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Il capitalismo e la crisi

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda franz il 03/03/2009, 15:46

pagheca ha scritto:Concordo. Temo che questa discussione, per come e' stata impostata, non abbia molto senso. Anche io non credo che il libero mercato sia il sistema "migliore". Ma per una ragione diversa, piu' semantica che di principio.

Da un lato c'e' un teorico "mercato totalmente libero", dove si assume che l'economia sia in grado di regolarsi da sola e quindi l'azione dello Stato si debba ridurre semplicemente al rimuovere ogni vincolo (ed ogni sostegno). All'altro estremo c'e' invece il dirigismo totale: si ritiene che non ci sia spazio per l'iniziativa privata ma ci sia bisogno di una regolazione a priori del meccanismo economico che, si ritiene, non e' in grado di regolarsi da solo senza creare gravissime ingiustizie. Entrambi questi estremi si sono rivelati estremamente sbagliati e forieri di gravi inefficienze e ingiustizie.

Concordo, anche se ad onore del vero l'unico estremo vero che abbiamo visto all'opera è quello del dirigismo statalista e della economia pianificata. Possibile solo con una ferrea dittatura e controllo statal-poliziesco.
Il libero mercato non lo si vede da nessuna parte, perché hai perfettamente ragione a dire che da nessuna parte è mai stato implementato o raggiunto. Esistono tuttavia alcune analisi internazionali tendenti a valutare le economie nazionali in termini di "economia free" e queste mostrano che paesi piu' "liberi" sono anche quelli che stanno meglio sul piano dello sviluppo mentre quelli piu' imbrigliati arrancano, malgrado gli aiuti statali. Per quanto riguarda i paesi scandinavi forse quello che racconti era vero negli anni 70 ed 80, in quanto la loro economia era relativamente chiusa e protetta. Oggi con la globalizzazione le cose sono cambiate. Dal momento stesso in cui il mercato è piu' libero ed i consumatori possono scgliere beni (e sempre piu' spesso anche servizi) provenienti da tutto il mondo appare chiaro che le merci dei paesi scandinavi risultano troppo care salvo in quelle in cui l'alto valore aggiunto giustifica il prezzo) e quindi anche da loro c'è stato un ridimensionamento e qualche terremoto politico negli ultimi 20 anni.

Quindi concludendo anche in un'ottica mista tra libero mercato e condizionamento statale pare i primi funzioni meglio (in un mondo globalizzato) nel senso che dove nel mix prevale un mercato più libero ed aperto, è meglio; si sta meglio.

Non so trovare ragioni semantiche per questo ma solo motivi che ritengo sostanzialmente razionali.

Franz
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda pagheca il 03/03/2009, 18:34

Che cosa vuol dire "stare meglio sul piano dello sviluppo"? Suvvia, caro Franz, manteniamoci ai fatti, senza avere paura di dover cambiare idea se i numeri lo chiedono.

Previsioni GDP 2009, % cambiamento rispetto all'anno prima in
Norvegia: -0.2
Sweden: -1.0
Danimarca: -1.7

UK: -2.6
USA: -2.0
Italia: -2.3
Germania: -2.5

bilancia commerciale (ultimi dodici mesi, miliardi di dollari USA)

Norvegia +78.9
Svezia: +179.8
Danimarca: +5.6

UK: -173
USA -820.6
Italia: -18.7
Germania: +264.5

(da The Economist Intelligence Unit, Feb 14 2009). Non e' vero che la Scandinavia sia in crisi: e' in condizioni migliori di quasi tutti i paesi iperliberisti (sempre relativamente - vedi mio intervento precedente) come gli USA.

Anche dati come indice di disoccupazione, bilancia commerciale etc. mostrano andamenti simili se non (relativamente) migliori. Ma quello che e' fondamentale e' che questi Paesi sono ai vertici di quasi tutte le statistiche sulla qualita' della vita, Indice di Gini (che misura la sperequazione) incluso, dove Danimarca, Svezia e Norvegia sono addirittura al vertice.

