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G8, il Pm: "Alla Diaz fu un massacro"

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Re: G8, il Pm: "Alla Diaz fu un massacro"

Messaggioda pierodm il 13/02/2009, 2:20

La libertà non è un concetto che appartiene all'etica?
La Dichiarazione non contempla la discriminante tra "giusto" e "ingiusto"?
Bah. Fai un po' tu.

Pagheca mi sembra che si fosse disconnesso, e non mi sembra che negli ultimi tempi si siano visti suoi messaggi.
Quindi, gli rinnovo il bentornato: se è sovrabbondante, meglio sovrabbondare in gentilezze che in insulti.
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Re: G8, il Pm: "Alla Diaz fu un massacro"

Messaggioda franz il 13/02/2009, 10:11

pierodm ha scritto:La libertà non è un concetto che appartiene all'etica?
La Dichiarazione non contempla la discriminante tra "giusto" e "ingiusto"?
Bah. Fai un po' tu.

Pagheca mi sembra che si fosse disconnesso, e non mi sembra che negli ultimi tempi si siano visti suoi messaggi.
Quindi, gli rinnovo il bentornato: se è sovrabbondante, meglio sovrabbondare in gentilezze che in insulti.

Secondo me no, tanto che per gli schiavisti (e per la maggioranza dei popoli antichi) la schiavità era perfettamente lecita, "giusta", per nulla in contrasto con l'etica.
Quando si passa a definire invece diritti universali, inalienabili, si deve per forza trascendere la visione etico morale di popoli e tempi differenti.
Ai diritti si arriva con la ragione. Che poi noi possiamo anche considerare "giusta" la libertà, è cosa meritevole ed implicita nel funzionamento della nostra mente, abituata ad inscatolare azioni e comportamenti come "giusti o "ingiusti".
Ora quindi noi consideriamo "giusta" la libertà. ma solo per alcuni casi. Per il caso Eluana non tutti considerano "giusta" la libertà di scegliere come morire.

Il solo fatto che per i diritti si debba lottare per affermarli mentre la morale e l'etica dominante rappresentano praticamente sempre un ostacolo a questa affermazione, dovrebbe far capire che nella logica moderna, post kantiana, i diritti non si appoggiano sulla morale e sull'etica come in passato. Questo è esploso soprattutto a partire dalla fine del 1700, con molteplici rivoluzioni e contro rivoluzioni. Sul piano mentale l'etica e la morale sono sistemi omeostatici, innestati in tenera infanzia, che tendono a stabilizzare il comportameno del singolo sulla base di insegnamenti genitoriali e ambientali. Come tale etica e morale sono piu' che altro un sistema di "conservazione" di comportamenenti che dal passato (genitori) ci vengono indicati come saggi e giusti.

Sempre sul piano mentale, gli aspetti analitici del nostro ragionare ci possono invece consigliare nuovi comportamenti che sono piu' adatti ai tempi, anche se sono in contrasto con gli insegmanenti morali ed etici ricevuti. Il fatto che alcuni (pochi) illuminati siano invece guidati da una morale piu' avanzata, non in contrasto con il pensiero razionale, non ci deve ingannare. Cosi' come non ci deve inganare il fatto che oggi etica e morale hanno incorporato i concetti che solo un secolo fa erano impensabili. Tuttavia il solo fatto che oggi ci sia contrasto tra alcuni diritti (pensiamo alla bioetica, al caso eluana, al testamento biologico) e la morale e che tu sappia benissimo da che parte sta chi ha una posizione "morale" su questi temi, dovrebbe farti venire qualche dubbio.

Ciao,
Francesco

PS: Pagheca purtroppo non scrive piu' da novembre. Probabilmente hai visto uno dei suoi ultimi interventi in questo vecchio thread ed hai pensato che fosse tornato. Una occhiata date ed ora dei messaggi, toglie ogni dubbio.

