![]() ![]() |
Rimando i documenti che ci aveva allegato Flora e che erano illeggibili. Ciao Sandro >Date: Tue, 20 Jun 2000 13:45:12 +0200 >From: Anna Capitani <t.capitani@tin.it> >To: Multiple recipients of list GARGONZA <gargonza@perlulivo.it> >Subject: [GARGONZA:8982] appuntamento definito per seminario-congresso di Network roma Per il seminario-congresso di Network Roma convocato per il 27 giugno a Roma presso Palomar Via G.Bianchi 7(Testaccio) ore 18.00-24.00 gli aspetti tecnico/organizzativi hanno trovato in qualche modo la loro definizione, quelli della discussione politica sono cominciati con il documento "La sinistra dopo Internet" a cui hanno fatto seguito già varie interessanti e mail.. e PROSEGUIRANNO con il seminario All'appuntamento si potrà partecipare di persona a Roma e i "fortunati" potranno anche bere assieme visto che vogliamo navigare anche tra i sapori... inoltre sarà possibile seguire i lavori via web, partecipare in videoconferenza, in chat o via e mail; le istruzioni saranno pubblicate nei prossimi giorni (mandaremo un avviso) al sito http://www.network-roma.org/ Allego il documento di avvio discussione e il volantino di convocazione con lo slogan scelto "FAI LA COSA GIUSTA (e poi chiamala di sinistra)" , l'agenda dei lavori e una proposta di temi di discussione..... Naturalmente tutti gli interessati sono invitati a partecipare in qualche modo. (volantone NETWORK) FAI LA COSA GIUSTA (e poi chiamala di sinistra) la sinistra dopo Internet: seminario-congresso di netWork-roma Martedì 27 Giugno 2000 Presso PALOMAR - 06 5754632 Via Gustavo Bianchi 7 Testaccio - traversa di P.zza S. M. Liberatrice Dalle ore 18.00 alle ore 24.00 e oltre (vini e cibi non sono virtuali) Si discute, tra l'altro, di: - Quanto dura per la politica un "anno-internet" ? - Rappresentanza della trasformazione o trasformazione della rappresentanza? - L'astensionismo malattia senile della politica - Osservare il cambiamento o agire nel cambiamento? - La sinistra è stata sconfitta: ora occupiamoci della destra - Tecnologie per la felicità sociale - Le nuove comunità di produzione - La rete usa la politica che usa la rete - La militanza utile (documento base - pare di Giulio de Petra, ma non e' firmato...) La sinistra dopo internet Contributo al congresso straordinario di network-roma Roma 26-27 giugno 2000 1. Tutte le valutazioni sulla crisi attuale della sinistra convergono almeno su un punto: la crisi nasce dalla evidente incomprensione della rapida e violenta trasformazione che negli ultimi anni ha cambiato i connotati della società italiana. Tanto più la sinistra ha infarcito i suoi documenti ed i discorsi dei suoi leader di riferimenti alla società dell' informazione, tanto meno è sembrata in grado di comprendere le conseguenze reali del modo di produzione digitale sia sui soggetti sociali nuovi sia su quelli tradizionali. Quasi preoccupati dalle implicazioni di questa affermazione, anche i migliori però si fermano a questo punto dell' analisi. Si sporgono cioè sul problema politico della separazione tra la sinistra e la società, ma sono incapaci di proseguire, affascinati e spaventati nello stesso tempo dalla profondità, dalla vastità e dalla velocità dei cambiamenti avvenuti. Soprattutto la velocità sembra un ostacolo assai difficile. Se è vero che un "anno internet" dura tre mesi, questo è vero anche per la politica. Ciò che appariva un indizio, diviene rapidamente un comportamento diffuso. Mentre ci si accapiglia su come incentivare la diffusione di internet, il mercato, con gli abbonamenti gratuiti, produce effetti molto più rapidi di quelli che la politica sta ancora discutendo. Tutte le associazioni e le lobby nate a sinistra per spiegare alla politica le conseguenze e le opportunità della rivoluzione digitale sono oggettivamente spiazzate dalla borsa, che impone con la forza dei listini la "nuova economia" al primo posto dell'agenda politica. Ma perché la sinistra non è riuscita, non riesce a interpretare la trasformazione? Questo il nodo da sciogliere. 