[GARGONZA:9212] Re: Allargamento UE e Italia
Piero S. Graglia  Sabato, 22 Luglio 2000


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>From: stefano gatto <advi1bra@mymail.com.br>
>To: Multiple recipients of list GARGONZA <gargonza@perlulivo.it>
>Subject: [GARGONZA:9193] Allargamento UE e Italia
>Date: Mer, 19 lug 2000 23:49
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>Védrine lancia un libro - intervista sugli scenari della politica
>francese nell' ambito europeo, Fischer apre un dibattito sul futuro
>dell' Unione, Chirac coglie la palla al balzo. Gli interventi italiani
>hanno invece meno spessore ed un'audience infinitamente piu' bassa.

Del messaggio di Stefano Gatto ho colto solo questa frase, e mi scuso se la
citazione è parziale. Il fatto è che Gatto ha ragione su tutta la linea, e
che la sordità italiana ad occuparsi delle questioni europee rappresenta il
limite caratteristico di un paese che forse è il più europeista dell'Unione,
ma all'interno del quale la riflessione sulle caratteristiche dell'Unione
langue.

Faccio solo un esempio, personale, ma che proprio per questo mi è più
familiare. Nel maggio di quest'anno ho pubblicato col Mulino un libretto
sull'Unione europea (politiche, istituzioni, funzionamento ecc.). Si
trattava di poca cosa, appena 126 pagine, uscito nella collana "farsi
un'idea"; l'editore mi aveva espressamente chiesto di ridurre le
problematizzazioni al minimo per non farne un volume troppo difficile. Però,
quando si è trattato di parlare dell'allargamento ad est la
problematizzazione è venuta fuori, inevitabilmente. Tanto per fare un
esempio, con l'allargamento ad est, l'Unione dovrà ridisegnare l'insieme dei
contributi e dei fondi strutturali, a favore ovviamente dei paesi meno
sviluppati. Fino ad oggi (1999) il criterio per l'inserimento di regioni
degli stati membri nei piani per i fondi strutturali e di coesione, era una
media di reddito del 75% rispetto alla media dell'UE. Ungheria, Polonia,
Repubblica Ceca, e gli altri paesi che stanno nel gruppo dei primi sei,
stanno ampiamente al di sotto di tale media ma, al confronto, Calabria,
Sicilia, Campania, stanno invece al di sopra. Ciò significa che dal periodo
2000-2006 queste regioni, esauriti i programmi di cui ai piani per il
periodo 1996-1999, resteranno senza una lira, letteralmente; e in ogni caso,
se anche all'interno delle politiche gestite direttamente dalla Commissione,
qualche intervento potrà ancora essere previsto, l'entità non potrà essere
paragonata al fiume di soldi che prima l'Unione ga concesso a queste regioni
(soldi, in gran parte, inutilizzati per viscosità e incapacità
amministrativa. La cosa si fa ancora più cupa per l'agricoltura, politica
comunitaria che, da sola, assorbe il 56% del bilancio dell'Unione (e va
ancora bene, negli anni Settanta la percentuale era del settanta e passa).
Anche sul piano dei contributi agricoli che ricadono sotto il titolo FEOGA -
orientamento (il Feoga è il Fondo europeo orientamento e garanzia
agricoltura) si assisterà ad un taglio netto. Questo perché la parte
"orientamento" del FEOGA è quella che si occupa degli aiuti allo sviluppo
dell'agricoltura, predispone gli investimenti produttivi, le migliorie ecc.
di concerto con il Fondo sociale europeo (FSE) e con il Fondo europeo di
sviluppo regionale (FESR), quindi il fondo orientamento sarà anche quello
più colpito dallo spostamento degli aiuti verso est. Poca cosa, dirà
qualcuno, visto che la parte "orientamento" prende solo il venti per cento
dell'insieme del FEOGA. Ma anche sul piano della parte "garanzia" le cose
saranno pesanti, poiché la politica di garanzia dei prezzi agricoli (che fa
dell'UE il paese, sul piano agricolo, più protezionista del globo) sposterà
l'asse dell'interesse ad est, dove i prezzi vanno ancora più garantiti per
garantire un mercato a produzioni ancora troppo costose per il ritardo
tecnico e la scarsa produttività. Ebbene, dopo avere scritto queste cose, in
un libretto che ha venduto circa diecimila copie finora, pensavo che si
sarebbe aperto un dibattiuto, che qualche giornalista economico avrebbe
riflettuto sulla cosa, non perché le aveva scritte il Graglia, ma perché si
tratta di uno scenaruio preoccupante in primo luogo per la "coesione"
all'interno dell'Unione, e per glui equilibri economici all'uinterno dei
paesi membri. Invece nulla.

Anzi, per allargare il discorso, va forse aggiunto che l'estraneità
dell'opinione pubblica - intendo dire ovviamente i quotidiani nazionali e la
televisione - alla problematizzazione degli scenari futuri dell'Unione,
appiattendosi sulla giaculatoria del "come è bella l'Europa, ci penserà
l'Europa" ecc. ecc. rappresenta forse l'elemento più negativo di questa
società italiana, che sin dagli anni Cinquanta ha visto nell'Europa non un
elemento di crescita al quale contribuire con idee (passata la breve
parentesi De Gasperi) bensì un comodo carro sul quale stare, intimamente
sempre cosciente di un complesso di inferiorità che, se pure poteva esistere
o no, la classe politica italiana ha confermato col suo comportamento.

Di Dini non ho nessuna fiducia sul piano europeo; di Prodi molta di più. Se
avete notato Prodi è molto poco presente sulla scena italiana; interviste ne
dà oramai pochissime ai giornali italiani, forse perché questi neppure
gliele chiedono; le polemiche da lui intraprese con i tedeschi e coi
francesi da noi hanno un'eco molto sfumata e giocata semmai nella
soddisfazione dei suoi avversari politici italiani che godono come pazzi a
vederlo in difficoltà. Nel silenzio ha avviato una riforma profonda della
Commissione, procedendo ad una vera e propria cura dimagrante, prendendosi i
dipartimeni chiave (come quello della informazione e del settore
audiovisivo) e in definitiva, si tratta del primo presidente di Commissione
italiano in cinquanta anni di storia. Di Franco Maria Malfatti, presidente
dal 1970 al 1972, non vale la pena di parlare, anche perché si dimise per
candidarsi alle elezioni politiche italiane. Incredibile no? Un esponente
del partito - la DC - che ha costruito parte della sua immagine pubblica
come il partito dell'Europa, che rinuncia alla presidenza della Commissione
per candidarsi come deputato al parlamentino italiano. Questo è
"l'europeismo italiano" del quale non si parla, e su questo dobbiamo
riflettere, come italiani, come europei e come cittadini.

Saluti

PSG



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