[GARGONZA:9002] l'eutanasia e' omicidio?
Rosanna Tortorelli  Venerdi`, 23 Giugno 2000

ancora in tema di vita e di morte...
perche' far la fatica di scrivere... se qualuno ha gia' scritto cio' che pensi?
ciao
rosanna



http://www.repubblica.it/quotidiano/repubblica/20000623/commenti/12marc.html

Non si può chiamare
omicidio l'eutanasia


di PAOLO FLORES D'ARCAIS

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L'INGEGNER Ezio Forzatti, 51 anni, è stato condannato dal tribunale di Monza a sei anni e sei mesi di carcere per
omicidio volontario premeditato, pur non avendo commesso nessun omicidio. Del resto, se davvero avesse commesso un
omicidio, sei anni e mezzo sarebbero una pena incredibilmente lieve. Ma Ezio Forzatti non ha commesso nessun
omicidio, e per questo la sua condanna (fosse stata anche di un solo giorno) suona come insopportabile ingiustizia.
Si dirà: l'ingegner Forzatti ha però staccato la spina che teneva il corpo di sua moglie "in vita", dunque
indirettamente l' ha uccisa. Sarà bene rispondere senza giri di frasi: se anziché staccare la spina avesse
iniettato veleno nella flebo, procurando direttamente la fine della "vita" di quel corpo, non avrebbe comunque
commesso nessun omicidio.
Per commettere omicidio non basta uccidere, infatti. È questa una condizione necessaria ma non sufficiente.
Altrimenti per omicidio dovremmo condannare chiunque in guerra spari a un nemico e chiunque esegua la condanna a
morte di un criminale (pratiche entrambi orribili, soprattutto quest'ultima: ma che non costituiscono
giuridicamente omicidio). E oltre tutto: nella guerra e nell'esecuzione di una pena capitale si uccide qualcuno che
non chiede affatto di morire. Nei casi che impropriamente vengono etichettati come eutanasia, invece, si tratta
proprio di questo: che la morte viene data a chi la chiede. Qualcosa di radicalmente opposto all'omicidio, dunque,
dove la vittima non invoca affatto la morte, anzi.
Ezio Forzatti e sua moglie Elena Moroni, proprio perché legati da amore profondo, si erano promessi di aiutarsi nel
caso a uno dei due fosse capitata la tragedia estrema di diventare un "morto vivente", corpo ormai senza coscienza,
senza più vita umana, tenuto "in vita" vegetativa attraverso macchine. Staccando la spina di Elena, Ezio non ha
fatto che onorare la volontà di sua moglie, la libera volontà di sua moglie.
Che un magistrato possa definire omicidio ciò che di un omicidio è agli antipodi, dunque, costituisce quanto meno
un incredibile errore giudiziario, che l'appello dovrà rovesciare. Fin dai banchi di scuola abbiamo letto di
matrone violate nell'onore o di condottieri romani sconfitti che si suicidavano. Talvolta facendosi trafiggere da
uno schiavo. A nessuno è mai venuto in mente di considerare "omicidi" questi episodi di evidente suicidio. E che
sia un uomo libero, anziché uno schiavo, a farsi strumento di una libera decisione altrui, sottolinea semmai
l'amore che spinge una persona a farsi strumento, e il rispetto autentico dell'altrui libertà.
Chiamare tutto ciò omicidio costituisce un inammissibile abuso linguistico, giuridico, morale. Un abuso che è
frutto di smisurato pregiudizio ideologico. Sarebbe come se un magistrato definisse infanticidio un aborto
(avvenuto nei termini di legge) perché tale lo considera il Papa. La stessa identica cosa avviene quando sanziona
come omicidio il suicidio assistito o lo "staccare la spina" a chi in precedenza ha previsto l'eventualità e ha
affidato alla persona più cara l'esecuzione della sua volontà.
Del resto, se i giudici di Monza avessero applicato non l'articolo del Codice che punisce l' omicidio volontario -
improponibile, abbiamo visto - ma quello che sanziona l'"omicidio di consenziente" (fino a quindici anni di
carcere!), neppure in questo caso avrebbero fatto giustizia. Tale norma sarebbe un ossimoro se si trattasse di
poesia (l'aggettivo incompatibile col sostantivo, ghiaccio bollente, insomma). Poiché si tratta di legge, siamo
alla mostruosità giuridica, degna di essere portata alla Corte costituzionale (o più immediatamente, di essere
abrogata dal parlamento).

Non c'è rispetto per la vita se esso non fa tutt'uno col rispetto della libera volontà - fino all'estremo - di chi
vive la propria vita, di chi è la propria vita. Ma la vita appartiene a Dio, si obietta. Una convinzionne che vale
per il credente, ma non può valere per chi è senza fede religiosa: una legge, perciò, non può mai tirare in ballo
la volontà di Dio, ma nascere solo da argomentazioni umane. Del resto: quale Dio? Il pastore valdese Bouchard, ad
esempio, si è detto orgoglioso del Consiglio comunale di Torino favorevole alla "eutanasia".
Il dilemma è tragico, doloroso, estremo, ma anche semplice: la tua vita caro lettore - e dunque anche la decisione
se porvi fine - appartiene a te o a me, politico, prete, magistrato? Elena Moroni aveva deciso, in caso di
disgrazia, e affidato la sua volontà a chi per amore le dava garanzia che l'avrebbe rispettata. Lo Stato, cioè
tutti noi, dobbiamo fare lo stesso, altrimenti la democrazia si rovescia in "Statolatria", la più orrenda delle
idolatrie.



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Rosanna Tortorelli - Milano
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