PS2: come sempre siamo andati fuori tema, ma questo è il bello delle discussioni
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Re: G8, il Pm: "Alla Diaz fu un massacro"

Messaggioda pierodm il 17/02/2009, 3:17

FranzQuesta discussione è arrivata su un binario morto, perché il problema per me è diventato capire quello che hai in mente più che tutto il resto.
Sono curioso di sapere che cosa significaper te "giusto" - a parte la sua etimologia dallo jus - e dove si contrappne al "razionale".
Non so se sia questo il punto, ma francamente vado alla cieca, dato che la questione mi sembra abbia preso una piega surreale.
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Re: G8, il Pm: "Alla Diaz fu un massacro"

Messaggioda franz il 17/02/2009, 12:57

pierodm ha scritto:FranzQuesta discussione è arrivata su un binario morto, perché il problema per me è diventato capire quello che hai in mente più che tutto il resto.
Sono curioso di sapere che cosa significaper te "giusto" - a parte la sua etimologia dallo jus - e dove si contrappne al "razionale".
Non so se sia questo il punto, ma francamente vado alla cieca, dato che la questione mi sembra abbia preso una piega surreale.

Rispondo volentieri, e non tanto per la curiosità di un singolo ma perché il tema puo' interessare altri.
Ovvero, non certo cosa penso io della cosa ma sulla differanza tra ragione e senso della giustizia credo che si possa discutere utilmente.
Per prima cosa non ho parlato di contrapposizione. Ma che sono cose diverse. Ribadisco e specifico che a volte coincidono, a volte no. Qui forse sei tu che sei abituato a vedere "contrposte" cose diverse ma a differenza di te non mi interessa sapere quello che hai in mente ma solo capirci.

Il senso del "giusto" è un sentimento. Anche un bambino a tre anni puo' provarlo in modo netto e forte, se gli portano via un giocattolo, se riceve una punizione che crede di non meritare, se vede solo altri premiati per cose che ritiene di meritare anche lui. Anche se vede altri puniti ingiustamente.
Tutto dipende dalle esperienze avute e dall'insegnamento genitoriale.
Si potrebbe dire, sul piano neurologico, che esiste nel cervello un "centro della giustizia", ovviamente legata al senso morale e ricco di conenuti etici. Il che vuol dire che anche se il contenuto di questo "centro" arriva dall'ambiente (genitori prima e società poi) la sua esistenza è genetica (come per il linguaggio), legata al fatto che chi ha questo centro ben sviluppato ha comunque un vantaggio sociale, relativo ad una specie sociale che vive di relazioni e di comportamenti (e sul giudizio di questi comportamenti).
La ragione o razionalità invece arriva piu' tardi, dopo la pubertà, con la maturità.
Ha sede in altre zone del cervello. Prende anche atto dell'input morale ma lo domina (se ci riesce) e lo analizza, osservandolo criticamente (se ci riesce). Dipende dalle esperienze e dagli studi fatti ma ha una sua forte autonomia rispetto all'insegnamento genitorieale.

La ragione osserva l'oggi, il senso morale del giusto ci proviene dal passato.
Dall'equilibrio tra i due si ottiene un progredire armonioso.
la prevalenza dell'uno o dell'altro puo' essere dannosa.

Ci puo' essere conflitto tra morale e ragione? A volte si, perché no? Ci puo' anche essere buona armonia.

Se fossero la stessa cosa, il problema non si porrebbe.

Franz
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Re: G8, il Pm: "Alla Diaz fu un massacro"

Messaggioda annalu il 17/02/2009, 19:45

franz ha scritto:Il senso del "giusto" è un sentimento. Anche un bambino a tre anni puo' provarlo in modo netto e forte, se gli portano via un giocattolo, se riceve una punizione che crede di non meritare, se vede solo altri premiati per cose che ritiene di meritare anche lui. Anche se vede altri puniti ingiustamente.
Tutto dipende dalle esperienze avute e dall'insegnamento genitoriale.
Si potrebbe dire, sul piano neurologico, che esiste nel cervello un "centro della giustizia", ovviamente legata al senso morale e ricco di conenuti etici. Il che vuol dire che anche se il contenuto di questo "centro" arriva dall'ambiente (genitori prima e società poi) la sua esistenza è genetica (come per il linguaggio), legata al fatto che chi ha questo centro ben sviluppato ha comunque un vantaggio sociale, relativo ad una specie sociale che vive di relazioni e di comportamenti (e sul giudizio di questi comportamenti).
La ragione o razionalità invece arriva piu' tardi, dopo la pubertà, con la maturità.
Ha sede in altre zone del cervello. Prende anche atto dell'input morale ma lo domina (se ci riesce) e lo analizza, osservandolo criticamente (se ci riesce). Dipende dalle esperienze e dagli studi fatti ma ha una sua forte autonomia rispetto all'insegnamento genitorieale.