Io non capiro' mai perche' abbiamo un esempio di buona conduzione dello stato, di eguaglianza, di diritti, a poche migliaia di km, ma per qualche motivo dobbiamo fare finta che non esista, o trovare sempre qualche giustificazione, e si va sempre a guardare chissa' dove per trovare posti dove le cose sembrano funzionare.

saluti
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda ranvit il 03/03/2009, 18:43

Temo che la realtà scandinava sia molto particolare.....quattro gatti!

Vittorio
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda pagheca il 03/03/2009, 19:12

ranvit ha scritto:Temo che la realtà scandinava sia molto particolare.....quattro gatti!

Vittorio


Scusa vittorio, ma questo e' solo un luogo comune questionabile.
Ci sono paesi deserti e poverissimi. Ci sono paesi popolatissimi e ricchissimi come il Giappone.
Essere "4 gatti" non e' necessariamente sintomo di ricchezza. La manodopera e' ricchezza, le infrastrutture possono costare di piu' in un paese come quello.

Continuo a non capire perche' ci si ostini a trovare sempre qualche buon argomento per negare l'evidenza. Sono certo che dopo questo messaggio ne arrivera' un altro che dira' "si, pero'...".

Si pero'... Recentemente discutevo con un'amica rifondarola che mi diceva "si, pero' quelli se ne fregano del resto del mondo". Gli ho dimostrato dati alla mano che Svezia e Norvegia sono tra i Paese al mondo con il piu' alto numero di rifugiati e asylum seeker pro capita. Oltre a cio' offrono loro non un campo profughi ma casa, scuola e istruzione gratuita per un certo numero di anni. In particolare hanno accolto il piu' alto numero di rifugiati da Afghanistan (ed Iraq, ma di questo non sono sicuro), invece di inviare loro missili e carri armati.

saluti,
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda pierodm il 04/03/2009, 1:02

Tornerebbe molto utile rileggere e riconsiderare l'opera di Charles Wright Mills.
Tra l'altro, una tale rilettura avrebbe il pregio di tranquillizzare la coscienza di chi ha paura di autori che parlano il tedesco e il russo, o magari il francese: Mills è un sociologo texano. Liberale, ma con notevoli influenze intellettuali mutuate dal socialismo.
La visione della società che CWM propone non è rivoluzionaria, nei termini classici, ma io credo che rappresneti un esempio perfetto di una prospettiva di sinistra moderna, ossia profondamente e radicalmente riformista.
Un riformismo che esca dalla riscoperta tardiva di un liberalismo, obsoleto oggi infinitamente di più di quanto non lo fosse negli anni '40 e '50, nei quali ha soprattutto operato Mills.
Data la farraginosa arretratezza del nostro pseudo-liberalismo e pseudo-liberismo, e data la farraginosità spesso surreale del nostro dibattito politico che ne deriva, alcuni dei concetti espressi da Mills apparirebero estremamente attuali, anche considerati alla lettera e non solo come motivi di riflessione: specialmente sul rapporto pubblico-privato, e sul liberalismo ad intermittenza di certi settori imprenditoriali, oltre che naturalmente sui temi più generali del Potere.
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda franz il 04/03/2009, 8:59

pagheca ha scritto:Che cosa vuol dire "stare meglio sul piano dello sviluppo"? Suvvia, caro Franz, manteniamoci ai fatti, senza avere paura di dover cambiare idea se i numeri lo chiedono.

È chiaro che se si misura la febbre in un momento di crisi acuta, la troverai alta in chi prima era cresciuto tanto.
La valutazione dello "stare meglio" in termini di sviluppo (economico, sociale, scientifico, umano) va fatta in un grande periodo, o ciclo. Già 10 anni sono pochi, figurati 1. A mio avviso un confronto corretto deve prendere in considerazione come minimo un periodo di 20 anni e non vedere solo il PIL e la bilancia comerciale ma anche tutta un'altra serie di indicatori.
Per esempio la Cina ha ormai un periodo di quasi 20 anni di crescita, legata all'abbandono della economia pianificata verso un sistema di mercato sempre piu' libero (anche se manca molto per un vero sistema free - e manca anche all'Italia).
Bene, sicuramente oggi anche la Cina soffre l'attuale crisi ma credo che in 20 anni stiano sicuramente meglio, con tutte le luci e le ombre che lo sviluppo comporta (inquinamento compreso) e non rimpiangano la scelta.
In ogni caso i paesi nordici sono anche loro paesi in cui vige il libero mercato (mi pare si stia discutendo di questo, non di altro) ed il capitalismo. Hanno un diverso sistema di ridistribuzione, un diverso welfare. Ma è capitalismo anche quello.
Il fatto è che in democrazia la Svezia decide per un welfare, l'Italia per un altro, UK e USA per altre varianti.
È la democrazia, direi, il mercato libero qui mette solo a disposizione le risorse economiche.
La mia tesi è che nessun altro sistema è in grado di fornire risorse e piu' il mercato è libero da vincoli commerciali è piu' sono queste risorse. La spiegazione c'è ma ve la risparmio, per ora. Partendo da queste risorse poi ogni nazione decide democraticamente come, se e quanto ridistribuire.

