[GARGONZA:9154] R: "I clienti delle prostitute uguali agli sfruttatori"
Rosanna Tortorelli  Giovedi`, 13 Luglio 2000

----- Original Message -----
From: Rolando Alberto Borzetti <r.a.borzetti@inwind.it>

To: Multiple recipients of list GARGONZA <gargonza@perlulivo.it>
Sent: Wednesday, July 12, 2000 11:57 PM
Subject: [GARGONZA:9151] "I clienti delle prostitute uguali agli sfruttatori"


> L'intervento del presidente della Camera ad un convegno
> sull'immigrazione
>
> "I clienti delle prostitute
> uguali agli sfruttatori"
> Violante riprende la tesi di Amato: "Non c'è differenza
> tra chi schiavizza le donne e chi le usa sessualmente"
>
> ROMA - Lo aveva già detto Amato quando ancora era ministro del Tesoro. Per
> combattere la prostituzione bisogna punire i clienti. Lo ha ribadito oggi il
> presidente della Camera Violante: "Non c'è nessuna differenza tra chi
> schiavizza le donne immigrate e chi le usa sessualmente".
>
> Intervenendo al convegno organizzato dall'Agenzia romana per il Giubileo
> "Migrazioni, scenari per il XXI secolo", Violante ha voluto contribuire con
> la sua denuncia a tenere alta l'attenzione di tutti di fronte ai fenomeni di
>


con tutto il rispetto delle buone intenzioni...
non so perche', ma mi mette a disagio questa "protezione" che viene da alcuni
uomini nei confronti delle donne come se continuassero ad essere degli esseri
inferiori...

premesso che personalmente ho una visione "morale" contraria alla prostituzione,
per me il sesso deve essere legato ad un rapporto affettivo, non penso che la
mia morale debba essere imposta agli altri  cosi' come non permetto che quella
altrui venga imposta a me. pero' mi sembra doveroso anche rispettare le
moralita' (e perfin le amoralita') altrui... non mi pare che il nostro sia uno
stato etico. anzi questo rispetto delle diversita' dovrebbe essere la base di
una societa' che da grande vorrebbe diventare multi etnica, multi razziale, etc.

cosi' non capisco perche' i maschi (magnaccia e clienti alla pari) debbano
essere visti come gli unici colpevoli e, usando lo stesso metro morale, non
pure le donne... come se fossero ancora degli animaletti irresponsabili.
questo mi pare moralismo da chiesa, adatto giustappunto al "Grande Giubileo".

quel che intendo dire e' che ciascuno e' responsabile delle scelte che fa, e se
ne prende colpe e meriti.

cosi' una cosa e' decidere che fare nella propria vita, altra cosa e' decidere
che cosa deve essere ammesso in una societa' formata da individui, i piu'
diversi.

nell'affrontare, qui ed ora, nell'Italia del 2000, il problema della
prostituzione va individuato chiaramente che cosa si deve considerare reato, e
vietato, e cosa invece deve essere considerato lecito, seppure non interessante
per tutti gli individui (non tutti cositituiscono societa', eppure esiste per
tutti il diritto societario...).

allora, per me deve essere reato schiavizzare le persone, a maggior ragione
minorenni e incapaci di intedere e di volere.
se invece due persone adulte, capaci di intendere e di volere, decidono di fare
quel che vogliono, sta a loro la *liberta'* di farlo. e in questo metto la
liberta' di scambi sessuali del genere preferito, purche' non siano accompagnati
da violenza, ma metto anche ad esempio la liberta' di eutanasia assistita...

scendendo nel pratico, quello che deve quindi essere assolutamente vietato e
represso e' l'intreccio fra prostituzione e malavita, fra schiavizzazione e
malavita. tutto il resto deve essere regolato.
con quale lavoro mantenersi la vita dovrebbe poter essere una scelta: se una
donna decide di preferire far la prostituta piuttosto che l'impiegata, al di la'
del giudizio morale, deve essere libera di farlo in condizioni sicure, per lei e
per i suoi clienti... fin che ce ne saranno!

