[GARGONZA:9027] appuntamento definito per seminario-congresso di Network roma
Sandro Cecchi  Lunedi`, 26 Giugno 2000

Rimando i documenti che ci aveva allegato Flora e che erano illeggibili.
Ciao
Sandro

>Date: Tue, 20 Jun 2000 13:45:12 +0200
>From: Anna Capitani <t.capitani@tin.it>
>To: Multiple recipients of list GARGONZA <gargonza@perlulivo.it>
>Subject: [GARGONZA:8982] appuntamento definito per seminario-congresso di
Network roma

Per il seminario-congresso di Network Roma convocato per il 27 giugno a
Roma presso Palomar Via G.Bianchi 7(Testaccio) ore 18.00-24.00 gli
aspetti tecnico/organizzativi hanno trovato in qualche modo la loro
definizione, quelli della discussione politica sono cominciati con il
documento "La sinistra dopo Internet" a cui hanno fatto seguito già
varie interessanti e mail.. e PROSEGUIRANNO con il seminario

All'appuntamento si potrà partecipare di persona a Roma e i "fortunati"
potranno anche bere assieme visto che vogliamo navigare anche tra i
sapori... inoltre sarà possibile seguire i lavori via web, partecipare
in videoconferenza, in chat o via e mail; le istruzioni saranno
pubblicate nei prossimi giorni (mandaremo un avviso) al sito
http://www.network-roma.org/
Allego il documento di avvio discussione e il volantino di convocazione
con lo slogan scelto "FAI LA COSA GIUSTA (e poi chiamala di sinistra)"
,  l'agenda dei lavori e una proposta di temi di discussione.....
Naturalmente tutti gli interessati sono invitati a partecipare in
qualche modo.



(volantone NETWORK)

FAI  LA  COSA  GIUSTA
(e poi chiamala di sinistra)

la sinistra dopo Internet:
seminario-congresso di netWork-roma

Martedì 27 Giugno 2000
Presso PALOMAR - 06 5754632
Via Gustavo Bianchi 7
Testaccio - traversa di P.zza S. M. Liberatrice
Dalle ore 18.00 alle ore 24.00 e oltre
(vini e cibi non sono virtuali)

Si discute, tra l'altro, di:

- Quanto dura per la politica un "anno-internet" ?
- Rappresentanza della trasformazione o trasformazione della rappresentanza?
- L'astensionismo malattia senile della politica
- Osservare il cambiamento o agire nel cambiamento?
- La sinistra è stata sconfitta: ora occupiamoci della destra
 - Tecnologie per la felicità sociale
- Le nuove comunità di produzione
- La rete usa la politica che usa la rete
- La militanza utile


(documento base - pare di Giulio de Petra, ma non e' firmato...)

La sinistra dopo internet

Contributo al congresso straordinario di network-roma
Roma 26-27 giugno 2000

1.
Tutte le valutazioni sulla crisi attuale della sinistra convergono almeno
su un punto: la crisi nasce dalla
evidente incomprensione della rapida e violenta trasformazione che negli
ultimi anni ha cambiato i connotati della
società italiana.
Tanto più la sinistra ha infarcito i suoi documenti ed i discorsi dei suoi
leader di riferimenti alla società dell'
informazione, tanto meno è sembrata in grado di comprendere le conseguenze
reali del modo di produzione digitale
sia sui soggetti sociali nuovi sia su quelli tradizionali.
Quasi preoccupati dalle implicazioni di questa affermazione, anche i
migliori però si fermano a questo punto dell'
analisi. Si sporgono cioè sul problema politico della separazione tra la
sinistra e la società, ma sono incapaci di
proseguire, affascinati e spaventati nello stesso tempo dalla profondità,
dalla vastità e dalla velocità dei
cambiamenti avvenuti.
Soprattutto la velocità sembra un ostacolo assai difficile. Se è vero che
un "anno internet" dura tre mesi, questo
è vero anche per la politica. Ciò che appariva un indizio, diviene
rapidamente un comportamento diffuso. Mentre ci
si accapiglia su come incentivare la diffusione di internet, il mercato,
con gli abbonamenti gratuiti, produce
effetti molto più rapidi di quelli che la politica sta ancora discutendo.
Tutte le associazioni e le lobby nate a
sinistra per spiegare alla politica le conseguenze e le opportunità della
rivoluzione digitale sono oggettivamente
spiazzate dalla borsa, che impone con la forza dei listini la "nuova
economia" al primo posto dell'agenda politica.
Ma perché la sinistra non è riuscita, non riesce a interpretare la
trasformazione? Questo il nodo da sciogliere.

