[GARGONZA:9202] dcumento lungo Fondaz.It/europ.- cancellare subito se non interessa
Carlo Gualtieri  Venerdi`, 21 Luglio 2000

La Fondazione Italianieuropei ha promosso nei giorni scorsi un seminario sui
temi intorno ai quali si è sviluppata in queste settimane, in Italia e fuori
d'Italia, la discussione sul futuro dell'Unione europea: l'orizzonte di
riforma delle istituzioni europee, la natura del sistema comunitario, le
motivazioni etiche e politiche che ne sorreggono lo sviluppo.  Al seminario,
che si è svolto a Roma presso la sede della Fondazione, hanno preso parte
Massimo D'Alema, Giuliano Amato, Giancarlo Bosetti, Rocco Cangelosi, Gianni
Cuperlo, Marta Dassù, Biagio De Giovanni, Nicola Latorre, Enrico Letta,
Andrea Manzella, Alfio Marchini, Giorgio Napolitano, Andrea Péruzy, Cesare
Pinelli, Umberto Ranieri, Alfredo Reichlin, Andrea Romano, Giorgio Ruffolo e
Gian Enrico Rusconi.
Quello che segue è un documento di sintesi della discussione: un breve
position paper con il quale la Fondazione intende contribuire ad un
dibattito che è da considerarsi di grande utilità anche per l'innovazione
della cultura politica del riformismo italiano.

