[GARGONZA:9204] Lega Nord: insulti e mancata censura - Forti
Piero DM  Venerdi`, 21 Luglio 2000


----- Original Message -----
From: Francesco Paolo Forti

>Per esempio e'
> giusto che un insegnante elementare arrivi in provincia di varese,
proveniendo
> dalla calabria, sempre con punteggi altissimi e che si vanti pure di aver
pagato
> per essere davanti a tutti in graduatoria? E che poi quando lo senti
insegnare
> capisci che non solo non sa parlare italiano ma nemmeno conosce le materie
(...)

Quello che dice Francesco è vero: il clientelismo, la condizione spesso
disperata delle regioni meridionali, antiche abitudini familistiche
diventate logica di clan, etc, hanno portato un flusso di "emigrazione" e
urbanizzazione dal sud  al centronord di tipo molto, molto discutibile.

Discutibile sul piano amministrativo ed economico: ministeri, istituzioni ed
enti (spesso essi stessi già inutili) sono stati inzeppati di personale
scarsamente qualificato, al solo scopo di offrire uno
stipendio a masse di disoccupati. E' cosa ben nota e c'è un'intera
letteratura politico-amministrativa sul tema.
Roma - sia il suo tessuto sociale, sia la sua economia - ha sofferto di
questo fenomeno almeno quanto le città industriali del nord.
Specialmnte in un habitat politico-amministrativo come quello italiano
(assistito, bloccato e controllato da una miriade di interventismi e di
leggine, dai finanziamenti alle coop edilizie all'equo canone, dai concorsi
pubblici alle licenze di commercio, etc), è facile immaginare le conseguenze
per la vita di una città-stato, nella quale in moltissimi gangli e anfratti
della P.A. si sono gradatamente e saldamente sistemate le teste di ponte di
intere catene di sant'antonio familiari, di gente del sud e delle zone
depresse del centro: non solo i concorsi alle poste o ai ministeri, ma
perfino il lavoro di portiere di condominio o di cameriere era spesso
"riservato" all'amico o al cognato in attesa in qualche paesino del
mezzogiorno - e ovviamente anche posti in Rai, nelle redazioni di giornali,
all'università, nei centri di ricerca, insomma una catena di sant'antonio
per ogni livello sociale o culturale.
Lo stesso scempio edilizio di Roma, che si accompagna all'appropriazione del
centro storico da parte di uffici governativi, di parlamentari e di
portaborse - a danno dei cittadini romani, di antiche attività artigianali,
etc - è legato a questa urbanizzazione senza regole e senz'anima, gestita da
una classe politica disonesta, incolta ed estranea alla città e in fondo
estranea a qualunque senso di appartenenza.
Una classe di disonesti e incolti faccendieri alla quale - come sempre
avviene in questi casi - si sono uniti per simpatia i peggiori
"collaborazionisti" romani: i vari Sbardella e Giubilo e i palazzinari del
generone, per esempio, e tutta quella gente che un tempo faceva almeno
scandalo e oggi sono definiti "imprenditori e manager" (vedi Cragnotti, per
dirne uno).
Il fatto che poi "Roma" sia essa stessa simbolo del discredito generale
appartiene alle conseguenze di cui una capitale si deve fare carico.

Discutibile sul piano etico e civile: quelle masse di poveracci disoccupati,
spesso di origine contadina o paesana (o di una classe colta senza sbocchi)
arrivavano a quello "stipendio"
tramite le uniche vie a loro note o consentite dagli interessi dei notabili
politici e dalle abitudini di una solidarietà familistica tipicamente ma non
esclusivamente meridionale, nata in un antico contesto culturale contadino e
inevitabilmente degenerata, in un contesto diverso di tipo moderno e
industriale.
Queste vie sono quelle del clientelismo e della raccomandazione, dei
concorsi truccati, dei punteggi assegnati artatamente, delle qualifiche
derivanti da valutazioni diverse ma quasi mai da meriti e competenze
effettive, in definitiva mostrava  una visione del lavoro come pura fonte di
sopravvivenza, e delle leggi come una sorta di paletti astrusi da evitare
con destrezza propria o con l'aiuto di qualcuno.

Discutibile sul piano politico, per ragioni tanto ovvie da non valere la
pena di nominarle.

