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 Riadattato da http://news2000.iol.it/speciale/politici/ Vengono poste 7 domande a diversi politici: riporto le risposte di Fini, 
Francescato e Tremonti (più i miei commenti in corsivo). Buona 
lettura! PRIMA DOMANDA: Disamore per la politica e tanta voglia di 
navigare. Generalizzando all'eccesso potrebbe anche essere questo l'identikit 
dell'italiano medio, almeno a giudicare dal numero in crescita esponenziale 
degli utenti internet e dal crollo verticale di votanti a ogni ulteriore agone 
elettorale. Esiste una crisi di comunicazione della politica? Perché la tanto 
auspicata, vituperata, emendata, riforma elettorale non comprende la possibilità 
del voto elettronico? Eppure velocità, impossibilità di brogli e responsi 
immediati dovrebbero costituire un biglietto da visita sufficientemente 
blasonato. O la classe politica ha paura di un gigantesco pollice verso via 
mail? FINI: Esiste una crisi della politica che, ovviamente, si riverbera sulla 
comunicazione. È una crisi determinata dal periodo lungo di transizione che 
stiamo vivendo e dalla confusione che certi atteggiamenti contraddittori, 
incomprensibili e, perché no?, inqualificabili inducono nella pubblica opinione. 
Sono tante le cose da fare, alcune addirittura semplici. Ma prima, a mio avviso, 
bisogna rispondere a una domandina facile facile: quanta sfiducia provoca un 
governo che non basa la propria legittimazione sulla volontà popolare, ma sugli 
accordi di palazzo? (riuscirà mai a trovare altri tipi di argomentazioni? 
:-) FRANCESCATO: Non credo che il problema sia un possibile pollice verso via 
e-mail. Credo, più semplicemente, che sia prematuro trasferire il voto dalle 
cabine elettorali al tappetino del proprio mouse. Nemmeno negli Stati uniti, 
dove Internet ha ormai raggiunto dimensioni ciclopiche (111 milioni di utenti 
sui 260 milioni al mondo!), è possibile votare attraverso la rete. E poi non è 
vero che il sistema sia così sicuro (per fortuna c'è qualche persona 
realista), soprattutto in un paese come il nostro dove per quarant'anni si 
è riusciti a portare alle urne persino i morti! Non esiste ancora una tecnologia 
che possa certificare senza ombra di dubbio che dall'altra parte del cavo, 
seduto alla sua scrivania, sia davvero lei a esprimere il suo voto. Certo, credo 
che col tempo potremmo arrivarci e che, anzi, sarà inevitabile, ma evitiamo di 
generalizzare e non cerchiamo relazioni laddove non ci sono: chi accede ad 
internet non smette per questo di andare a votare. Piuttosto il contrario. Il 
profilo dei «navigatori» è spesso piuttosto alto, con forti capacità critiche e 
senso di responsabilità. Penso proprio che se dovessimo votare via internet è 
proprio dagli utenti della rete che avremmo la sorpresa più gradita. TREMONTI: È la democrazia che deve adattarsi alla tecnologia (e a 
quante altre cose si deve adattare? Magari anche agli interessi di 
Berlusconi?). E non l'opposto (perché no?). Quella che si chiama, 
con paura, «tecnopolitica» è solo la forma moderna della democrazia (magari 
fosse così semplice...beata ignoranza..:-). Sondaggi in tempo reale, al posto dei vecchi oracoli politici. Voto elettronico, al posto delle vecchie schede manipolabili (invece i voti on-line no?Se fossi un hackers starei godendo come un pazzo...) sono solo la modernizzazione della politica. In questi termini non ho paura di un «gigantesco pollice verso». Semmai ho paura di «un chat verso». SECONDA DOMANDA: La riforma della scuola, gli stanziamenti 
a favore dei pc in aula, la riqualificazione dei docenti. La scuola italiana è, 
specialmente per quanto concerne le scuole superiori e le università, una delle 
più formative in tutta Europa. Però uno studente da noi non si laurea prima dei 
26 anni e con la libera circolazione dei lavoratori, specialmente nei settori 
tecnici, la concorrenza di tedeschi, belgi e olandesi laureati a 23/24 anni è 
imbattibile. Le lauree brevi sono rimaste lettera morta. Dalle elementari al 
dottorato negli ultimi dieci anni gli italiani hanno sentito tutto e il 
contrario di tutto da troppi ministri. Qual è la sua proposta concreta?  FINI: Mandare a casa questo centrosinistra significa anche dare spazio a 
una nuova stagione per l'istruzione, sia essa pubblica o privata, e per la 
ricerca. Serve all'Italia una sorta di rivoluzione copernicana che punti a 
premiare il merito, la volontà, il sapere. Così come servono risorse, anche 
ingenti, per promuovere e sviluppare la ricerca scientifica senza la quale 
nessuna nazione può illudersi di affrontare le sfide della competizione globale. 