La ragione osserva l'oggi, il senso morale del giusto ci proviene dal passato.
Dall'equilibrio tra i due si ottiene un progredire armonioso.
la prevalenza dell'uno o dell'altro puo' essere dannosa.

Ci puo' essere conflitto tra morale e ragione? A volte si, perché no? Ci puo' anche essere buona armonia.

Se fossero la stessa cosa, il problema non si porrebbe.

Franz


A volte, caro Franz, ti lanci in affermazioni di tipo, direi, filosofico-antropologico che sono opinioni tue, a volte confivisibili ed a volte no.
Sono capitata su questo argomento solo ora, per cui può darsi che non abbia seguito tutti gli interventi, ma rispondo ugualmente tenendo conto almeno di questo ultimo, poi se mai ne riparliamo.

Dunque, tu dici che il senso del "giusto" è un sentimento che si impara.
A questa affermazione posso rispondere in modo documentato (la citazione posso cercarla) per affermare che il senso del "giusto" è innato, e così universale da venir condiviso non solo dalle scimmie, ma anche da altri mammiferi che ci somigliano meno. Gli esperimenti in proposito sono stati condotti non su fatti che possono essere sentiti come ingiusti in modo arbitrario o collegato a fattori sociali, ma al senso più elementare di giustizia, cioè che ad azioni uguali compiuti da individui differenti (ma di pari livello) devono corrispondere ricompense di pari valore. Se alle scimmie venivano offerte ricompense differenti per la stessa azione, l'esemplare che aveva ricevuto in premio di valore inferiore lo rifiutava con sdegno. Lo stresso fanno gli umani, fin dalla più tenera età.
Ovvio che poi, sul sentimento innato di giustizia si inseriscono condizionamenti sociali, quando i fatti presi in considerazione riguardano comportamenti complessi e giudizi di carattere sociale.
Il senso della giustizia è quindi innato, e, può entrare in conflitto con un altro sentimento altrettanto innato, che è l'istinto di sopravvivenza o, più in generale, il bisogno di soddisfare desideri personali.
Se non ci fosse questo tipo di conflitto interiore, saremo tutti personaggi etici e non ci sarebbe bisogno di leggi. Invece il conflitto tra questi due sentimenti primordiali è molto forte, e questo alla fine determina il comportamento.

Riguardo alla schiavitù, il discorso è completamente diverso. Lì il problema è il riconoscimento dell'altro come persona. Per fare un esempio limite, le ranocchie non "riconoscono" come individuo della stessa specie una ranocchia ferita, per cui l'individuo ferito diviene semplicemente preda. Gli umani in linea generale non si identificano con individui di specie diverse, tanto più che siamo in genere anche carnivori, mentre non siamo antropofagi.
Gli uomini primitivi consideravano non-umani le persone anche solo appartenenti ad altre tribù. Fa impressione considerare "primitivi" uomini solo di un paio di secoli fa (ed anche alcuni contemporanei), ma così è. I razzisti considerano in qualche misura non-umani gli appartenenti a gruppi etnici differenti dal proprio.

Ed ora veniamo alla razionalità, o "ragione" come la chiami tu.
La razionalità è in realtà uno strumento, da un punto di vista evolutivo rappresenta solo la capacità di prevedere una serie di eventi più complessa e più dilazionata nel tempo, ed in relazione a questo, calibrare il proprio comportamento mirato al raggiungimento di uno scopo. Ha anche una localizzazione precisa nella corteccia cerebrale (mentre gli "istinti elementari" hanno localizzazioni più profonde nel cervello) e la corteccia sembra avere più che altro una funzione "inibitoria" sul comportamento, cioè permette di frenare l'azione per poter "pensarci su".

La ragione, la razionalità, hanno un limite assoluto: lo "scopo" non sono in grado di fornirtelo. Lo scopo devi trovarlo in te, nei tuoi istinti e nei tuoi sentimenti primordiali, che sono in realtà ciò che ti consente di vivere.

La razionalità e la ragione non possono quindi essere mai in conflitto con l'etica, in quanto l'etica appartiene ad un piano differente.
La razionalità può invece aiutarti nel porre dei parametri nel conflitto tra i sentimenti ed i desideri, nel porre un ordine insomma.