Ciao,
Franz

PS: mi viene in mente ora che diversamente da quanto affermato nell'articolo di apertura (che per evidenti motiv ideologici contiene una enormità di inesattezze) la forbice tra ricchi e poveri si è fortemente ridotta. I paesi emergenti (che contano quasi metà della popolazione del pianeta) hanno visto tassi di crescita robusti per decenni (ben superiori ai nostri) da quando è caduto il muro ed hanno ricuperato gran parte del gap tecologico. Se 30 0 40 anni fa si diceva che c'era un 20% ricco (usa ed europa) ed un 80% povero, oggi siamo prossimi al 50-50. Solo la crisi attuale puo0 farci tornare indietro, per alcuni anni. Questo dovrebbe indurci a ritenere che se la crisi del capitalismo ci fa arretrare come ricchezza e crescita mentre 20 anni di crescita hanno ridotto la forbice, il capitalismo tanto malvagio non è. Il problema è la redistribuzione della ricchezza prodotta. Oggi il numero degli obesi e dei sovrappeso ha superato (mi pare nel 2001) il numero dei denutriti e si va verso un raddoppio . Soprattuto nei paesi poveri emergenti la % di obesi e sovrappeso è impressionante (dal 30 al 40%). Molto piu' della nostra.
Questo indica che la % di persone benestanti, messe improvvisamente a contatto con reddito e cibo in abbondanza, è cresciuta in modo impressionante e che esiste non tanto un problema produttivo ma ridistributivo.
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda pagheca il 04/03/2009, 11:11

Torno a quello che avevo scritto prima: il libero mercato non esiste in quanto tale, e' un'astrazione, modulata a seconda dei casi da componenti il cui effetto a mio parere e' stato grandemente sottovalutato. E tra queste compare certamente il socialismo.

........________USA_________UK____________________Svezia_________________URSS______
libero ********************************************************************************************************** dirigismo
mercato

... per intenderci (per favore: e' uno schema di massima! Naturalmente non si tratta di un sistema unidimensionale, ma questa mi sembra una buona rappresentazione, considerando che non sono uno specialista nel campo...).

Quello che voglio dire e' che c'e' un potente bias che ci impedisce di guardare ai paesi scandinavi come modello di un'ottima gradazione dell'economia di libero mercato. Li i diritti - ripeto - sono rispettati, esiste un vero welfare, c'e' solidarieta', attetnzione per l'ambiente, la sperequazione e' a livelli minimi EPPURE la ricchezza c'e' eccome e, contrariamente a quello che dicono tante Cassandre, regge anche a sfide come il credit crunch. In piu' sembra che paesi come quelli si sono trovati in posizione tutto sommato avvantaggiata rispetto ad iperliberisti come UK e USA.

Riguardo al fatto che e' un arco di 10-20 anni che dimostra la tenuta di un'economia, Franz ha forse ragione, ma non ho ancora visto dati concreti che dimostrino una crisi delle economie Scandinave a fronte di un continuo sviluppo di quelle di libero mercato (lasciamo da parte i paesi emergenti come la Cina che per definizione non operano in condizioni di stabilita'), mentre ne posso portare alcune che dimostrano come gli USA sono in crisi da quasi un decennio.

Consiglio a chi conosce l'inglese una lettura di questo articolo del 2006 di J. Sachs, Direttore dell'Earth Institute a Columbia Univ., New York, che apparve su Scientific American. In particolare riporto questa tabella:

Immagine.