E serve infine un nuovo modello culturale capace di dare opportunità: 
soprattutto ai nostri giovani che devono essere messi in grado, tutti, di 
partire alla pari per competere e accettare così le sfide della vita. (viva 
la demagogia!!!) FRANCESCATO: Sulla scuola come Verdi abbiamo avuto già modo di esprimerci. 
Le ricordo che la senatrice Carla Rocchi è sottosegretaria alla Pubblica 
Istruzione. Crediamo comunque che la scuola debba indirizzarsi verso un modulo 
interdisciplinare obbligatorio. La scuola del ventunesimo secolo deve farsi 
carico di fornire a tutti i giovani la capacità di leggere e comprendere un 
contesto territoriale e di progettarne lo sviluppo in senso sostenibile. 
Proponiamo perciò che all'interno del ciclo primario e secondario della scuola 
riformata sia istituito un modulo obbligatorio, della durata di circa 100 ore 
sulla conoscenza e progettazione del territorio. Tale modulo dovrebbe costituire 
un percorso pluridisciplinare da inserire obbligatoriamente nel piano 
dell'offerta formativa della scuola, lasciando al Consiglio d'Istituto la 
definizione delle modalità. Alla costituzione di questo modulo dovrebbero concorrere i docenti di tutti gli ambiti disciplinari, coordinati da un docente «esperto» o «coordinatore», e con il sostegno di «centri territoriali specializzati» sul modello dei Laboratori territoriali del Ministero dell'Ambiente. D'altro canto la scuola ha oggi la responsabilità, letteralmente, di formare i cittadini del mondo. Se all'epoca della riforma Gentile lo studente acquisiva cittadinanza e cognizione dei processi che avevano determinato il suo ambiente culturale studiando approfonditamente, ad esempio, il Risorgimento, lo studente moderno, cittadino d'Europa e del Mondo, potrà comprendere le dinamiche che hanno dato come frutto il suo mondo, il suo pensiero, il suo stile di vita solo se conoscerà la Storia del ventesimo secolo. In particolare la Storia mondiale del secondo dopoguerra: dalla guerra fredda al post-colonialismo, le scelte di sviluppo agricole-industriali-energetiche, la Storia e il funzionamento delle grandi istituzioni sovranazionali, il percorso di unificazione europea etc. In una riforma che porti a una maggiore integrazione tra le diverse discipline, è necessario che almeno un anno intero di studio sia dedicato alla Storia contemporanea dal 1945 a oggi. E, sempre nella stessa ottica, è necessario inserire due lingue europee sin dall'inizio del ciclo primario, sia per la capacità formativa dello studio delle lingue, sia per colmare un ritardo cronico del nostro Paese nella conoscenza di lingue straniere. Così come si dovrà procedere ad un riequilibrio tra scienze «dure» e scienze della complessità. Mi spiego: il dualismo tra le scienze esatte (matematica, fisica, ingegneria, chimica) e quelle che possiamo definire della complessità (dalla filosofia alla biologia, dalle geografie all'ecologia e all'antropologia) è noto. Il valore formativo e culturale di entrambe è fuori discussione; le politiche recentemente adottate dal Ministero della Pubblica Istruzione sono eccessivamente sbilanciate a favore delle scienze esatte, in maniera tale da richiedere un netto riequilibrio che dovrà esplicitarsi a livello della definizione di nuovi curricula (ha appena detto che hanno il sottosegretario alla Pubblica Istruzione dunque: cambiate le cose adesso o mai più :-) . Soprattutto si dovrà tener conto di discipline come l'Economia e il Diritto, che devono diventare obbligatorie in tutti gli indirizzi di studio, compresi quello umanistico e quello scientifico. L'Economia oggi non può più prescindere da concetti quali limitatezza delle risorse, capacità di carico dei sistemi naturali, sostenibilità. Concetti come «beni fuori mercato&rqauo;, «esternalità ambientali», tasso di sconto intergenerazionale ecc., dovrebbero far parte di un approccio integrato del corso d'economia e non essere più relegati nell'economia dell'ambiente. Come vede, per noi, il percorso è ancora lungo ma siamo sulla buona strada. Per cui l'età del neo-laureato, che certo è importante per la sua capacità di competizione sul mercato europeo e mondiale, non può prescindere dalla sua effettiva preparazione. E se i pc in classe servono a questo, ben vengano, ma non possono essere l'unico parametro di modernità della nostra scuola. TREMONTI: Non mi occupo di università. E non sono un tuttologo. Ma qualcosa 
in materia di «istruzione & formazione» ho proposto. Per le «3i», di 
inglese, impresa, informatica. I figli dei ricchi le imparano a casa. E gli 
altri? La nuova ricchezza è il «sapere». E per questo va diffuso, più che si 
può. La televisione pubblica (ma non vogliono privatizzare tutto?) deve 