2.
Alcuni, quelli che vivono più da vicino i processi di trasformazione, da
tempo indicano la necessità, per la
sinistra, di costruire la rappresentanza politica dei nuovi soggetti
sociali, di non arroccarsi esclusivamente
nella difesa del suo blocco sociale tradizionale (critica questa ben
diversa da quella di chi vede - con profonda
inconsapevolezza dell'irriducibile spessore sociale dei processi di
cambiamento - la condizione dell'affermarsi
della modernizzazione proprio nella sconfitta del blocco sociale
tradizionale della sinistra).
Proprio questa è stata una delle ragioni, ad esempio, dentro i DS, della
costituzione della autonomia tematica
"network", e di altre iniziative analoghe dei settori ancora vivi del
partito: iniziare a costruire la
rappresentanza politica dei soggetti della trasformazione.
Ma anche questo tentativo, forse la risposta più intelligente a quanti
raccomandano ritualmente di "radicare
nuovamente il partito nella società" o di "intercettare il cambiamento
sociale", non riesce a risolvere il
problema, dimostra già dal suo nascere gli indizi del fallimento, resta
prigioniero delle logiche autoreferenziali
della politica di partito.

3.
E' necessario fare ancora un passo avanti e riconoscere che la natura
stessa della trasformazione in atto non  pone
solo il problema di costruire a sinistra la rappresentanza politica dei
nuovi soggetti sociali, ma costringe a fare
i conti con una profonda crisi dello strumento stesso della rappresentanza:
cioè della politica.
La trasformazione prodotta dall'uso intenso e pervasivo della tecnologia
digitale nel lavoro, nelle relazioni
sociali, nella produzione intellettuale, nella costituzione della stessa
identità personale, modifica radicalmente
la natura stessa della "politica".
Si può affermare che non è possibile costruire rappresentanza politica
della trasformazione senza la trasformazione
della politica stessa.
Ovviamente per trasformazione della politica non vogliamo parlare della
presenza dei partiti su internet (che ne è
la parodia), ma del rapporto, ad esempio, tra l'uso delle tecnologie di
rete e le possibilità di esercizio diretto
della azione politica da parte dei soggetti sociali, della differenza di
velocità e di efficacia tra l'azione
sociale, culturale e produttiva delle comunità organizzate in rete (come
dimostra Seattle, o il Noocse di Bologna)
e la costosa inconcludenza dei riti politici delle organizzazioni di partito.

4.
Se leggiamo da questo punto di vista il fenomeno dell'astensionismo,
possiamo scoprire non tanto la crisi della
partecipazione, l'individualismo senza valori, la fine della comunità,
interpretazioni che gratificano soprattutto
chi fa "politica". Ma, al contrario, l'inevitabile allontanarsi da forme
inutili, inefficaci, chiuse di liturgia
politica, a favore della pratica di forme nuove di organizzazione sociale.
Non si tratta, quindi, per la politica,
di sforzarsi di parlare dei "problemi della gente", affermazione di grande
volgarità sia per il politico che la
pronuncia, sia per la "gente" che la subisce. Ma di capire che non vi è un
problema di contenuti separato dal
problema, enorme, degli strumenti della rappresentanza.