2. Alcuni, quelli che vivono più da vicino i processi di trasformazione, da tempo indicano la necessità, per la sinistra, di costruire la rappresentanza politica dei nuovi soggetti sociali, di non arroccarsi esclusivamente nella difesa del suo blocco sociale tradizionale (critica questa ben diversa da quella di chi vede - con profonda inconsapevolezza dell'irriducibile spessore sociale dei processi di cambiamento - la condizione dell'affermarsi della modernizzazione proprio nella sconfitta del blocco sociale tradizionale della sinistra). Proprio questa è stata una delle ragioni, ad esempio, dentro i DS, della costituzione della autonomia tematica "network", e di altre iniziative analoghe dei settori ancora vivi del partito: iniziare a costruire la rappresentanza politica dei soggetti della trasformazione. Ma anche questo tentativo, forse la risposta più intelligente a quanti raccomandano ritualmente di "radicare nuovamente il partito nella società" o di "intercettare il cambiamento sociale", non riesce a risolvere il problema, dimostra già dal suo nascere gli indizi del fallimento, resta prigioniero delle logiche autoreferenziali della politica di partito. 3. E' necessario fare ancora un passo avanti e riconoscere che la natura stessa della trasformazione in atto non pone solo il problema di costruire a sinistra la rappresentanza politica dei nuovi soggetti sociali, ma costringe a fare i conti con una profonda crisi dello strumento stesso della rappresentanza: cioè della politica. La trasformazione prodotta dall'uso intenso e pervasivo della tecnologia digitale nel lavoro, nelle relazioni sociali, nella produzione intellettuale, nella costituzione della stessa identità personale, modifica radicalmente la natura stessa della "politica". Si può affermare che non è possibile costruire rappresentanza politica della trasformazione senza la trasformazione della politica stessa. Ovviamente per trasformazione della politica non vogliamo parlare della presenza dei partiti su internet (che ne è la parodia), ma del rapporto, ad esempio, tra l'uso delle tecnologie di rete e le possibilità di esercizio diretto della azione politica da parte dei soggetti sociali, della differenza di velocità e di efficacia tra l'azione sociale, culturale e produttiva delle comunità organizzate in rete (come dimostra Seattle, o il Noocse di Bologna) e la costosa inconcludenza dei riti politici delle organizzazioni di partito. 4. Se leggiamo da questo punto di vista il fenomeno dell'astensionismo, possiamo scoprire non tanto la crisi della partecipazione, l'individualismo senza valori, la fine della comunità, interpretazioni che gratificano soprattutto chi fa "politica". Ma, al contrario, l'inevitabile allontanarsi da forme inutili, inefficaci, chiuse di liturgia politica, a favore della pratica di forme nuove di organizzazione sociale. Non si tratta, quindi, per la politica, di sforzarsi di parlare dei "problemi della gente", affermazione di grande volgarità sia per il politico che la pronuncia, sia per la "gente" che la subisce. Ma di capire che non vi è un problema di contenuti separato dal problema, enorme, degli strumenti della rappresentanza. 5. A questa crisi della politica sono state fornite dai DS due risposte, entrambe recentemente fallite. La prima è quella della "politica leggera", che, semplificando, consiste nel mettere insieme leggi elettorali maggioritarie, coalizioni elettorali organizzate sui collegi, grandi valori generali e esperienze di volontariato. E' la ricetta dell'attuale segretario dei DS. Il risultato del referendum, proprio perché determinato dall'astensionismo, boccia pesantemente questa soluzione. La seconda è quella della politica dall'alto, tramite i poteri del governo esercitati con determinazione. E' l' esperienza tentata dall'ex presidente del consiglio, sconfitta non tanto dal risultato elettorale, ma dalla impossibilità di attuare riforme significative esclusivamente dall'alto, senza l'appoggio ed il coinvolgimento dei soggetti interessati alla trasformazione. Entrambi questi