essere modernamente usata, non solo per l'intrattenimento, ma appunto anche per 
la formazione. Per ulteriori informazioni a questo proposito, si veda la 
proposta di legge Berlusconi, Tremonti. TERZA DOMANDA: Certificati scaricabili a casa, firma 
digitale, card personale con i dati sanitari, carta d'identità e patente con 
banda magnetica… Tanti esperimenti belli, ma sembrano iniziative isolate di una 
regione, di un ministero o anche di un singolo comune: manca una regia 
centralizzata, capace di una visione vera su come sia meglio impostare la strada 
per il domani. Ma in Italia le aziende che hanno a che fare con le tecnologie 
dell'ultima generazione non sono poche e si fanno molto onore. Non sarebbe il 
caso che lo Stato chiedesse consiglio a chi ne sa più di lui?  FINI: Sì, ma fino a quando continuerà a regnare la piovra burocratica sarà 
difficile ottenere questo risultato: l'innovazione che intendiamo promuovere a 
tutti i livelli prevede perciò anche il coinvolgimento delle intelligenze e 
delle capacità che operano già oggi sul territorio nazionale. FRANCESCATO: Magari istituendo il Ministero del Web! Scherzi a parte, ho 
l'impressione che lo Stato stia già su questa strada e lo ha ricordato lei 
citando parti della pubblica amministrazione che si stanno già mettendo in rete. 
Una regìa centralizzata che obblighi e conduca per mano tutti insieme e 
all'unisono le componenti dello Stato è una prospettiva affascinante ma anche 
pericolosa, perché significa una selva di regolamenti e di burocrazie che 
rischiano di essere già vecchie rispetto alla continua innovazione a cui 
l'informatica ci ha abituato. A livello centrale, politico ciò che si può 
realisticamente fare è far sì che ogni pezzetto, sia pure la più piccola 
circoscrizione cittadina, sia messa in grado, anzi, stimolata a mettersi in rete 
il più rapidamente possibile avendo come obiettivo l'offerta servizi ai 
cittadini. (questo è vero federalismo!) TREMONTI: È esattamente quello che ho fatto, prima di presentare la 
proposta di legge di cui sopra! QUARTA DOMANDA: Lascerebbe suo figlio dodicenne solo 
davanti a un computer connesso a internet? FINI: Mia figlia Giuliana ha 15 anni e naviga tranquillamente in internet. 
Ed è lei che, ogni tanto, mi invoglia a cliccare. O, meglio, mi spiega come 
fare!  FRANCESCATO: Premesso che non ho figli, non vedo perché no? Il problema non 
è il mezzo, ma l'uso che se ne fa. Come per la tv. I nostri figli vanno educati 
all'uso del mezzo, quale che esso sia. E qui torniamo al discorso 
dell'istruzione. La scuola non deve creare solo cittadini informati, ma persone 
capaci di usare in maniera critica e creativa le informazioni che hanno appreso. 
Non basta allora sapere quale tasto spingere, bisogna essere capaci di 
riconoscere un buon sito da uno cattivo, un buon varietà da un brutto film 
(o ancora meglio: un buon film da un brutto varietà). TREMONTI:  Sì. È lui che avrebbe qualche perplessità nel lasciare 
me. QUINTA DOMANDA: Il fisco italiano era, come tutti gli 
altri settori dello Stato, l'ultimo in Europa per la presenza in rete. Con le 
novità dell'ultimo semestre (vedi Unico disponibile su internet e la possibilità 
di fare la dichiarazione dei redditi on line), il fisco italiano è oggi il 
numero uno della comunità europea. Perché lo Stato si è mosso subito, anche 
intelligentemente, solo per le tasse? E gli altri settori: scuola, pubblica 
amministrazione, etc. quando arriveranno? FINI: Che si sia mosso velocemente è vero: nulla è più veloce e vorace del 
fisco italiano. Che poi tutto ciò preluda all'allargamento verso altri settori 
mi permetto di dubitare, sic stantibus rebus. FRANCESCATO: Arriveranno, arriveranno (speriamo prima delle elezioni 
del 2001 :-). Il fisco si è organizzato per primo ed ha avuto la fortuna di 
essersi affidato a tecnici e professionisti capaci, che hanno saputo persino 
anticipare verso quale direzione si stava muovendo Internet e tutto i suoi 
utenti. Sembra paradossale che il servizio pubblico meno amato dagli italiani 
(la riscossione delle tasse) sia finito per produrre il sito più utile. Un fiore 
all'occhiello per la pubblica amministrazione. Per cui se il resto della 
pubblica amministrazione ha bisogno di qualcuno a cui rivolgersi che ne sappia 
di più, dovrebbe rivolgersi proprio al Ministero delle Finanze. TREMONTI: Bene. Ma non vi pare un po' strano che si sia partiti proprio dal 
fisco? Al fondo, c'è questa idea: non è lo Stato al servizio dei cittadini. Ma i 
cittadini al servizio dello Stato! (qualcuno mi spieghi qual è la logica di 
questo ragionamento: a me sembrava che le iniziative on line del fisco fossero 
per agevolare i cittadini: possiamo benissimo anche non utilizzarle!) 
