[GARGONZA:9193] Allargamento UE e Italia
stefano gatto  Mercoledi`, 19 Luglio 2000

Riprendo il discorso piu' o meno dove l'avevo interrotto ieri (Moratoria
Transgenici e UE).

Nei giorni scorsi Prodi aveva incitato l'Italia a farsi piu' presente
nel dibattito in seno all' Unione a riguardo del punto - chiave dell'
allargamento ai paesi dell' Europa centro - Orientale.

Dini aveva replicato stizzito che l' Italia e' gia' in prima fila,
Rutelli ha poi rilanciato piu' o meno sullo stesso argomento.

Non e' che voglia trasformarmi in un difensore ad oltranza di Prodi, ma
penso che la questione sia molto piu seria di quanto non abbia affermato
Dini.

Il punto non e' che la Farnesina non partecipi alle riunioni del
Consiglio o non presenti proposte: ci mancherrebbe altro! La questione
va ben al di la' e riguarda la concezione
stessa del ruolo dell' Italia nell' ambito politico europeo.

Se una strategia complesiva italiana esiste, essa e' elaborata dalla
Farnesina senza che la societa' italiana sia minimamente implicata nel
dibattito. Qualcuno dira': e' il loro mestiere, se ne occupino!

Ma l'allargamento ad est e la discussione sulle sue modalita' hanno tali
conseguenze sulla nostra realta' prossima ventura che e' desolante
vedere l'assoluto scollamento tra la nostra societa' e i pochi
funzionari che se ne occupano tra Roma e Bruxelles.

Se da un lato e' desolante vedere che nella societa' civile nessuno
sembra preoccuparsi (pensiamo a cosa succedera' alla politica agricola,
ai fondi strutturali, al mercato interno, al funzionamento stesso dell'
UE che non e' una cosa astratta ma la realta' nella quale tutti noi ci
muoviamo giornalmente), dall' altro e' senz' altro insoddisfacente che
la nostra diplomazia si limiti a fare il suo compitino con piu' o meno
diligenza senza coinvolgere maggiormente il sistema - paese nella
definizione delle proprie strategie essenziali.

La politica estera (ma puo' definirsi estera la politica europea?
Onestamente non piu', pensiamo ai transgenici ed a mille altre
questioni) e' rimasta per anni prerogativa di corpi specializzati, ma
oggi essa deve trascendere tale limitazione, che aveva senso in passato
ma e' suicida nel contesto attuale.
Per inciso: non critico affatto i diplomatici, categoria che ha una sua
specifica professionalita' che va tutelata (categoria alla quale
perdipiu' appartengo anche se non lavoro alla Farnesina ma alla
Commissione Europea), critico l'idea "ancien regime" secondo cui la
politica estera rimane un campo riservato nel quale e'  bene che
l'opinione pubblica non si immischi troppo.

Questa concezione e' ancora troppo presente nel nostro paese,
testardamente egocentrico, sia a livello politico che dell'opinione
pubblica. Di fatto la distinzione tra sfera "interna" ed "estera" e'
sempre piu labile: io personalemente preferisco parlare di politica
internazionale, piuttosto che di estera: se ci pensate la differenza non
e' da poco.

Questa concezione traspare dalla posizione di Dini, che tra l'altro ha
fatto delle ottime cose su determinati scenari (Libia ed Iran per
esempio), dove ha saputo trovare uno spazio d'azione per la diplomazia
italiana senza entrare in contraddizione con il principio di
concertazione con i soci dell'UE.

Per questo trovo le sue osservazioni riduttive rispetto alla critica
giustissima di Prodi:
sull' allargamento, cosi' come su gli altri grandi dibattiti in corso
nell Unione, l' Italia non sta affatto esecitando un ruolo attivo,
sopravvive con mestiere ma senza proporre grandi visioni. Chiunque sia
familiarizzato con le questioni europee sa che oggettivamente esiste un
asse trainante franco - tedesco al quale su molte questioni fa
contrappeso l'asse britannico - spagnolo. E il quinto grande dov'e?
Latita, mancando una strategia d'insieme in grado di fornire un quadro
chiaro.

Quindi le nostre posizioni tendono ad essere passive, magari a volte
brillanti grzie alla professionalita' dell' uno o dell' altro, ma cio'
non basta.

C'e' bisogno di disegnare visioni di lungo periodo, scenari evolutivi
non semplicemente appiattiti sulla politica UE, ma che possano
contribuire a disegnare una UE migliore anche grazie al contributo
italiano.

L' Italia, socio fondatore della CE, ha sempre goduto di grande
considerazione a Bruxelles, anche se molti possono pensare altrimenti.

A partire dagli anni ottanta, la degenerazione della politica italiana,
alle prese con eterne crisi interne ed uno strabismo strutturale che non
ha permesso al nostro sistema politico di cogliere appieno l'intensita'
dello spostamento progressivo del baricentro politico da Roma verso
l'Europa, ha ridotto considerevolmente la nostra credibilita' presso i
nostri soci europei.

L' Italia, che fino agli anni ottanta era il capofila dell'anima
mditerranea della CE a fronte dei paesi del nord, e' stata
oggettivamente scavalcata e sostituita in questo ruolo dalla Spagna,
abilissima nello sfruttare le disattenzioni italiane. (Ma la Spagna ha
avuto due primi ministri dall' 82 ad oggi, e cosi' si puo' fare politica
estera...)

Il grande sforzo fatto in occasione dell' UEM e' stato molto apprezzato
(in fondo nessuno ci credeva che l'Italia ce l'avrebbe fatta), qualche
posizione e' stata recuperata grazie a Prodi ed una serie di
(finalmente..) buoni Commissari italiani (Monti, Bonino), ma quello che
manca e' il passo succesivo: l'elaborazione di una strategia
complessiva.

I nostri think - tank di politica internazionale sono molto piu' deboli
rispetto a quelli di Parigi, Londra, Berlino e Madrid (per fermarsi
li'..).

Persino all'inetrno della Commissione, l'Italia nemmeno abbozza l'idea
di coordinare il lavoro dei funzionari di nazionalita' italiana, come
fanno abilissimamente gli altri tramite riunioni periodiche, cambi
d'idee etc..

Per carita', non si tratta di fare lobby, siamo di signori, ma perlomeno
di creare sinergie. E invece NIET, viviamo alla giornata. Ma gli altri
lo fanno e si vede.


In campo di politica di difesa, stesa solfa: dopo il Kosovo si sono dati
sviluppi importanti, ma il contributo italiano e' ridotto e l'opinione
pubblica nemmeno se ne accorge. E via con gli assi Parigi - Berlino e
Londra - Madrid.

Védrine lancia un libro - intervista sugli scenari della politica
francese nell' ambito europeo, Fischer apre un dibattito sul futuro
dell' Unione, Chirac coglie la palla al balzo. Gli interventi italiani
hanno invece meno spessore ed un'audience infinitamente piu' bassa.

Penso che Prodi avesse proprio ragione nel richiamo, l'Italia deve
alzare il livello del proprio contributo intellettuale e propositivo
all' Unione: possiamo farlo perche' non valiamo meno degli altri, ma
organizzare un'azione di questa portata non s'improvvisa.

Le sfide sono la', se l' Italia non partecipa, gli altri lo stanno
facendo.

Non credete che ci sia spazio per fare di piu', checche' ne dica Dini?

Cordiali saluti

Stefano Gatto





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