In quest'ottica, le leggi (e la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo) sono norme che cercano di far corrispondere al meglio ciò che sentiamo come etico con il nostro comportamento attuale. Ovvio che l'uomo, come individuo sociale, si evolve, ed adatta a questa evoluzione i propri sentimenti etici. Ovvio per esempio che, uno volta "scoperto" che gli uomini sono tutti uguali in linea di principio, il razzismo, per esempio, perde ogni dignità morale.

Però questo principio va riaffermato di continuo, altrimenti il nostro egoismo individuale, familiare o di gruppo può prendere il sopravvento, come purtroppo capita.

Direi che mi fermo qui.
Volendo si può anche continuare.

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Re: G8, il Pm: "Alla Diaz fu un massacro"

Messaggioda franz il 17/02/2009, 21:23

annalu ha scritto:A volte, caro Franz, ti lanci in affermazioni di tipo, direi, filosofico-antropologico che sono opinioni tue, a volte confivisibili ed a volte no.
Sono capitata su questo argomento solo ora, per cui può darsi che non abbia seguito tutti gli interventi, ma rispondo ugualmente tenendo conto almeno di questo ultimo, poi se mai ne riparliamo.

Dunque, tu dici che il senso del "giusto" è un sentimento che si impara.

No, francamente dopo la tua premessa stavo leggendo il tuo intervento ansioso di scoprirne i dettagli e di imparare qualche cosa di nuovo ma vedo che quello che scopro per prima cosa che tu sostieni che io ho detto una cosa che non ho detto. Ho detto che esiste una base genetica (quindi per forza comune con altre specie a noi vicine) e che il contenuto è ovviamente culturale. Il che, non serve un grande sforzo, è quello che hai cercato ti spiegare.
Ma sono d'accordo. Come potrei mai pensare ad un sentimento che si impara?
Ma pensi che il sentimento di giustizia di un mafioso sia lo stesso nostro?
E se è diverso, da cosa dipende? È chiaro che ci sono stati influssi ambiantali diversi.

Sul confitto tra etica e ragione, anche se sono su piani diversi è evidente che conflitti ci possono essere e la letteratura è piena di simili conflitti "drammatizzati" e romanzati.

Ciao,
Franz
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Re: G8, il Pm: "Alla Diaz fu un massacro"

Messaggioda annalu il 17/02/2009, 21:57

franz ha scritto:Ho detto che esiste una base genetica (quindi per forza comune con altre specie a noi vicine) e che il contenuto è ovviamente culturale. Il che, non serve un grande sforzo, è quello che hai cercato ti spiegare.
Ma sono d'accordo. Come potrei mai pensare ad un sentimento che si impara?

Benissimo, fin qui siamo d'accordo.

franz ha scritto:Ma pensi che il sentimento di giustizia di un mafioso sia lo stesso nostro?
E se è diverso, da cosa dipende? È chiaro che ci sono stati influssi ambiantali diversi.

Ecco, su questo non riesco ad essere d'accordo.
Il senso di giustizia di un mafioso (un mafioso classico, da romanzo) credo sia più o meno uguale al nostro. Solo che nella sua "cultura" non esiste il riconoscimento dell'altro, un po' come nelle ranocchie. E poi, il mafioso ha un ego spropositato (onore) e un concetto del tutto elementare di stato di diritto, basato sull'uso primitivo della forza. Il che è differente dal non avere senso della giustizia.

Quanto al comune malvivente, non è che non possieda il senso della giustizia. I casi possono essere due: o semplicemente ha deciso di non comportarsi in modo etico facendo prevalere i propri desideri immediati, oppure ha dei problemi neurologici nel riconoscimento dell'altro (neuroni specchio), o peggio, problemi nella sfera del piacere e dell'autostima, per cui si sente vivo solo nel dolore altrui (crudeltà).

franz ha scritto: Sul confitto tra etica e ragione, anche se sono su piani diversi è evidente che conflitti ci possono essere e la letteratura è piena di simili conflitti "drammatizzati" e romanzati.