Comunque, non mi piace la logica con cui è stata fatta lavorare 
l'informatica di Stato: costi troppo alti, poca trasparenza, etc... (invece 
la Dc era tutta un'altra cosa...:-) SESTA DOMANDA: Lei usa internet? Se non lo fa, è perché 
non la stimola, perché non ha trovato il tempo di imparare oppure perché lo 
ritiene inutile? Se invece conosce la rete, quanto tempo naviga ogni 
giorno? FINI: Come dicevo prima, grazie a mia figlia a volte navigo anch'io. 
Naturalmente l'interesse c'è, ma il tempo è davvero poco. FRANCESCATO: Mi piacerebbe usarlo di più e saperlo usare di più. Potrei 
scandalizzarla dicendole che non so usare il computer, per cui non lo farò. 
(siamo al paradosso) Ciò non vuol dire che non stia sempre con maggior 
interesse guardando al futuro della rete. È questo il luogo dove un domani si 
svolgerà la vera attività politica, dove si organizzeranno i cittadini. Un luogo 
assolutamente orizzontale, dove non c'è, e non può esserci, l'ossessione della 
leadership. La mia opinione viaggia alla stessa velocità di qualunque altro 
internauta. I miei bytes valgono come i suoi e possono essere raccolti e letti 
dallo stesso numero di persone. Una immensa biodiversità intellettuale viaggia e 
si esprime grazie a internet. Il grande movimento di protesta contro le biotecnologie, che è sceso in piazza per la prima volta a Seattle, in occasione della conferenza dell'Organizzazione mondiale per il commercio (il Wto), è nato sulla rete, là si è organizzato e là oggi sta prosperando. Credo sia possibile immaginare una politica leggera, senza sovrastrutture burocratiche, capace di parlare con i cittadini direttamente e immediatamente. Non so quando questo avverrà e quale ricambio generazionale tra le fila degli stessi politici sarà necessario, ma sono convinta che il futuro sia là. TREMONTI: Sono un autodidatta. Anzi un figliodidatta. Quanto navigo? Più di 
quanto dovrei, meno di quanto vorrei. È una partita che regolerò da 
vecchio. SETTIMA (E ULTIMA) DOMANDA: Le sue risposte saranno 
cliccate da non meno di mezzo milione d'italiani, come un quotidiano a larga 
diffusione. Che impressione le fa? I politici non sembrano sensibili a 
utilizzare internet come mezzo di comunicazione. Perché non lo conoscono o 
perché internet non è "influenzabile"? FINI: Nessuna particolare impressione. Che poi internet non sia 
influenzabile mi pare azzardato: ognuno in rete manda i propri messaggi e 
dialoga con chi li recepisce. Internet è un modo nuovo per conoscere e farsi 
conoscere. E come per tutte le novità credo che ne vada incoraggiato l'utilizzo, 
con giudizio (magari proibendo i siti per i gay...:-). FRANCESCATO: Essere cliccati non può che fare un bell'effetto. Non a caso i 
Verdi sono stati uno dei primi partiti a mettersi sulla rete, diversi anni fa, 
alle origini del web e ancora prima quando il nostro giornale i nostri documenti 
erano accessibili attraverso la bbs di Agorà. Non solo, ma durante l'ultima 
campagna elettorale siamo stati fra i promotori del sito del centrosinistra, 
dove hanno transitato, dialogando in diretta video con i cittadini, molti nomi 
noti dello spettacolo e della cultura italiana. Un'esperienza di successo che 
andrebbe ripetuta e amplificata. TREMONTI: La cliccata è (tendenzialmente) individuale. La giornalata è 
invece collettiva. Nel senso che per una copia venduta c'è più di un lettore, 
perché ogni copia di giornale circola in famiglia e dunque viene letta da più di 
una persona. Dunque mezzo milione di copie di giornale vendute corrispondono ad almeno un milione di occhiate. Dunque stampa batte internet 2 a 1? Solo per ora e per poco. Non sarà così nel prossimo futuro. Certo che è più difficile disintegrare un atomo che un pregiudizio! Che impressione mi fa essere cliccato da mezzo milione di navigatori? Il problema è l'opposto: che impressione fanno, a loro, queste sette risposte? (sta prendendo lezioni di megalomania da Berlusconi?)   |