5.
A questa crisi della politica sono state fornite dai DS due risposte,
entrambe recentemente fallite. La prima è
quella della "politica leggera", che, semplificando, consiste nel mettere
insieme leggi elettorali maggioritarie,
coalizioni elettorali organizzate sui collegi, grandi valori generali e
esperienze di volontariato. E' la ricetta
dell'attuale segretario dei DS. Il risultato del referendum, proprio perché
determinato dall'astensionismo, boccia
pesantemente questa soluzione.
La seconda è quella della politica dall'alto, tramite i poteri del governo
esercitati con determinazione. E' l'
esperienza tentata dall'ex presidente del consiglio, sconfitta non tanto
dal risultato elettorale, ma dalla
impossibilità di attuare riforme significative esclusivamente dall'alto,
senza l'appoggio ed il coinvolgimento dei
soggetti interessati alla trasformazione.
Entrambi questi fallimenti dimostrano che non vi sono scorciatoie possibili
e che bisogna mettere mano da subito
alla "rifondazione" della politica: della sua forma, dei suoi strumenti,
della sua organizzazione, del suo rapporto
con la società.
Tanto prima ci avvieremo in questa direzione, tanto prima potremo elaborare
una risposta efficace all'offensiva
oggi vincente della destra.
Ma occorre essere consapevoli che non si tratta di un percorso breve, da
bruciare nel poco tempo che manca alle
elezioni politiche del 2001. Anche perché la politica che vogliamo
rifondare non si esaurisce nel momento
elettorale.
Già altre volte, nel secolo scorso, la sinistra ha dovuto cambiare
profondamente sé stessa interpretando i
cambiamenti della società italiana. La più recente all'inizio degli anni
sessanta.
Allo spirito di quelle esperienze di ricerca e di intervento politico
potrebbe essere utile oggi fare riferimento:
non fare politica "osservando" la trasformazione, ma ricostruire la
politica incidendo dall'interno sui processi di
trasformazione.

6.
Molto è già stato scritto e detto, a sinistra, sulla trasformazione
prodotta dalle tecnologie digitali. Quasi nulla
è stato detto "da sinistra".
Infatti oggi, sul "modo di produzione digitale" si confrontano due
interpretazioni.
La prima, quella della destra, vede nella trasformazione in corso la
verifica più efficace e smagliante delle
straordinarie virtù del capitalismo, della competizione sui mercati, della
possibilità di credere in sé stessi e
nelle proprie capacità.
La seconda, quella della sinistra, accetta sostanzialmente questo punto di
vista, ma cerca di temperarlo. "Non
esagerate!" sembra dire la sinistra, "mettiamo almeno qualche regola".
E proprio dal numero e dall'intensità delle regole deriva l'apparente tasso
di "sinistra" di questo punto di vista.
Oppure si preoccupa degli esclusi (cioè di quelli ai quali, probabilmente,
della trasformazione in corso non
importa nulla).
Inutile dire che nel confronto tra queste due posizioni, tra chi valorizza
le opportunità e la capacità di
iniziativa individuale, e chi cerca di frenare e di mettere paletti in nome
di valori generali, non c'è
competizione possibile.
Vince, e di gran lunga, soprattutto tra i giovani, il punto di vista della
destra.
Ma è questo, quello delle regole e della prudente cautela, l'unico punto di
vista possibile da parte della
sinistra? Pensiamo di no.
Dall'osservazione dei processi reali di trasformazione, da ciò che ci
dicono già ora coloro che  sono attori di
questi processi emerge una prospettiva profondamente diversa per la
costruzione di un punto di vista di sinistra
sulla trasformazione.


7.
Per indicare la direzione di questo percorso ci permettiamo ora alcune
drastiche semplificazioni nel ragionamento.
Il loro approfondimento e la loro verifica è parte del lungo lavoro da fare.
La premessa, l'assunto di partenza è assumere, da sinistra, le
caratteristiche della nuova economia digitale come
straordinarie e inedite opportunità per lo sviluppo di relazioni
produttive, economiche, sociali potenzialmente
utilizzabili per migliorare la qualità della vita e la felicità sociale.
Non solo l'accettazione di una
trasformazione "ineluttabile": quante volte, nei nostri discorsi, l'esordio
recita "dobbiamo prendere atto che non
si può tornare indietro".
Non solo non si può tornare indietro: non "vogliamo" tornare indietro
perché pensiamo di avere uno strumento nuovo
e potente per la costruzione di una società più giusta e più felice. Perché
questo strumento incorpora decenni di
lotta contro l'organizzazione fordista del lavoro, perché dall'utilizzo di
questo strumento può dipendere la
direzione e la possibilità stessa dello sviluppo del nostro paese.
Se questo è il punto di partenza sarà più facile individuare la direzione
della ricerca e dell'intervento politico,
partire da una affermazione tanto schematica quanto già evidente ad un
occhio laico e non viziato dal pregiudizio
ideologico liberale: non è vero che il capitalismo (la sua forma attuale
nell'occidente europeo) i suoi istituti, i
suoi strumenti, i suoi valori sono la condizione che consente una piena
utilizzazione sociale delle opportunità
della economia digitale.
Anzi, i suoi istituti attuali sono potenzialmente incoerenti con le
caratteristiche intrinseche del nuovo modo di
produzione, se le opportunità della trasformazione vengono sviluppate fino
in fondo, se le implicazioni del nuovo
modo di produrre vengono assunte nella loro radicale e inedita novità.
Pensiamo alle forme attuali di gestione, contrattazione e remunerazione
della prestazione lavorativa, alle regole
dello scambio delle merci immateriali, all'organizzazione dei mercati, alle
modalità cooperative dei processi di
produzione, al venire meno dell'unità di tempo e di luogo come vincolo del
lavoro e della vita.