Essa dimostra come il tasso di poverta' li e' ridottissimo, gli investimenti nella ricerca sono notevoli, il debito pubblico era in ottime condizioni (lo e' ancora) e la ricchezza pro-capita maggiore. E' vero che il tasso di disoccupazione (terza colonna) era leggermente maggiore, ma oggi non lo e' piu': Norvegia: 2.9%, Svezia: 6.4%, Danimarca: 2.1%!!!, USA: 7.6%, UK: 6.3%, (dati degli ultimi 3 mesi, The Economist, 14 Feb 2009). E in ogni caso importanti fattori di compensazione diluivano il problema.

Perche' insisto su questo tema? Perche' a me sembra che quando si parla di economia nel CS ci sia la tendenza a vedere una specie di contrapposizione messianica tra USA e "resto del mondo", mentre ci sono ottimi esempi che dimostrano come altre "ricette" possano produrre eccellenti risultati in grado di coniugare ricchezza e la liberta' personali senza produrre quegli squilibri che invece rendono gli USA profondamente ingiusti.

Questo e' un punto fondamentale, perche' permette di uscire dalla trappola della riduzione della pressione fiscale "a tutti i costi" nel quale il CS e il suo elettorato sembra essere caduto negli ultimi decenni. Il problema Italiano secondo me sono sempre stati a) la profonda ingiustizia (arroganza, direi) del sistema fiscale e b) la pessima qualita' dei servizi erogati. Decenni di egemonia culturale della destra hanno fatto si che nella gente sia passata l'idea che questi due problemi siano irrisolvibili senza una riduzione della pressione fiscale. Questo e' un luogo comune privo di fondamento: le 3 cose non sono assolutamente collegate fra loro. Una politica fiscale di CS dovrebbe guardare senza tema al modello Scandinavo. Dovrebbe convincere il tax-payer, soprattutto quello middle-class, che e' nel suo interesse avere un sistema giusto. Un sistema, per intenderci, che da un lato combatte l'evasione fiscale ma che non impone 2.000 euro di multa se manca una firma in un modulo o se la dichiarazione dei redditi arriva con 24 ore di ritardo. Che non richiede documentazione astrusa. Che non impone un reddito "presunto" al professionista onesto. Che non punisce chi le tasse le paga. Che non taglia genericamente tasse come l'ICI (comuni ovunque) generando sperequazione.

Esattamente - preciso - come avviene in ogni paese normale.

saluti
pagheca
Ultima modifica di pagheca il 04/03/2009, 11:17, modificato 1 volta in totale.
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda Rosario Amico Roxas il 04/03/2009, 11:16

Riassumendo tra i vari commenti, emerge l'esigenza di valutare l'itinerario che conduce il singolo uomo a diventare Società e successivamente farsi Stato. L'economia e il mercato, rappresentano solo una delle componenti, ma il principio deve o dovrebbe rimanere inalterato. Tra la Società e lo Stato, interviene il principio di autorità, alla quale tutti si deve sottostare, a condizione che tale principio sia indirizzato al "bene comune", altrimenti diventa arbitrio, autoritarismo e da qui tutti gli aspetti negativi caratterizzanti questa civiltà post-moderna.

Il principio di autorità e lo Stato di Diritto

LA SOCIETA’