fallimenti dimostrano che non vi sono scorciatoie possibili e che bisogna mettere mano da subito alla "rifondazione" della politica: della sua forma, dei suoi strumenti, della sua organizzazione, del suo rapporto con la società. Tanto prima ci avvieremo in questa direzione, tanto prima potremo elaborare una risposta efficace all'offensiva oggi vincente della destra. Ma occorre essere consapevoli che non si tratta di un percorso breve, da bruciare nel poco tempo che manca alle elezioni politiche del 2001. Anche perché la politica che vogliamo rifondare non si esaurisce nel momento elettorale. Già altre volte, nel secolo scorso, la sinistra ha dovuto cambiare profondamente sé stessa interpretando i cambiamenti della società italiana. La più recente all'inizio degli anni sessanta. Allo spirito di quelle esperienze di ricerca e di intervento politico potrebbe essere utile oggi fare riferimento: non fare politica "osservando" la trasformazione, ma ricostruire la politica incidendo dall'interno sui processi di trasformazione. 6. Molto è già stato scritto e detto, a sinistra, sulla trasformazione prodotta dalle tecnologie digitali. Quasi nulla è stato detto "da sinistra". Infatti oggi, sul "modo di produzione digitale" si confrontano due interpretazioni. La prima, quella della destra, vede nella trasformazione in corso la verifica più efficace e smagliante delle straordinarie virtù del capitalismo, della competizione sui mercati, della possibilità di credere in sé stessi e nelle proprie capacità. La seconda, quella della sinistra, accetta sostanzialmente questo punto di vista, ma cerca di temperarlo. "Non esagerate!" sembra dire la sinistra, "mettiamo almeno qualche regola". E proprio dal numero e dall'intensità delle regole deriva l'apparente tasso di "sinistra" di questo punto di vista. Oppure si preoccupa degli esclusi (cioè di quelli ai quali, probabilmente, della trasformazione in corso non importa nulla). Inutile dire che nel confronto tra queste due posizioni, tra chi valorizza le opportunità e la capacità di iniziativa individuale, e chi cerca di frenare e di mettere paletti in nome di valori generali, non c'è competizione possibile. Vince, e di gran lunga, soprattutto tra i giovani, il punto di vista della destra. Ma è questo, quello delle regole e della prudente cautela, l'unico punto di vista possibile da parte della sinistra? Pensiamo di no. Dall'osservazione dei processi reali di trasformazione, da ciò che ci dicono già ora coloro che sono attori di questi processi emerge una prospettiva profondamente diversa per la costruzione di un punto di vista di sinistra sulla trasformazione. 7. Per indicare la direzione di questo percorso ci permettiamo ora alcune drastiche semplificazioni nel ragionamento. Il loro approfondimento e la loro verifica è parte del lungo lavoro da fare. La premessa, l'assunto di partenza è assumere, da sinistra, le caratteristiche della nuova economia digitale come straordinarie e inedite opportunità per lo sviluppo di relazioni produttive, economiche, sociali potenzialmente utilizzabili per migliorare la qualità della vita e la felicità sociale. Non solo l'accettazione di una trasformazione "ineluttabile": quante volte, nei nostri discorsi, l'esordio recita "dobbiamo prendere atto che non si può tornare indietro". Non solo non si può tornare indietro: non "vogliamo" tornare indietro perché pensiamo di avere uno strumento nuovo e potente per la costruzione di una società più giusta e più felice. Perché questo strumento incorpora decenni di lotta contro l'organizzazione fordista del lavoro, perché dall'utilizzo di questo strumento può dipendere la direzione e la possibilità stessa dello sviluppo del nostro paese. Se questo è il punto di partenza sarà più facile individuare la direzione della ricerca e dell'intervento politico, partire da una affermazione tanto schematica quanto già evidente ad un occhio laico e non viziato dal pregiudizio ideologico liberale: non è vero che il capitalismo (la sua forma attuale nell'occidente europeo) i suoi