![]() ![]() |
Per una svolta nel campo dell'occupazione, dalpunto di vista fiscale e degli incentivi si potrebbe riprendere una iniziativa demagogica del governo Berlusconi di permettere a costo zero di aprire aziende, e di pagare tasse solo sul fatturato entro I primi due anni. Questo invoglierebbe tanta gente a iniziare delle attivita', potrebbe anche dare un'immagine di innovazione e non costerebbe nulla in termini economici. Il vantaggio potrebbe interessare tanti giovani, senza grosse possibilita' economiche e con il peso di dover pagare tributi anche in assenza di guadagni. Il tutto potrebbe avere dei limiti legati al campo d'applicazione e alla durata dei benefici. Ma in ogni caso potontributo alla dimunuizione della disoccupazione. Per quanto riguarda l'innovazione dei nostri imprenditori, la stessa confindustria ammise che non si poteva tollerare ancora l'arretratezza del nostro sistema imprenditoriale, cioe' un'altra generazione d'ignoranza. Il fatto e' che non e' facile fare innovazione e competere con chi lo fa da tanto tempo. Purtroppo non tutto il sistema universitario e' all'altezza di questo processo innovativo, e non e' mai esistito un ministero per lo sviluppo e il progresso tecnologico. Ben altro avviene in altri paesi, dove le locali Agenzie Tecnologiche programmano grandi progetti da sviluppare con aziende private, pubbliche e universita' (il taglio per intendersi non e' l'alta velocita' in Italia, ma un programma evoluto come ADA, che e' diventato lo standard in tutte le applicazioni della difesa, oltre ad avere aperto grandi prospettive anche nel campo civile). Una buona iniziativa mi e' sembrata quella della regione Sardegna, che ha deciso di dare un milione a chi acquista un PC. Non male, se ci fosse ancora l'Olivetti sarebbe piu' utile della rottamazione (ma quanti soldi abbiamo regalato agli Agnelli!). Io aggiungerei anche un paio di corsi virtuali (sempre su PC) su programmazione e reti. Se tutti I ragazzi del sud sapessero usare un computer (in modo professionale, non solo con WinOffice) tante societa' straniere sarebbero invogliate ad aprire stabilimenti da noi (basso costo della manodopera, checche' ne dicano gli industriali, ed alta professionalita'), con grandi possibilita' di attivita' indotte. Michele Corvo. -----Original Message----- From: gargonza@perlulivo.it [mailto:gargonza@perlulivo.it] On Behalf Of Corrado Truffi Sent: Thursday, June 22, 2000 6:24 PM To: Multiple recipients of list GARGONZA Subject: [GARGONZA:8997] confindustria Mi sembra interessante. Sull'Unità di oggi Imprenditori, più innovazione meno prediche Nicola Cacace Sappiamo tutti che l'Italia ha un sacco di problemi che ne rallentano la marcia, instabilità politica, Pubblica amministrazione inefficiente, Mezzogiorno arretrato, sistema produttivo inadeguato, formazione scarsa e scadente, ricerca e sviluppo insufficiente, numero eccessivo di sindacati e sindacatini, ma spesso anche le grandi organizzazioni si esercitano nella denuncia di problemi che spetta ad altri risolvere e quasi mai di problemi che dipendono anche da loro, dalla loro cultura e dai loro difetti storici. Per essere più chiari nessuno critica la Confindustria quando pensa che tutti i guai del paese dipendono dalla scarsa flessibilità del lavoro o dall'art. 8 dello Statuto dei lavoratori (quello che vieta licenziamenti senza giusta causa), o dalla pressione fiscale sempre troppo alta (anche quando si riducono di tre punti gli oneri sociali), o che i problemi della Sanità e dell'Inps si risolverebbero se adottassimo quel modello America di sanità e pensioni private bocciato da tutte le Organizzazioni internazionali come il più iniquo e più costoso al mondo, o quando paragona l'ingresso dell'Italia in Eurolandia alla discesa al Purgatorio, o quando, nelle ingiuste critiche alla recente riforma sulla parità scolastica dimentica che un ministro di sinistra ha riformato la scuola pubblica e privata e più di trenta ministri democristiani non avevano mosso una virgola. Né si critica la Confindustria quando pensa che se l'Europa adottasse il modello America di sviluppo (quello della piena occupazione ma con salari fermi al 1972, grazie anche a due milioni di immigrati legali ed illegali l'anno, quello dei 1600 miliardi di dollari di debito estero e dei 300 miliardi di dollari di deficit corrente l'anno, quello del risparmio zero delle famiglie e di 75 milioni di cittadini senza copertura sanitaria e pensionistica) andremmo tutti in Paradiso. Tant'è, il modello America è diventato per liberisti, conservatori e reazionari di oggi quello che il Capitale di Marx era per le masse operaie dell' 800, con l'aggravante che questo era un testo di lotta politica e lo dichiarava, il modello America è la presentazione di una realtà in modo parziale per fini ideologici e politici impropri. Perché l'Italia non cerca invece di imitare l'America nelle sue virtù che sono soprattutto due, il tasso di innovazione della finanza e il dinamismo dei suoi imprenditori? La Confindustria prende atto ora del fatto che l'economia italiana corre