La convivenza fra gli esseri umani non può essere ordinata e produttiva se in essa non è presente un'autorità legittima che assicuri l'ordine e contribuisca all'attuazione del bene comune in grado sufficiente.
Si chiama autorità il titolo in forza del quale delle persone o delle istituzioni promulgano leggi e danno ordini a degli uomini e si aspettano obbedienza da parte loro. Ogni comunità umana ha bisogno di un'autorità che la regga. Tale autorità trova il proprio fondamento nella natura umana. È necessaria all'unità della comunità civica. Suo compito è quello di assicurare, per quanto possibile, il bene comune della società. L'autorità, sostenuta dall'ordine morale, è insita nella natura stessa dell’uomo
Il dovere di obbedienza impone a tutti di tributare all'autorità gli onori che ad essa sono dovuti e di circondare di rispetto e, secondo il loro merito, di gratitudine e benevolenza le persone che ne esercitano l'ufficio.
Ne segue parimenti che l'esercizio dell'autorità politica, sia da parte della comunità come tale, sia da parte degli organismi rappresentativi dello Stato, deve sempre svolgersi nell'ambito della legge morale, per il conseguimento del bene comune, e di un bene comune concepito in forma dinamica, secondo le norme di un ordine giuridico già definito o da definire. Allora i cittadini sono obbligati in coscienza ad obbedire. Da ciò risulta chiaramente la responsabilità, la dignità e l'importanza di coloro che sono preposti alla cosa pubblica.
Inoltre, l'autorità è un'esigenza dell'ordine morale nella società umana; non può quindi essere usata contro di esso, e se lo fosse, nello stesso istante cesserebbe di essere tale.
L'autorità non trae da se stessa la propria legittima morale. Non deve comportarsi dispoticamente, ma operare per il bene comune come una "forza morale che si appoggia sulla libertà e sulla coscienza del dovere e del compito assunto". "La legislazione umana non riveste il carattere di legge se non nella misura in cui si conforma alla retta ragione; da ciò è evidente che essa trae la sua forza dalla legge naturale. Nella misura in cui si allontanasse dalla ragione, la si dovrebbe dichiarare ingiusta, perché non realizzerebbe il concetto di legge: sarebbe piuttosto una forma di violenza.

IL RUOLO DELLA LEGGE

Lo Stato di diritto è la condizione necessaria per stabilire un'autentica democrazia. Perché questa si possa sviluppare, è necessaria l'educazione civica e la promozione dell'ordine pubblico e della pace. In effetti, non vi è democrazia autentica e stabile senza giustizia sociale. Per questo è necessario che la Chiesa ponga maggior attenzione alla formazione delle coscienze, prepari dirigenti sociali per la vita pubblica a tutti i livelli, promuova l'educazione civica, l'osservanza della legge e dei diritti umani, ed attui un maggior sforzo per la formazione etica della classe politica.
Ma l'autorità non è una forza incontrollata: è invece la facoltà di comandare secondo ragione.
Trae quindi la virtù di obbligare dall'ordine morale.
Il presente momento storico rende urgente il rafforzamento degli strumenti giuridici atti a promuovere la libertà di coscienza anche in campo politico e sociale. A questo riguardo, il graduale e continuo sviluppo di un regime legale internazionalmente riconosciuto potrà costituire una delle basi più sicure per la pace e per l'ordinato progresso della famiglia umana. Nello stesso tempo, è essenziale che siano intrapresi sforzi paralleli a livello nazionale e anche regionale, per assicurare che tutte le persone, ovunque dimorino, siano protette da norme legali riconosciute sul piano internazionale.
L'autorità, come si è detto, è postulata dall'ordine morale, altrimenti rischia di diventare arbitrio.
Qualora pertanto le sue leggi siano in contrasto con quell'ordine esse non hanno forza di obbligare la coscienza. Quando invece una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza.
Leone XIII non ignorava che una sana teoria dello Stato è necessaria per assicurare il normale sviluppo delle attività umane: di quelle spirituali e di quelle materiali, che sono entrambe indispensabili. Per questo, in un passo della Rerum Novarum egli presenta l'organizzazione della società secondo i tre poteri-legislativo, esecutivo e giudiziario, e ciò in quel tempo costituiva una novità nell'insegnamento della Chiesa. Tale ordinamento riflette una visione realistica della natura sociale dell'uomo, la quale esige una legislazione adeguata a proteggere la libertà di tutti.
A tal fine è preferibile che ogni potere sia bilanciato da altri poteri e da altre sfere di competenza, che lo mantengano nel suo giusto limite.
È, questo, il principio dello "Stato di diritto", nel quale è sovrana la legge, e non la volontà arbitraria degli uomini.
Bisogna ribadire, inoltre, che nessun gruppo sociale, per esempio un partito, ha diritto di usurpare il ruolo di guida unica, perché ciò comporta la distruzione della vera soggettività della società e delle persone-cittadini, come avviene in ogni totalitarismo.
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda ranvit il 04/03/2009, 11:24

pagheca ha scritto:
ranvit ha scritto:Temo che la realtà scandinava sia molto particolare.....quattro gatti!