istituti, i suoi strumenti, i suoi valori sono la condizione che consente una piena utilizzazione sociale delle opportunità della economia digitale. Anzi, i suoi istituti attuali sono potenzialmente incoerenti con le caratteristiche intrinseche del nuovo modo di produzione, se le opportunità della trasformazione vengono sviluppate fino in fondo, se le implicazioni del nuovo modo di produrre vengono assunte nella loro radicale e inedita novità. Pensiamo alle forme attuali di gestione, contrattazione e remunerazione della prestazione lavorativa, alle regole dello scambio delle merci immateriali, all'organizzazione dei mercati, alle modalità cooperative dei processi di produzione, al venire meno dell'unità di tempo e di luogo come vincolo del lavoro e della vita. 8. Possiamo sintetizzare questo punto di vista dicendo che non solo la sinistra non deve opporsi alla trasformazione in corso, ma deve assumerne, consapevolmente, la forza dirompente, la capacità di rendere visibili e possibili forme nuove di organizzazione sociale. Gli apparati normativi, la cultura del management, i modelli di welfare, i linguaggi organizzativi costruiti e sperimentati nel secolo del lavoro fordista, sono oggi una gabbia che trattiene e deforma le forme del cambiamento possibile C'è oggi, in questa direzione, proprio a partire dalla sconfitta consumata, una straordinaria esperienza politica da sviluppare, che richiede fantasia interpretativa, onestà intellettuale, autonomia di giudizio, amore per i dettagli dei processi di cambiamento, generosità militante. Quanto di più lontano da un esercizio noioso e opportunista del sottogoverno. Non è un territorio vergine. In esso si muovono esperienze politiche che già hanno consumato da tempo la loro separazione dalla politica tradizionale, o che non hanno dovuto nemmeno incontrarla. In esso si colloca, di fatto, una molteplicità di esperienze produttive che hanno verificato l'inutilizzabilità della cultura organizzativa e manageriale tipica della economia tradizionale e stanno sperimentando modalità nuove di organizzazione della produzione e della distribuzione di servizi e prodotti. 9. Questo ci sembra l'unico compito possibile per chi ha condiviso l'esperienza di network, ed anche quello più ricco di ambizione. Non limitarsi al "fronte interno" del partito, non avere come unico orizzonte la modifica dei suoi equilibri interni. E' necessario e utile, al contrario, costruire cultura ed esperienza politica fuori dal recinto del partito. E' indispensabile, se si vuole costruire una politica di sinistra sul terreno della "nuova economia". Naturalmente questo non significa incontrarsi con altri spezzoni di sistema politico che hanno un tasso di autoreferenzialità inversamente proporzionale alla consistenza numerica. Fuori dal partito c'è il movimento del mondo che si trasforma, nuovi modi di produrre e di comunicare, nuove forme di impresa, nuovi laboratori della politica. E' questa la base sociale possibile di una "nuova sinistra" non conservatrice, l'unica vera possibilità per trascinare i DS fuori dalle secche in cui si sono incagliati. Questa galassia di esperienze è refrattaria agli strumenti della politica tradizionale, non riesce nemmeno a percepire la differenza tra "sezione" e "autonomia tematica", rifiuta lo sperpero inutile di energie come tributo ai riti della politica. Ma può essere interessata e coinvolta in luoghi della politica vicini alle modalità di lavoro e di relazione che le sono proprie. Questo luogo della politica, naturalmente, è la rete, come contesto di organizzazione e di cooperazione politica che consente nello stesso tempo confronto, autonomia, cooperazione finalizzata. ------------------------------------------------------------------------ Sandro Cecchi tel.02/38048205 (uff.) fax. 02/3086458 cell. 0347/1109355 e-mail: scecchi@geocities.com, altra poco usata: scecchi@tiscalinet.it Personal Home Page: http://www.geocities.com/CapitolHill/Lobby/9923 ------------------------------------------------------------------------ ![]() |