Vorrei capire a quale tipo di conflitti tra etica e ragione ti riferisci.
A me sembra che si tratti di conflitti tra due comportamenti etici, che non è facile soppesare razionalmente. Oppure conflitti tra istinti e razionalità, come nel caso di innamorati che possono avere comportamenti non razionali.
Ma sarebbe meglio avere degli esempi concreti.

annalu

PS. Bello darsi a dibattiti astratti, ed anche molto razionale: distoglie dai problemi concreti troppo difficili da affrontare. E direi che oggi è proprio così, almeno per me. Perché di solito evito di imbarcarmi in discussioni che richiederebbero una trattazione ben più ampia di quella possibile in un forum politico, dove tra l'altro sono OT.
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Re: G8, il Pm: "Alla Diaz fu un massacro"

Messaggioda pierodm il 18/02/2009, 10:56

Annalu si è ben spesa nell'approfondire il discorso, e io mi ci accodo con grande stima intellettuale.

L'esempio delo schiavismo è perfetto: era considerato "giusto", ma solo sul piano abitudinario e razionale - utilitario - mentre su piani diversi anche nell'antichità la cosa non era affatto così scontata come ci piace rappresentarla.
Diciamo che la schiavitù era al tempo equivalente all'odierno lavoro dipendente, specialmente quello precario e senza garanzie, che è legale e considerato "giusto" sul piano aziendalistico, ma viene contestato da molti e presenta comunque molti aspetti specifici assai poco in sintonia con i principi della democrazia, e del rispetto umano.
Nella nostra cultura - che origina da tempi e società in cui vigeva la schiavitù, come quella greco-romana - sia allora sia nei tempi successivi, fino ad oggi compreso, il concetto di "servitù" di un uomo da un altro uomo è sempre stato considerato sinonimo di ingiustizia, e in generale uno status negativo, una triste necessità richiesta da un dato sistema economico.
La schiavitù era la massimizzazione della servitù, e si basava - come giustamente sottolinea Annalu - sulla dichiarazione o giudizio (spesso solo formale) di "diversità" ed ""estraneità" della persona destinata ad essere ridotta in quello stato: il nemico vinto, il barbaro.
Segno di magnanimità era concedere la libertà allo schiavo, da parte del dominus.
Magnanimità: uno dei tanti termini per descrivere la figura di un "uomo giusto", un uomo "pietoso".

D'altra parte - se parliamo di dichiarazioni universali - non sono mancate nell'antichità dichiarazioni equivalenti a quella vigente attualmente, anche se non con la stessa ufficialità.
Nel loro insieme le antiche filosofie cosmogoniche e morali avevano la stessa vocazione universalistica ed eterna che ha l'attuale, pur presentando qualche variazione significativa in materia di diritti individuali e sociali.
Nel confrontare queste variazioni non facciamo altro che prendere atto dell'evoluzione della coscienza e della cultura avvenuta in duemila anni: il "senso di giustizia" cambia, se cambia, tanto quanto cambiano gli elementi razionali, le valutazioni razionali.

Mi sembra poi francamente scorretto definire il "senso di giustizia" un "sentimento": è semplicemnete un processo mentale che elabora gli avvenimenti secondo una logica diversa da quella utilitaristica.
E' vero invece il contrario: la razionalità utilitaristica trova spesso comodo e, appunto, utile definire "giusto" ciò che torna a vantaggio di chi detiene il potere e governa il sistema socio-economico.

Direi quindi che la Dichiarazione Universale è più improntata al senso del giusto, che alla pura "razionalità".
Possiamo forse capirci meglio se riprendiamo un concetto espresso da Annalu: la ragione, la razionalità, hanno un limite assoluto: lo "scopo" non sono in grado di fornirtelo. Lo scopo devi trovarlo in te, nei tuoi istinti e nei tuoi sentimenti primordiali, che sono in realtà ciò che ti consente di vivere.
Il senso del giusto rientra nell'elaborazione dello "scopo": non è in contrapposizione, ma è qualcosa che va al di là, uno stadio successivo e più complesso.

La citazione, poi, del senso di giustizia del mafioso è poco più di una simpatica battuta. Lascimola lì.

Infine, l'unico punto di disaccordo con Annalu: argomenti come questo non sono OT, ma perfettamente in tema.
Più che mai in tema oggi, in cui sembra che dobbiamo rifondare l'universo mondo, ricominciando dall'abc della politica.
Franz, in molti casi, rappresenta bene questo reset culturale: la sua confutazione del "giusto" segue quella del "progresso" a vantaggio dello sviluppo, per esempio, che sono tutti temi profondamente politici. Assolutamente politici, e smentiscono l'idea che non ci sia più differenza ideologica tra destra e sinistra, e che tale differenza sia comunque obsoleta.
Ultima modifica di pierodm il 18/02/2009, 11:04, modificato 2 volte in totale.
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Re: G8, il Pm: "Alla Diaz fu un massacro"

Messaggioda franz il 18/02/2009, 10:58

annalu ha scritto:
franz ha scritto:Ma pensi che il sentimento di giustizia di un mafioso sia lo stesso nostro?
E se è diverso, da cosa dipende? È chiaro che ci sono stati influssi ambiantali diversi.