Vittorio


Scusa vittorio, ma questo e' solo un luogo comune questionabile.
Ci sono paesi deserti e poverissimi. Ci sono paesi popolatissimi e ricchissimi come il Giappone.
Essere "4 gatti" non e' necessariamente sintomo di ricchezza. La manodopera e' ricchezza, le infrastrutture possono costare di piu' in un paese come quello.

Continuo a non capire perche' ci si ostini a trovare sempre qualche buon argomento per negare l'evidenza. Sono certo che dopo questo messaggio ne arrivera' un altro che dira' "si, pero'...".

pagheca


Nessun "si pero'..."

Certo ho sintetizzato molto, ma ribadisco che non ritengo i Paesi scandinavi un esempio da citare. Oltre che "quattro gatti" (espressione con la quale non volevo certo dire che tutti i Paesi abitati da quattro gatti siano ricchi...), hanno tutta una storia e una religione diversa da noi. Poca evasione fiscale, senso civico elevato, tendenzialmente poco individualisti etc etc.
Cio' non toglie, come dici nei successivi post, che rappresentano una funzionale via di mezzo tra capitalismo e dirigismo economico.
Ma restano "quattro gatti"... e quindi poco significativi come esempio di cui tenere conto. Insomma sarebbe meglio rifarsi alle nazioni tipo Uk, Germania, Francia e Spagna.

Vittorio
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda franz il 04/03/2009, 11:44

pagheca ha scritto:T
Perche' insisto su questo tema? Perche' a me sembra che quando si parla di economia nel CS ci sia la tendenza a vedere una specie di contrapposizione messianica tra USA e "resto del mondo", mentre ci sono ottimi esempi che dimostrano come altre "ricette" possano produrre eccellenti risultati in grado di coniugare ricchezza e la liberta' personali senza produrre quegli squilibri che invece rendono gli USA profondamente ingiusti.

Guarda, su questo hai perfettamente ragione ed è un tema su cui insisto da tempo.
Tuttavia qui non mi pare che il problema fosse USA contro il resto del mondo ma piuttosto un modello di sviluppo.
In realtà appena usciamo dalle generalizzazioni vediamo che ci sono vari modelli e tu hai fatto ottimi esempi.
Tuttavia se approfondiamo ulteriormente a mio avviso scipriamo anche i perché dei vari modelli.
Non li hanno scelti a caso o razionalmente al supermercato: sono frutto del tutto evidente del condizionamento storico ed ambiantale.
I modelli nordici come svezia e norvegia per esempio sono fortemente infuenzati dalle condizioni climatiche estreme che portano ad una notevole inurbazione (mi pare piu' dell'85%) ed una prevalenza di attitudini sociali di solidarietà.
Altri climi, penso al mediterraneo, sembrano indurre maggiore individualismo e minore propensione all'industria ed alla produzione. Classico di un clima in cui con poco sforzo hai due raccolti l'anno, se hai acqua a sufficenza.
È ovvio che in zone come la svezia se non produci, se non sei produttivo, se non hai industria, non puoi sopravvivere al lungo inverno. L'agricoltura a nonr non basta per vivere. L'industria ed i commerci sono determinanti.
Esiste un chiaro gradiente sud-nord per quanto riguarda lo sviluppo economico e le qualità delle perspone di industrializzarsi e relazionarsi secondo modelli socieli diversi.

Secondo me quindi i vari modelli sono fortemente influenzati da fattori ambientali. Essi influiscono sulle aspettative delle persone, sulle loro relazioni sociali, sulla cultura, si stratificano storicamente.
Non credo che noi si possa scegliere, come al supermercato, un modello di sviluppo economico in stile svedese.
Eventualmente possiamo scegliere un modello politoco istituzionale (cioè un modo di far funzionare il sistema politico) ma i modelli economici credo che non siano "scelti" ma piuttosto "determinati" da fattori oggettivi e culturali.

Ciao,
Franz
Ultima modifica di franz il 04/03/2009, 11:55, modificato 1 volta in totale.
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