L'Unione europea appare oggi sottoposta ad una duplice tensione. Da un lato
la prospettiva dell'allargamento, ineludibile responsabilità storica e
politica per la ricomposizione dello spazio civile europeo ma anche
possibile fonte di rischi di indebolimento per la costruzione comunitaria.
Dall'altro la difficoltà di procedere ad una vera riforma delle istituzioni
comunitarie, resa sempre più necessaria dall'imminente allargamento ma
ancora gravata dalle impostazioni minimalistiche che frenano il negoziato in
corso alla Conferenza integovernativa.
Su questo sfondo è ormai visibile un indebolimento della motivazione
europeistica in molte delle opinioni pubbliche nazionali, sia nei paesi
membri dell'Unione europea che nei paesi candidati ad entrarvi. Questo
appannamento delle aspettative positive rivolte ai progressi del percorso
comunitario appare legato, nei paesi dell'Unione, alla difficoltà di
percepirne gli effetti benefici su molti aspetti della vita quotidiana. Nei
paesi dell'Europa centrorientale, al contrario, la diffusione di sentimenti
di frustrazione legati alle difficoltà del percorso di avvicinamento
all'Unione si somma e viene amplificata dalla ricomparsa di motivazioni
politiche etnonazionalistiche e dalla tentazione di ritrovare entro una
dimensione isolazionistica la risposta alla lunga crisi identitaria
innescata dalla fine dei regimi socialisti. La discussione sul futuro
dell'Unione europea deve essere collocata su questo scenario. Da esso e
dalle tensioni che lo compongono discende la duplice necessità di restituire
vitalità alla percezione positiva dell'Europa nelle opinioni pubbliche
nazionali, dopo il traguardo storico della moneta unica, e di garantire
funzionalità alle istituzioni comunitarie anche nella prospettiva
dell'allargamento.
Restituire una visione dell'Europa alle società civili dei paesi dell'Unione
significa rilanciare le ragioni della sovranazionalità comunitaria
all'interno dello spazio etico e politico dei trattati. Quello spazio
costruito attraverso un percorso storico originale, né classicamente
federalistico né puramente intergovernativo ma risultante dall'equilibrio di
queste due dimensioni, che ha permesso all'Unione europea di raggiungere gli
straordinari risultati che abbiamo oggi di fronte a noi. Da questo punto di
vista vi è stato nella discussione italiana delle scorse settimane un
eccesso di ideologismo. Si è voluto costringere l'odierno confronto di idee
entro la vecchia contrapposizione tra "federalisti" e "intergovernativi",
volendovi leggere il ritorno di un contrasto arcaico, legato anche alla
declinazione ideologica dell'europeismo italiano ed essenzialmente superato
dal sistema comunitario così come esso è. L'Unione europea si trova già da
tempo oltre il bivio tra prospettive federalistiche e dimensione
intergovernativa, così come già da tempo essa procede sulla via
dell'integrazione sovranazionale.
È l'originalità di questo percorso che ci offre oggi gli strumenti per
rispondere, entro lo spazio comunitario, alla necessità di ridare concretezz
a e visibilità ai benefici dell'Europa. La riforma dei trattati e la Carta
dei diritti sono i due passaggi decisivi affinché l'Unione possa
ricominciare a parlare alle opinioni pubbliche nazionali, dando nuova
motivazione all'europeismo delle società civili senza mettere a rischio
l'equilibrio politico e istituzionale del cantiere comunitario. Ecco perché
è fondamentale uscire dall'impostazione minimalistica che sembra gravare sui
lavori della Conferenza intergovernativa, puntando contemporaneamente ad
allargarne il mandato e a raggiungere un risultato positivo sui quattro
punti qualificanti per una vera riforma dei trattati: l'estensione del voto
a maggioranza, le cooperazioni rafforzate, la composizione della Commissione
e la riponderazione dei voti in Consiglio europeo. Occorre garantire un
risultato tangibile entro il vertice di Nizza del prossimo dicembre, senza
lasciarsi tentare dalla prospettiva di demandare ad una successiva
conferenza la soluzione di questi punti qualificanti. È questa la
prospettiva nella quale si è mosso il governo italiano, che alla Conferenza
intergovernativa lavora sulle posizioni più avanzate in fatto di riforma
costituzionale, ed è giusto che questo dato emerga con maggiore nettezza
nella nostra discussione pubblica.
Le cooperazioni rafforzate, tra l'altro, costituiscono lo strumento più
efficace per procedere all'adozione di quelle politiche capaci di dare
risposte concrete al deficit di consenso sull'Europa. Su temi decisivi come
l'immigrazione, la lotta alla criminalità e la sicurezza le cooperazioni
rafforzate possono far compiere rapidi passi avanti all'integrazione
sovranazionale tra gruppi di paesi disponibili.  E al rischio che questo
strumento si trasformi in un surrogato del metodo comunitario, riservato a
pochi paesi avanzati, occorre rispondere non certo respingendone l'efficacia
ma al contrario allargandone i confini al maggior numero di temi e
coinvolgendovi il maggior numero di paesi. Analogamente, la Carta dei
diritti può costituire un valido strumento politico per parlare alle società
civili e per collegare in modo visibile, soprattutto di fronte alle opinioni
pubbliche nazionali, il tema della tutela dei diritti civili a quello del
funzionamento delle istituzioni comunitarie. Per questo è importante
giungere a risultati tangibili nel lavoro di redazione della Carta: non
perché essa possa essere considerata il sostituto di una ipotetica
Costituzione europea, ma perché su di essa i Parlamenti e dunque le opinioni
pubbliche nazionali possono trovare un motivo di rilegittimazione etica e
civile dell'impresa comunitaria.
È dunque su questo terreno, segnato da una coraggiosa riforma delle
istituzioni e da uno aggancio visibile tra diritti e strumenti comunitari,
che l'Unione europea può ritrovare i modi per uscire dalla crisi di
consenso, per ridare concretezza alle proprie politiche di fronte alle
opinioni pubbliche nazionali e per rispondere positivamente ma
realisticamente alle aspettative dei paesi dell'Europa centrorientale. Non è
d'altra parte questa l'unica risposta possibile: da una destra europea ma
mai compiutamente europeista viene un'altra strategia, fatta di
etnonazionalismo e di localismi macroregionali, alla quale sarebbero
inevitabilmente sacrificati i caratteri etico-politici delle Comunità
europee. In questo confronto l'Italia può assumere una funzione decisiva,
rinnovando il proprio tradizionale impegno per il rafforzamento della
dimensione sovranazionale, e dunque lavorando per il consolidamento delle
istituzioni comunitarie e per l'allargamento degli spazi di integrazione, e
misurandosi con realismo con la partita in corso per la riforma dell'Unione.

Roma, 21 luglio 2000






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