8.
Possiamo sintetizzare questo punto di vista dicendo che non solo la
sinistra non deve opporsi alla trasformazione
in corso, ma deve assumerne, consapevolmente, la forza dirompente, la
capacità di rendere visibili e possibili
forme nuove di organizzazione sociale.
Gli apparati normativi, la cultura del management, i modelli di welfare, i
linguaggi organizzativi costruiti e
sperimentati nel secolo del lavoro fordista, sono oggi una gabbia che
trattiene e deforma le forme del cambiamento
possibile
C'è oggi, in questa direzione, proprio a partire dalla sconfitta consumata,
una straordinaria esperienza politica
da sviluppare, che richiede fantasia interpretativa, onestà intellettuale,
autonomia di giudizio, amore per i
dettagli dei processi di cambiamento, generosità militante. Quanto di più
lontano da un esercizio noioso e
opportunista del sottogoverno.
Non è un territorio vergine. In esso si muovono esperienze politiche che
già hanno consumato da tempo la loro
separazione dalla politica tradizionale, o che non hanno dovuto nemmeno
incontrarla.
In esso si colloca, di fatto, una molteplicità di esperienze produttive che
hanno verificato l'inutilizzabilità
della cultura organizzativa e manageriale tipica della economia
tradizionale e stanno sperimentando modalità nuove
di organizzazione della produzione e della distribuzione di servizi e
prodotti.

9.
Questo ci sembra l'unico compito possibile per chi ha condiviso
l'esperienza di network, ed anche quello più ricco
di ambizione. Non limitarsi al "fronte interno" del partito, non avere come
unico orizzonte la modifica dei suoi
equilibri interni.
E' necessario e utile, al contrario, costruire cultura ed esperienza
politica fuori dal recinto del partito. E'
indispensabile, se si vuole costruire una politica di sinistra sul terreno
della "nuova economia".  Naturalmente
questo non significa incontrarsi con altri spezzoni di sistema politico che
hanno un tasso di autoreferenzialità
inversamente  proporzionale alla consistenza numerica.
Fuori dal partito c'è il movimento del mondo che si trasforma, nuovi modi
di produrre e di comunicare, nuove forme
di impresa, nuovi laboratori della politica.
E' questa la base sociale possibile di una "nuova sinistra" non
conservatrice, l'unica vera possibilità per
trascinare i DS fuori dalle secche in cui si sono incagliati.
Questa galassia di esperienze è refrattaria agli strumenti della politica
tradizionale, non  riesce nemmeno a
percepire la differenza tra "sezione" e "autonomia tematica", rifiuta lo
sperpero inutile di energie come tributo
ai riti della politica.
Ma può essere interessata e coinvolta in luoghi della politica vicini alle
modalità di lavoro e di relazione che le
sono proprie.
Questo luogo della politica, naturalmente, è la rete, come contesto di
organizzazione e di cooperazione politica
che consente nello stesso tempo confronto, autonomia, cooperazione
finalizzata.





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Sandro Cecchi    tel.02/38048205 (uff.)  fax. 02/3086458  cell. 0347/1109355
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Personal Home Page: http://www.geocities.com/CapitolHill/Lobby/9923
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