Ecco, su questo non riesco ad essere d'accordo.
Il senso di giustizia di un mafioso (un mafioso classico, da romanzo) credo sia più o meno uguale al nostro. Solo che nella sua "cultura" non esiste il riconoscimento dell'altro, un po' come nelle ranocchie. E poi, il mafioso ha un ego spropositato (onore) e un concetto del tutto elementare di stato di diritto, basato sull'uso primitivo della forza. Il che è differente dal non avere senso della giustizia.

E chi ha detto che non lo ha? Ho detto che è diverso.
Sicuramente chi ritiene "giusto" (??) sciogliere un bambino nell'acido, ha un senso di giustizia un po' diverso dal mio.
Per esempio nel suo senso di giustizia ci puo' essere la vendetta (che è un modo antico di farsi giustizia) mentre nel mio no. Il luogo celebrale (o funzionale) è lo stesso ma riempito di contenuti ambientali diversi.
Non voglio qui farne un problema di scala di valori tra vari sensi di giustizia. Solo indicare la diversità.
Ma anche per un musulmano osservante è "giusto" lapidare l'adultera. Credo che gli esempi di cosa culture in luoghi diversi e tempi diversi considerino "giusto" possano essere molteplici.

Credo che questo spieghi la necessità delle razionalità come elemento critico di successo riespetto al solo senso morale.
Il senso morale, che domina il nostro sentimento di giustizia, ha la funzione di darci rapidamente un supporto per decisioni "giuste" e rapide, senza pensarci su due volte. Il piu' delle volte, per casi semplici e noti (e riconoscibili) questo basta.
Ma ci sono casi in cui serve anche intelligenza, che come è noto possiamo definire come l'abilità a risolvere problemi nuovi. Da qui un grosso vantaggio evolutivo nelle specie che hanno questa funzionalità che rende piu' adattabile l'individuo ed il gruppo a fronte di improvvisi problemi nuovi.
annalu ha scritto:Quanto al comune malvivente, non è che non possieda il senso della giustizia. I casi possono essere due: o semplicemente ha deciso di non comportarsi in modo etico facendo prevalere i propri desideri immediati, oppure ha dei problemi neurologici nel riconoscimento dell'altro (neuroni specchio), o peggio, problemi nella sfera del piacere e dell'autostima, per cui si sente vivo solo nel dolore altrui (crudeltà).

Qui ti do' ragione: per il comune malvivente non c'è un particolare problema di "senso della giustizia" ma forse è solo un problema di ruolo nella società. Nel gioco guardia e ladri, qualcuno decide di giocare dall'altra parte. Io parlavo del mafioso perché in quel caso esiste una società, una cultura, un contesto che è legato a comportamenti, condette, un loro senso morale.
annalu ha scritto:Vorrei capire a quale tipo di conflitti tra etica e ragione ti riferisci.
A me sembra che si tratti di conflitti tra due comportamenti etici, che non è facile soppesare razionalmente. Oppure conflitti tra istinti e razionalità, come nel caso di innamorati che possono avere comportamenti non razionali.
Ma sarebbe meglio avere degli esempi concreti.

Io non considero "giusto" uccidere ma potrei arrivare, razionalmente, a capire che ... prendi un partigiano nella seconda guerra mondiale .... che malgrado le mie convinzioni morali la scelta razionale migliore è combattere il nazifascismo anche con le armi. Tra l'altro esiste una casistica di "dilemmi" basati proprio sul conflitto tra esito morlale, cio' che il nostro senso di giustizia ci dice di fare o non fare, e scelta razionale. A partire dal dopoguerra questi "dilemmi" sono stati studiati ed approfonditi, catalogati, razionalizzati. Classico è il dilemma del prigioniero, in cui a due complici catturati dalla polizia viene separatamente detto che se uno tradisce l'altro sarà subito libero(e l'altro si prende 10 anni) ma che se si tradiscono a vicenda le cose si mettono ancora peggio (5 anni a testa) che se non collaborassero (un anno a testa) . I due non possono comunicare e possono solo decidere al loro senso morale (non tradire il compagno) o cercare di trovare una soluzione razionale. Ognuno puo' pensare a cosa farebbe l'altro (se io lo tradisco ma anche lui lo fa perché è come me) e concludere che ogni sua conclusione logica sarebbe indipendentemente trovata anche dal suo compare. Questo ritenendo che le capacità razionali dei due siano identiche.
In alcuni casi di dilemma l'esito dettato dal senso di giustizia o morale, coincide con l'esito razionale, in alcuni dilemmi no.

