I nuovi cento passi di Renzi
Sfida a Di Maio e Salvini: portate l'Italia al massacro
di Carlo Valentini Twitter: @cavalent
Cento passi. È stato il leitmotiv dello show elettorale di Matteo Renzi, cioè la presentazione del programma elettorale Pd. Il segretario scandisce all'inizio: «Abbiamo fatto cento cose, cioè cento passi, adesso vogliamo fare altre cento cose, cioè altri cento passi».
Sarà il tormentone Pd di questa campagna elettorale, risposta alle promesse e alle contestazioni degli altri, dalla Lega a LeU: «Loro parlano e promettono, noi facciamo».
In realtà di promesse ce ne sono tante anche nel programma Pd: pensione di garanzia di 800 euro, salario minimo di 9 euro all'ora in quegli ambiti non coperti dai contratti nazionali, taglio di quattro punti al cuneo fiscale accompagnato da un piano a favore delle famiglie (costo: 9 miliardi) con tra l'altro 80 euro per ogni figlio mentre le madri avranno tre anni di sussidi in modo da avere tempo per ricollocarsi nel mondo del lavoro, meno lavoro a termine (contratti che passano da 36 a 24 mesi) e un maggior numero a tempo indeterminato, più Europa e avvio degli Eurobond, in modo che non sarà una tragedia quando Mario Draghi metterà fine all'acquisto di debito pubblico.
Renzi gioca in casa, all'Opificio Golinelli di Bologna, ingressi rigorosamente filtrati e riservati a persone di sicura fede. La scusa è che il luogo ha una platea ristretta, la realtà è che la città è stata griffata di scritte ingiuriose verso il segretario e perfino la blasonata sezione del centro storico (in via Belle Arti) è stata imbrattata nel cuore della notte. Segnali davvero poco belli e che impongono, purtroppo, quasi un assetto di guerra attorno all'Opificio, un, ex-capannone industriale che il fondatore del polo farmaceutico Alfa Wassermann (oggi comprende anche Sigma-Tau), Marino Golinelli, ha restaurato per farne un centro di studio e ricerca scientifica, un modo singolare ma encomiabile per festeggiare l'ingresso nei suoi 97 anni. Lui è sempre stato un fautore del centrosinistra, appoggiando in passato anche Il Mulino, e non ha voluto mancare all'incontro con Renzi, cui ha raccomandato di ricostruire la scuola, base dello sviluppo del paese, una delle promesse renziane non realizzate in questa legislatura. Il segretario risponde, sornione: «Sarà una delle cento cose che faremo dopo il 4 marzo».
Le due teste d'uovo che hanno scritto il programma sono Tommaso Nannicini e Marco Lombardi. Poi Renzi vi ha messo una spruzzata di slogan e il piatto è stato servito ieri ai dirigenti piddini e da oggi sarà propagandato nelle piazze e nei talk show
Tra i punti qualificanti (poteva mancare?) la riduzione delle tasse, col taglio di qualche punto all'aliquota mediana (38%) che più colpisce i redditi (dai 28 mila ai 55 mila euro) del ceto medio, la fascia di elettori che più è alla ricerca di un referente politico. Perciò Renzi insiste a lisciare la middle class: «La ricetta è rafforzare la crescita dell'economia, non distruggerla come avverrebbe con un governo di centrodestra».
Non si arriva (come si potrebbe?) alla drastica riforma fiscale di Donald Trump ma oltre al taglio dell'Irpef per i redditi medi il Pd prevede un ventaglio di sgravi per le imprese, con tasse unificate attorno al 20%, 4 punti in meno di peso fiscale sul lavoro e abbuoni per chi investe in tecnologia. E la legge Fornero? Rimane ma con aggiustamenti che potrebbero piacere ai pensionandi-elettori. Non si tocca neppure il Jobs act ma affiancato da un piano straordinario di formazione per reinserire chi si ritrova espulso dal mondo del lavoro. Il programma prevede ancora un rafforzamento del sociale, a cominciare dall'aumento del 50% del contributo per l'accompagnamento per i non autosufficienti.