sara' un lavoro culturale, e non legale, quello di convincere i clienti che e'
molto piu' appagante un rapporto affettivo piuttosto che mercantile... ed e'
comunuque istruttivo leggere i risultati di indagini svolte sulle motivazioni
dei clienti di prostitute, sul cosa non trovano nelle donne "normali", che non
e' piu' tanto una prestazione "variopinta", quanto coccole, apprezzamento e
ascolto... meditiamo donne, meditiamo...

quello che mi preoccupa e': se tutte le "regolari" troveranno
sistemazione nella proposta della Turco, che fine faranno quelle povere
disgraziate rubate all'Africa o ai paesi dell'est? quelle che difficilmente lo
fanno per scelta? dovrebbe essere necessaria una previsione che, oltre a
garantire che solo le "aderenti" possano trarre beneficio dagli utili, che
dovranno essere tassati come tutte le altre attivita', dia anche la possibilita'
alle non regolarizzate di regolarizzarsi aderendo, anche se prive di permesso di
soggiorno cosi' ottenendolo, come un qualsiasi altro lavoratore.

e, dopo un certo periodo assegnato per tutte le regolarizzazioni, botte da orbi
su cio' che si svolge al di fuori del "mercato regolamentato", esattamente come
si fa per i titoli i Borsa... ;-)))

e' ora di piantarla con la connivenza con l'illegalita', la cui persistenza
viene giustificata da giudizi morali.
esattamente come ha detto ieri il presidente di Confindustria D'Amato sul lavoro
nero... tiriamo fuori tutto il sommerso e mettiamo ordine. siamo o no un paese
civile? e sono convinta che la civilta', piano piano, portera' anche moralita'.

rosanna
ps. anch'io sono una donna DS (quanto meno ho ancora la tessera nel portafogli)
anche se forse un attimo fuori dal coro... ;-))


e ricordiamoci che esiste anche questo nel mondo...
problemi risolvibili con qualche anatema... o con qualche fatto concreto?
e certo questo non dovrebbe essere un esempio di regolamentazione... ;-))
http://www.repubblica.it/quotidiano/repubblica/20000713/esteri/11thai.html
Le piccole vittime
dei bordelli della morte

A Dok Kham Tai, la fabbrica delle prostitute
Così l'industria del sesso e l'Aids sterminano bimbi e intere famiglie in
Thailandia

