[GARGONZA:9001] Pena di morte
Alexis Kilismanis  Venerdi`, 23 Giugno 2000

Cosa c'entra il "sistema", con una questione chiaramente "morale" e di
"coscienza"?
Non basta una buona educazione e l'opera di un paio di bravi psicologi per
fronteggiare il problema dell'emarginazione e della delinquenza? E' un
problema sociale?
E cosa c'entra il "sistema" con i problemi sociali? Le solite chiachiere di
chi ha tempo da perdere.
Pensate a lavorare piuttosto .... se riuscite. E se non riuscite cambiate
aria.

Ricevo e volentieri ritrasmetto in lista.
Alexis
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La Pena di morte negli USA è solo un problema di coscienza?

L'esecuzione della condanna a morte di Gary Graham pone degli
inquietanti interrogativi.
Interrogativi che molte associazioni contro la pena di morte non si
pongono o che fanno finta di non vedere, continuando a porre la
questione in maniera astratta, come un problema meramente etico, senza
cercare di capire come e perché nei democraticissimi Stati Uniti un
innocente potrebbe finire condannato a morte.
Diversamente, tra i cittadini americani comincia ad insinuarsi un dubbio
atroce, e che cioè il sistema giudiziario americano, ben lungi
dall'essere concretamente garantista dei diritti dei cittadini, si stia
macchiando di un numero considerevole di omicidi.
Il caso Gary Graham è emblematico: condannato a morte a soli 17 anni,
sulla base di una sola traballante testimonianza e senza avere sentito
alcun teste a difesa a causa dell'incapacità dell'avvocato assegnato
d'ufficio. Un processo, di fatto, senza difesa, negli anni smontato
pezzo per pezzo senza che vi sia mai stata, però, la possibilità di
arrivare ad una revisione.
La vicenda di Gary Graham presenta molte analogie con quella, più nota,
di Mumia Abu Jamal: anche quest'ultimo condannato a morte a seguito di
un processo farsa che le autorità americane si rifiutano di rimettere in
discussione; ed altre preoccupanti similitudini è possibile riscontrare
con altri casi purtroppo meno noti all'opinione pubblica.
Le coincidenze cominciano quindi ad essere un po' troppe per non
domandarsi come e perché negli Stati Uniti sia possibile calpestare,
apertamente, le più elementari garanzie giuridiche per arrivare a
condannare a morte un imputato.
Non ci troviamo, forse, di fronte ad una "giustizia esemplare" che ha il
solo scopo d'inviare messaggi nei confronti di chi ha tutte le "carte in
regola" (minoranze etniche e politiche, settori sociali emarginati o
conflittuali) per finire sul banco degli imputati?
Del resto, negli Stati Uniti il numero dei soggetti costretti a
restrizione della libertà è arrivato a livelli tali (circa 2 milioni) da
non lasciare dubbi riguardo alla funzione di controllo sociale e
politico svolto dal sistema penale americano. Una società che produce
diseguaglianze intollerabili nella quale le inevitabili manifestazioni
della piccola criminalità e dei comportamenti sociali e politici
considerati deviati non vanno risolti riducendo le diseguaglianze, ma
aumentando le discriminazioni, a partire da un sistema giudiziario che
condanna in modo esemplare i soggetti sociali ... non degni di tutela
giuridica.
La pena di morte negli Stati Uniti, quindi, non solo come una questione
di coscienza, ma anche e soprattutto un problema che investe l'intero
funzionamento della macchina giudiziaria direttamente coinvolta nella
lesione dei più elementari diritti civili e politici.
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