finalmente al passo con l'Europa, sia come Pil (3% nel primo trimestre) che come occupazione (+1% previsto nel 2000 e nel 2001), che il disavanzo pubblico è in linea con gli impegni di Maastricht (1,6 e 1% per il 2000 ed il 2001), che il differenziale di inflazione con l'Europa si è ridotto ma lamenta che «i fattori di fondo che hanno determinato l'erosione della competitività italiana negli ultimi anni e che sono alla radice del trend negativo della nostra bilancia commerciale permangono». Ma da chi dipende in prima istanza questa carenza di innovazione del sistema produttivo se non da difetti storici della nostra imprenditoria per troppi anni abituata a competere grazie alle svalutazioni competitive della lira più che dalle innovazioni di prodotto? L'Italia resta il paese europeo che ha operato ristrutturazioni del suo apparato economico tra le meno incisive d'Europa. Gli stessi problemi della nostra bilancia dei conti correnti, che da oggi la Confindustria giustamente lamenta, dipendono dal fatto che per troppi anni l'imprenditoria italiana si è adagiata sui successi dei settori tradizionali riducendo al minimo le escursioni nei nuovi settori come quello dei servizi, alle imprese, lasciando ad esempio comparti in forte crescita e ad alto valore aggiunto come la pubblicità e la consulenza aziendale completamente in mano agli stranieri delle varie Satchi e S. A. Andersen, etc. Sarebbe bene che gli esperti nazionali ed internazionali, invece di farci ripetute prediche sulla flessibilità e le cose non fatte qualche volta ci dessero il giusto riconoscimento per le cose fatte malgrado «tutto». L'Italia ha realizzato il più incisivo risanamento economico e programma di privatizzazioni dell'Europa negli ultimi anni. Nessun paese ha fatto meglio di noi limando senza distruggerlo lo stato sociale e mantenendo una complessiva competitività del sistema Italia determinato dal fatto che, malgrado un trend negativo, abbiamo ancora un attivo dei conti correnti migliore della media europea. Tutti, dal Fmi all'Ocse alla Confindustria ci ricordano l'esigenza di completare la riforma delle pensioni ma dimenticano che l'appuntamento coi sindacati per rivedere i conti è per l'anno 2001 e non per il 2100. Tutti, la Confindustria un giorno sì ed uno no, ci ricordano la «gobba» dei conti Inps del 2010 ma pochi ricordano che la vera gobba che ci deve far tremare è quella del 2020, quando i sessantenni del milione di bambini nati sino al 1965 si confronteranno coi ventenni dei 500mila bambini nati nel 2000. Ci sarà allora un deficit di manod'opera del 50% con problemi gravissimi per tutto il sistema, quello produttivo non meno che quello pensionistico. Questo deficit c'è già da oggi, esso è di 200mila unità tra sessantenni che escono dal mercato del lavoro e ventenni che entrano, che diventeranno 300mila nel 2010, 400mila nel 2015 e toccherà il massimo di 500mila nel decennio 2020-2030. Dopo di che esso calerà lentamente sino a stabilizzarsi intorno alle 100mila unità nella seconda metà del secolo, a meno che non cambi qualcosa nella politica nazionale di sostegno della natalità e nella politica di immigrazione, entrambe necessarie se l'Italia vuole evitare di diventare il paese di 40 milioni di abitanti più vecchio del mondo, naturalmente evitato come la peste dagli investimenti delle multinazionali. La modernizzazione del paese di cui tutti parlano, Confindustria compresa, sarà resa ogni giorno più difficile dalla carenza di manod'opera giovane necessaria sia per i lavori «manuali» che sono ancora la maggioranza che per quelli della nuova economia e la globalizzazione in atto rischia di vedere l'Italia avvicinarsi sempre più ai paesi del Terzo mondo, a meno di seguire la via americana tanto cara alla Confindustria di importare immigrati per lo 0,7 della popolazione ogni anno, che per noi significherebbe l'impossibile cifra di 450mila unità. Per concludere, la ripresa economica in atto è a rischio ma non per le cause denunciate dalla Confindustria. Essa è a rischio per le inefficienze della Pubblica amministrazione malgrado gli sforzi di Bassanini e per la «gobba» demografica. Questa si avverte soprattutto nel Centro-Nord, le Regioni a più bassa natalità del paese e nei settori della nuova economia, quasi tutti prerogativa dei giovani, a causa dell'asimmetrica distribuzione di questa risorsa rara sul territorio nazionale. Ancora oggi, malgrado il calo generalizzato delle nascite, a Nord come al Sud, quest'ultimo, col 36% della popolazione ed il 29% dell'occupazione vede nascere ogni anno quasi lo stesso numero di bambini che nel Centro-Nord. Sarebbe ora che invece di insistere su falsi problemi, la flessibilità e la fiscalità, il dibattito si concentrasse sui modi per far diventare più avanzata la nostra finanza e per incoraggiare gli imprenditori italiani a sperimentarsi di più nei settori della nuova economia, industria e servizi, sicuri che con le doti di creatività e di impegno che li hanno fatti diventare leader mondiali in tutti i settori basati sulla moda, potranno primeggiare anche altrove. ![]() |