dal nostro inviato STEFANIA DI LELLIS
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DOK KHAM TAI (Nord della Thailandia) - La vita del piccolo Toon è tutta in tre
fotografie esposte sull' unico mobile della sua casa, una palafitta di legno tra
le risaie di Dok Kham Tai. La prima è del '97, lui ha tre anni e il viso
paffuto. L'aria un po' confusa, è in piedi davanti a una bara gialla a forma di
pagoda e dà l' ultimo addio al padre, ucciso dall' Aids. La seconda è datata
1998: ancora una bara, stavolta della madre, pure lei stroncata dal virus
contratto in un bordello di Bangkok. Il bimbo è molto cambiato: niente più
guance rosee, è magro, ha gli occhi cerchiati di nero. E infine l'ultima
istantanea, quella del primo giorno di scuola, pochi mesi fa: cartella, camicia
immacolata e un paio di pantaloncini che non riescono a coprire le gambette
scheletriche coperte di piaghe.
Adesso Toon non va più a scuola: i compagni, le maestre hanno paura di quelle
sue ferite, e lui passa le giornate in braccio alla nonna scrivendo e
riscrivendo l'alfabeto, l'unica cosa che ha fatto in tempo ad imparare. Sta
morendo, dicono i dottori. Tra poco - tre, o al massimo sei mesi - ci sarà una
pagoda gialla anche per lui. Una delle tante piccole bare che si vedono in ogni
angolo di questo pezzo di Thailandia del nord, maledetto dall'Aids come nessuna
altra zona del paese.
Un tempo, di Dok Kham Tai si parlava come di una terra di principesse. Donne
bellissime, la pelle chiara, i corpi snelli e slanciati, gli zigomi scolpiti
come nelle illustrazioni delle fiabe d'Oriente. Non regnavano su nulla, però,
quelle principesse: come tutti nelle misere province settentrionali, si
spezzavano la schiena nelle risaie, le gambe immerse nell'acqua fino alle
ginocchia. Nessun sogno nella testa, solo la speranza di riuscire a mangiare
l'indomani.
Poi venne la guerra del Vietnam. Ogni settimana migliaia di soldati americani si
riversavano in Thailandia: licenze "RR" le chiamavano, "Repose&Relax", spiegava
un trattato del '67 tra Washington e Bangkok. Stanchi di guerra, i militari
erano affamati di donne e in molti si preoccuparono di accontentarli accumulando
grandi ricchezze. Come Nai U-Dom Patpong, un commerciante cinese che aveva
ereditato un appezzamento di terra nella capitale thailandese e lo aveva
riempito di saloni per massaggi e bordelli. Un quartiere a luci rosse ancora
oggi famoso con il nome del primo proprietario. Ragazze venivano fatte arrivare
da ogni parte del paese e quelle del nord erano particolarmente apprezzate per
l'aspetto leggiadro e la naturale grazia dei modi. Alla fine della guerra
l'industria del sesso era ormai solida, e se anche subì uno scossone per la
partenza dei soldati, seppe ben presto riconvertirsi per servire a prezzi
stracciati il mercato interno e del sud est asiatico. Dopo poco, poi, riprese
quota e si trasformò nell'attrazione per i turisti di tutto il mondo - tanti gli
italiani - che è ancora adesso.
Gli agenti delle case chiuse arrivavano a Dok Kham Tai e raccoglievano
informazioni sulle famiglie più povere che avevano figlie. Offrivano loro soldi
per appianare debiti o comprare attrezzi per la terra. In cambio chiedevano le
ragazzine. Avrebbero mandato le loro paghe a casa, spiegavano, così come è
dovere dei buoni figli thailandesi. E i genitori accettavano. Per una tv, un
pugno di baht, la speranza di un reddito. Alcuni dei broker mantenevano le
promesse: una volta recuperato l'"investimento" iniziale sfruttando la ragazza,
le consentivano di lavorare per mettere da parte un po' di denaro che
puntualmente veniva spedito ai genitori.
Fu così che sorsero i "castelli" delle principesse di Dok Kham Tai. Villette di
un lusso ingenuo, che sembra materializzare i sogni di un mendicante. Cancellate
verniciate d'oro, le verande con le colonnine lucide, i muri di cinta sormontati
dal filo spinato come in un insediamento militare. "Very beautiful house, eh? la
figlia del proprietario lavora a Hong Kong", spiega indicando uno dei "manieri"
Samarn Marksuk, direttore di un progetto di assistenza alle famiglie della zona.
Quelle case così "beautiful" continuano a convincere tante ragazzine del
distretto a tentare la fortuna nei bar di Bangkok o all'estero. Qualcuna ce la
fa a rientrare con qualche soldo da parte, ma la maggioranza torna avendo in più