Ieri Renzi ha fatto il chairman (giacca scura, camicia bianca senza cravatta). È salito sul palco giusto il tempo per criticare gli «amorosi sensi» tra Matteo Salvini e Virginia Raggi sui vaccini, ha avvertito che gli «italiani non sono talmente creduloni da prendere per buone le promesse che in queste settimane vengono lanciate», ha bocciato la flat tax di Silvio Berlusconi: «È immorale tagliare le tasse ai miliardari mentre tanta gente fatica ad arrivare alla fine del mese». Quindi ha chiamato sul palco Nannicini che ha spiegato tecnicamente il programma.
Pure lui ha sottolineato la concretezza dei cento punti, anche se poi i calcoli indicano un costo dei provvedimenti di 50 miliardi nella legislatura e dove prenderli non è chiaro, a parte il solito refrain della lotta all'evasione e del taglio della spesa pubblica. Tra gli interventi, quello di Sergio Gozi, una sorta di manifesto per gli Stati Uniti d'Europa, con l'accusa ai governi Berlusconi (e a Giulio Tremonti) di avere supinamente subito l'austerità come diktat in Europa, foriera di tanti danni per il nostro Paese. Insomma, Renzi & Co sono orgogliosi di questa legislatura e chiedono un voto per la continuità, puntando il dito soprattutto contro Salvini e Luigi Di Maio («porterebbero l'Italia al massacro»).
Non è un caso che la giornata piddina si sia svolta a Bologna, dopo la dichiarazione di Romano Prodi sul voto al Pd che ha frantumato la solida vicinanza politica con Pier Luigi Bersani e Vasco Errani e mandato definitivamente agli archivi l'Ulivo.
Renzi non poteva rimanere insensibile di fronte a questo quasi inaspettato regalo elettorale. Così è corso nella terra prodiana per lanciare il programma elettorale. Qui tra l'altro si presenta nella lista Insieme, di cui è stato tra i fondatori, uno dei più stretti collaboratori del Professore, Giulio Santagata, tra gli ispiratori del giro d'Italia in pullman che fu tra le carte vincenti dell'ingresso in politica di Prodi, suo mentore (e ministro) negli anni di Palazzo Chigi, oggi nel quartier generale di Nomisma, la società di ricerche economiche fondata da Prodi. Insomma, è difficile trovare un prodiano più doc di Santagata. Non ha avuto un collegio sicuro perché è stata data la precedenza all'altra prodiana di grido, Sandra Zampa, già in parlamento e vicepresidente del partito. Quindi l'invito del Professore a votare Pd è anche un invito a convergere le preferenze su Santagata in modo che egli si possa trovare in pole per la Camera dei deputati.
Poi c'è l'affaire-Casini, il quale ha dato prova negli ultimi anni di resistere alla sirena berlusconiana e addirittura ha spaccato il partito che aveva fondato, l'Udc, pur di evitare di finire calamitato nella galassia del Cavaliere. Dopo questo rodaggio Casini ora si schiera col centrosinistra, una decisione benedetta da Renzi, affamato di centristi perché pensa di riuscire così a togliere voti al centrodestra (non a caso ieri ha ribadito che «il nemico numero uno è la Lega, i moderati non possono votare per un centrodestra che rischia di essere capeggiato da Salvini»). Una benedizione che ha comportato la presenza di Casini nella lista in un collegio della sua città, Bologna. Nelle sezioni Pd è stata rivolta: come votare il nemico d'un tempo? Per di più quando sul fronte elettorale di LeU sono schierati personaggi dalla lunga storia di sinistra come Bersani ed Errani?
Per questo la campagna elettorale del Pd è ufficialmente partita ieri proprio da Bologna, con un galvanizzante annuncio del segretario «usciremo dalle urne come primo partito». C'è da credergli?
http://www.italiaoggi.it/giornali/detta ... di%20Renzi