Naturalmente, prima di dare giudizi morali o peggio ancora "etnico-razziali"
sulle persone, bisogna capire che cosa significa lo stato di necessità -
ossia bisogna guardare il fenomeno mettendosi dal punto di vista materiale,
concreto, di questa gente, e guardare bene che cosa era (e tuttora è) la
società meridionale, quale sia stata la degenerazione imposta da secoli e
decenni di sfruttamento e di dominio borbonico prima, ecclesiastico sempre,
fascista poi, latifondista in genere.
Tuttavia - guardandosi bene da generalizzazioni di tipo umano o
etnico - i dati di fatto questi sono e non serve a niente cercare di negarli
per malinteso sentimento "meridionalista": il complesso normativo, il tipo
di stato centralistico, l'organizzazione burocratica e l'etica diffusa nella
P.A. che ne sono derivati non possono essere difesi in alcun modo, e solo un
pazzo si sognerebbe di prenderli a modello.

Ma...
Quella descritta in modo così negativo non è la"gente meridionale", ma lo
stato e la P.A. italiane, creati concordemente dalla gente del nord e del
sud con un più o meno tacito patto di spartizione dei poteri e delle
funzioni: noi commerciamo, voi raccomandate, noi dirigiamo aziende, voi
dirigete enti e istituzioni, noi compriamo e vendiamo  leggi per il bene
dell'azienda di famiglia, voi comprate e vendete pezzi di stato per il bene
della clientela, noi tramandiamo a figli e nipoti capannoni e abusi edilizi,
voi posti nei
ministeri e scempi urbanistici, voi imbrogliate nei punteggi e nei concorsi,
noi nei bilanci, etc.
Eh sì, perché alla descrizione precedente di come sia stato fatto straccio
dello stato e delle istituzioni dall'assistenzialismo clientelare di marca
meridionale, bisognerebbe affiancare la storia di come si sia fatto straccio
del mercato e dell'imprenditorialità dal familismo e dal capitalismo
assistito o parassitario e speculativo di marca piemontese, lombarda e
"settentrionale" in genere.
Non possiamo dimenticare, tornando a Roma, che uno dei primi e più
spettacolari scandali del neonato Regno d'Italia fu quello delle vergognose
speculazioni edilizie dei piemontesi, in quello che si chiama ora il
quartiere Prati, nei dintorni del Vaticano.
Questo solo per dire che, se proprio si vuole fare dello sciovinismo
lamentativo di stampo leghista, Roma dovrebbe essere in prima fila:
fortunatamente, alle riflessioni amare di tipo politico, o magari filosofico
e umano, non si è mai accompagnato, a Roma, un sentimento "razzistico" o
manicheo verso nessuno, siciliani o piemontesi, napoletani o veneti che
fossero (milanesi esclusi e juventini, ma un po' per scherzo e senza neppure
dargli troppa importanza :-)

Nell'epoca in cui erano i politici a fare demagogia populista e
meridionalista, i "cattivi" erano soltanto i padroni delle ferriere del
nord. Adesso che la parola è passata agli "intraprenditori", la demagogia
aziendalista individua tutto il male nei professorini meridionali e i loro
squallidi concorsi, nello stato e nell'assistenzialismo di marca "sociale",
nella "burocrazia" statalista - fingendo di non sapere che quella stessa
burocrazia farraginosa e surreale è la stessa che ha consentito (proprio
essendo così fatta) di far scivolare nelle tasache di centinaia di
imprenditori settentrionali sovvenzioni e sgravi d'ogni genere; che quella
politica gestita dal bizantinismo degli avvocaticchi borbonici ha costruto
leggi e leggine ad hoc per insediamenti industriali in spregio d'ogni regola
e buon senso, per un sistema bancario e assicurativo capace di drenare
risorse in tutto il territorio nazionale per metterlo a disposizione
dell'industria settentrionale, etc - laddove per "industria" e imprenditori
s'intende soprattutto la "grande" industria e i grandi gruppi speculativi,
più che la miriade delle piccole imprese di imprenditori veri che hanno
tuttavia beneficiato di un tessuto produttivo e di un indotto di notevole
livello.

