernità proprio nel periodo decisivo in cui questa si andava manifestando
nel resto d'Europa e in altre regioni italiane.

Un fenomeno analogo - per ragioni in qualche modo simili - aveva interessato
altre grandi nazioni europee, come quelle iberiche, le quali - come il
nostro mezzogiorno - rimasero ugualmente grandi e piene di talenti e di
tradizioni, ma nettamente arretrate sul piano socio-economico e politico.
Come nazione indipendente, la Spagna visse la propria discesa nell'ombra in
un relativo silenzio, e in una decadente nostalgia di grandezza che possiamo
legittimamente presumere simile a quella che avrebbe avuto un Regno di
Napoli che fosse rimasto, in ipotesi, ugualmente autonomo e indipendente.
Così non è stato, e quel Regno fu agganciato violentemente al treno di una
unificazione italiana, avvenuta più come annessione militare allo stato
sabaudo che come fusione politica relativamente spontanea.
In realtà, l'Italia unita era formata da entità estremamente diverse tra
loro, soprattutto sul piano politico e culturale, e la più diversa di tutte
era proprio il Regno di Napoli: più grande e più forte di tanti staterelli
settentrionali, eppure a suo modo così debole, come del resto lo stesso
stato della Chiesa.

La storia dell'annessione sabauda, come al solito, può essere vista con il
criterio del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto: una dominazione che per
essere una dominazione fu abbastanza illuminata e pervasa d'una buona quota
di idealismo, o invece un idealismo nazionalistico che per essere idealismo
fu cinicamente soprattutto una dominazione, coloniale e predatoria.
Senza la pretesa di voler risolvere questo dilemma, diciamo che forse la
soluzione andrebbe cercata non tanto nei termini "moralistici" della
storiografia spiritualistica, ma nei meccanismi di una società borghese e
già industriale, che estendeva  e intrecciava i processi di annessione
politica con quelli dell'economia capitalistica.

In ogni caso è importante - per un giudizio storico, ma anche per il
presente e il futuro - guardarsi dalla tentazione di rincorerre nostalgie e
valutazioni troppo "interiori", riguardo allo stato borbonico o altre simili
realtà. Una secolare tradizione, un grande territorio, una grande e
antichissima storia danno sempre e comunque un'identità forte, un'oggettiva
ricchezza in termini assoluti e perfino, in alcuni settori, in termini
comparativi: ma lo stato borbonico finì per essere, con tutte le sue luci e
le sue ombre (tante, fitte e scure), una pesante palla al piede nel
progresso civile e politico del mezzogiorno italiano.

Le malefatte, i limiti e la mediocrità della storia unitaria dell'Italia
sabauda non vengono per nulla sminuite o edulcorate da questo giudizio sullo
stato borbonico, e sarebbe del resto sbagliato interpretare queste riletture
della nostra storia come una gara in cui ciascuno tiene per i propri colori
di bandiera: caso mai per le proprie idee, e non è che possiamo in alcun
modo sposare le idee dei Borboni e di quel Regno di Napoli.

In effetti, nel confronto tra le malefatte sabaude e quelle borboniche, si
manifesta il confronto  tra le il genere di violenze e ingiustizie della
società capitalista e industriale, rispetto a
quelle della società aristocratica, feudale, paternalistica e latifondista.
In questo senso, la "modernità" può essere orribile, disgustosa, predatoria
e cinica, mentre il paternalismo dell'ancien regime può facilmente
presentare tratti di sereno benessere e di civile convivenza: basta guardare
al mondo germanico dell'Impero asburgico di fine ottocento, a fronte degli
anni foschi della "modernità" post-bellica e dell'esperienza di Weimar e
dell'Austria infelix che si getto nelle braccia del nazismo.
Non possiamo neppure risolvere la questione - come forse credevamo fino a
qualche decennio fa - con un ottimismo di principio sulle magnifiche sorti e
progressive della modernità liberale (e socialista), considerando questa
tentazione di rivalutare o rifugiarsi nel paternalismo (fascista,
monarchico, borbonico, stalinista, hitleriano, etc)  uno strascico,
un'inerzia della storia secolare, ma dobbiamo oggi prendere atto che è un
meccanismo interiore della società civile che si rinnova continuamente,
trovando strade e aspetti sempre diversi.

A me sembra che sia estremamente giusto rivalutare la " civiltà
mediterranea" e meridionale in genere (anche perché egocentricamente me ne
sento parte) ma stando bene attenti a non confondere questa con i suoi vizi
peggiori, che non sono affatto una inevitabile altra faccia della medaglia,
ma la sua negazione - una negazione portata sì dalla storia, ma che
assumiamo come responsabilità e anche come colpa, quando rinunciamo ad un
giudizio sicuramente difficile e amaro sui difetti (o gli orrori) di quella
storia, preferendo invece attribuirla alla responsabilità degli "altri" o al
destino.

= Piero DM =






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