soltanto il sangue infetto. Una condanna che non risparmia poi mariti e figli.
Anche se ormai il grosso della manodopera dei bordelli arriva dai paesi vicini -
Birmania, Laos, Cambogia e Cina - anche se il governo thailandese ha messo in
piedi una capillare campagna di informazione anti-Aids, anche se le
organizzazioni internazionali - in testa l'Unicef - si lanciano in progetti di
formazione per strappare le adolescenti dalla strada, il distretto continua a
versare il suo tributo nel tritacarne dei night club di Bangkok, Chiang Mai,
Pattaya.
Baokham ha appena 18 anni, il viso coperto di bolle, gli occhi fissi a terra.
Tormenta una manica del giacchino bianco, cerca di coprire un cerotto sul dorso
della mano destra, ricordo di una flebo fatta qualche ora fa. "Quando avevo 15
anni - racconta - un agente venne a parlare con i miei genitori, dette loro 40
mila baht (un po' più di 2 milioni di lire). Il giorno dopo mia madre mi disse
che dovevo andare a lavorare lontano, come avevano fatto tante altre ragazze del
villaggio. Dissi di sì, lo sapevo che dovevo dare una mano, e andammo a prendere
l'autobus per raggiungere l'agente a Bangkok. Mia madre si fermò una notte con
me, poi ripartì. Io allora ebbi tanta paura e cominciai a piangere. Sapevo che
quel posto era un bordello, ma non avevo idea di cosa si facesse esattamente in
un bordello. Nel mio villaggio avevo avuto un fidanzato, ma non avevamo mai
dormito insieme". Poi le lacrime si fermarono e Baokham non pensò più a niente
se non a rifondere i 40 mila baht versati ai suoi genitori. Il debito non è mai
stato estinto: un anno fa la ragazza ha cominciato a stare male e ha chiesto
alla sua mama- san - la maitresse del club - il permesso di rientrare a casa per
un po' . Aids, ha diagnosticato il dottore, e lei non è più tornata a Bangkok.
"Sì, lo sapevo che dovevo stare attenta - ammette con un filo di voce - ma
quando chiedevo ai clienti di usare il preservativo, loro dicevano di no, e io
non sapevo come insistere". Il "Pakpingjai Home Development Project" di Samarn
Marksuk ora ha regalato a Baokham una gallina. Appena fa un uovo, lei lo va a
vendere al mercato. E questo è quello che le è rimasto.
Marksuk lavora senza aiuti ufficiali e con i pochissimi fondi elargiti delle
piccole comunità presbiteriane di Chiang Rai e Chiang Mai. Il governo di Bangkok
non ha piacere che si continui a parlare degli appestati di Dok Kham Tai, della
favola triste delle belle principesse trasformate prima in puttane e poi in
untori. Preferisce mettere l'accento sui grandi sforzi compiuti dalle autorità
negli ultimi cinque anni per favorire l'istruzione di massa, "l'unico treno -
viene spiegato - per portare in salvo le prossime generazioni". Una verità, che
però omette come migliaia di bambini di questo distretto non abbiano speranze di
vivere abbastanza per poter prendere quel treno.
"Noi cerchiamo di fare in modo che queste persone imparino a sostenersi a
vicenda - spiega Marksuk - andiamo nelle case a portare cibo, medicinali a chi
non può più muoversi, facciamo venire qui il pomeriggio i bambini rimasti senza
genitori, le vedove, i sieropositivi emarginati. Li facciamo giocare, gli
insegnamo qualche parola di inglese, chiediamo loro di preparare da mangiare
tutti insieme, perché si fidino l'un dell'altro. Perché gli ammalati sappiano
che se i loro figli rimarrano orfani non saranno abbandonati a se stessi". Il
Pakpingjai ora ha a disposizione tre stanzoni, una cucina, qualche strumento
musicale e pochi giocattoli. "Abbiamo cominciato a costruire un dormitorio -
dice Marksuk indicando quattro muri sostenuti da canne di bambù - ma ci mancano
600 mila baht (meno di 33 milioni di lire) per finirlo e non sappiamo dove
trovarli".
Un registratore manda una musica tradizionale thailandese: una quindicina di
ragazzine inginocchiate per terra muove con grazia le mani seguendo le note e le
istruzioni di una maestra. Una bimba di due anni le guarda e sorride. Si chiama
Niw, e la sua foto è diventata la copertina del depliant che il Pakpingjai ha
stampato per cercare fondi. Nella fotografia, Niw è con un amichetto e la mamma.
La donna, ex prostituta a Bangkok, non ha fatto in tempo a vedere l'opuscolo. È
morta di Aids una settimana fa.






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