Il cuore del sistema clientelare sudista è stato in Sicilia, Calabria e
Campania. Il cuore di quello aziendale nordista era in Lombardia, Piemonte e
Veneto. E' un caso che si tratti delle regioni che hanno solidamente retto
il potere politico della DC e (Lombardia) del PSI craxiano? E che
attualmente siano, al nord, quelle che sostengono la Lega con più veemenza?

Nell'esaminare il sistema-Italia possiamo anche farlo a pezzetti e a
settori, per comodità di analisi, ma il sistema era ed è unico nel suo
insieme. Sicuramente è falso che esista un mondo economico (prevalentemente
nordista) sano e virtuoso, e un mondo istituzionale (prevalentemente
sudista) immondo e inefficiente, come fossero due mondi separati e
indipendenti, nati da due storie politiche diverse: diversi sono la loro
storia civile e i loro antefatti, e sono difefrenze importanti, ma la storia
repubblicana dell'Italia è comune, e comuni e inestricabili sono le
responsabilità e la classe dirigente che gli italiani tutti si sono data,
votandola e sostendola da nord a sud.
Per questa cecità e per questa ipocrisia (quest'aggressiva cattiva
coscienza, questa sfacciatissima mancanza di memoria) io disprezzo la Lega e
i leghisti, a prescindere dagli eccessi demenziali di tanti suoi adepti.


> Ora e' tempo di mettere fine a questo stato di cose. Il federalismo lo
consente.
> In uno stato centralizzato e' possibile che il furbo a Enna ottenga il suo
vantaggio
> a scapito di uno di Varese e che il furbo di Milano faccia lo stesso a
scapito di
> del cittadino di Palermo. Con il federalismo cio' non e' possibile. Ogni
vantaggio
> (comportamento politicamente virtuoso) rimane circoscritto al territorio
che lo
> adotta. Idem per i comportamenti non virtuosi, i quali non possono essere
scaricati
> su tutti ma vengono pagati da chi li adotta.

Non sono sicuro che sia possibile adottare un sistema federale che risponda
a questo schematismo, ma non sono neppure sicuro che questo schema sia
quello giusto, sotto alcuni punti di vista.
Per esempio, con la libera circolazione dei lavoratori e dei diplomi in
ambito addirittura europeo, questa separatezza regionale-federale mi sembra
inattuabile.
C'è poi un altro problema, molto più complesso e pesante.
L'economia - quindi le aziende, i capitali, le istituzioni finanziarie, i
movimenti di merci e di denaro, etc - è molto meno circoscrivibile delle
leggi sui concorsi e sui diplomi, e delle leggi elettorali.
In un'epoca di globalizzazione e di telecomunicazioni su scala planetaria,
il peso delle politiche autonome in materia di lavoro e di industria mi
sembra di scarso rilievo, o almeno inerente ad un livello produttivo di
piccola entità, rispetto ai grandi capitali e i grandi movimenti.
Io credo che si dovrebbe attuare uno stato federale estremamente forte e
unitario per tutto quello che ha una dimensione superiore a quella
regionale, ed estremamente autonomo nelle sue componenti federate per tutto
ciò che attiene alla gestione politico-amministrativa di dimensione
regionale: detto così è ovvio, ma significa soprattutto che si vuole
realizzare un federalismo che rafforzi il sistema-Italia, e non soltanto
quelle parti di esso che sembrano maggiormente in grado di competre,
lasciando le altre a fare apprendistato di educazione civica, con i mezzi
che hanno e a prescindere da come sono arrivate a questa situazione.

Per esempio, senza animosità e senza polemiche, serenamente: l'Italia (non
solo quella del sud mafiso e clientelare, ma anche quella del nord
produttivo e operoso) è in debito con la città di Roma-capitale per una
cifra enorme di miliardi, sia per danni e incombenze materiali, sia per
danni e devastazioni "morali", culturali, antropologiche - tanto per
monetizzare ciò che forse non è monetizzabile, ma pure i miliardi servono a
chi li riceve e limano secondo giustizia alcune ricchezze troppo pingui o
alcune sinecure troppo comode.
Un debito del tutto teorico, che sarebbe stupido immaginare calcolabile o
esigibile, ma che dovrebbe far riflettere quando si parla di "fermi tutti,
chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto, da oggi ognuno fa per sé".

= Piero DM =










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