Qui a grandi linee la mia argomentazione finale puo essere questa:
puo' esistere una pluralità di soluzioni morale ed etiche, nel tempo e nei luoghi perché questo è portato dalla cultura e dagli insegnamenti che ci vengono dal passato e che ogni gruppo sociale ed individio ha.
Sul piano della soluzione razionale invece dovremmo tendere ad una sola soluzione, partendo dai dati oggettivi del problema.

Quindi sul piano del "giusto" potremmo avere l'amputazione della mano per qualcuno e 3 mesi di carcere per altri ma sul piano razionale credo che si dovrebbe poter arrivare ad una soluzione unica ed intelligente.

La cosa è comunque difficile perché anche un sistema logico razionale si basa su postulati (nessun sistema logico è autosufficente) e questi postulati in fondo si appoggiano in parte anche su presunzioni morali di base il piu' possibile comuni a tutti.

Ciao,
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Re: G8, il Pm: "Alla Diaz fu un massacro"

Messaggioda franz il 18/02/2009, 12:32

annalu ha scritto:Ovvio per esempio che, uno volta "scoperto" che gli uomini sono tutti uguali in linea di principio, il razzismo, per esempio, perde ogni dignità morale.

Ecco un aspetto che avevo tralasciato, per non scrivere un romanzo.
Mi chiedo questa "scoperta" a cosa la si debba.
Ad un esteso e rinnovato senso della giustizia oppure alle ricadute sulla morale dovute alle scoperte scientifiche, frutto di uno studio analitico e razionale della natura e dell'uomo?
AL fatto che dopo millenni di vita dell'uomo si arrivi, solo negli ultimi due secoli, a capire che siamo tutti uguali, tu che valore dai?
E' stato un ragionamento (una conquista della razionalità e della ragione) che poi nelle generazioni successive si è riversato sull'etica e sulla morale (ed oggi abbiamo totalmente incorporato) oppure improvvisamemte il nostro senso di giustizia è stato folgorato sulla via di damasco ed ha indotto cosi' la testa a ragionare meglio? In entrambi casi pero' vedi che il senso di giustizia, il senso morale di individui è gruppi porta ad esisti comportamentali diversi rispetto a quanto la ragione puo' indurci, quando abbiamo i dati giusti. Con quella frase "uno volta scoperto che gli uomini sono tutti uguali in linea di principio, il razzismo, per esempio, perde ogni dignità morale", mi pare che tu mi dia direttamente ragione. La scoperta è stata razionale ed ha modificato il nostro atteggamente morale.
Dopo questa scoperta, cose che alcuni ritenevano "giuste" non lo sono state piu'.

Poi possiamo vedere i perché (giuste le tue osservazioni sul perché popoli antichi e primitivi non concepissero gli altri come persone) ma se oggi concepiamo tutti come persone e qualcuno oggi arriva ad estendere parte di questi concetti anche ad altri esseri viventi, se il nostro senso morale è cambiato è perché è stato guidato da un percorso razionale, di studio, oggettivo, basato sulla oggettività di analisi scientifiche e condotte con un metodo abbastanza rigososo come quello scientifico. E' stata una conquista della nostra capacità intellettiva. La morale ci diceva ben altro.

Se torniamo indietro di 200 anni, dato che festeggiamo il bicentenario della nascita di Darwin, possiamo osservare come le resistenze al discorso di questo scienziato (la teoria dell'evoluzione che comprendeva anche l'uomo) fossero maggiori in chi aveva un forte senso morale, tanto forte da impedire alla ragione di prevalere o anche solo di affacciarsi.
Costoro (religiosi, altri scienziati del tempo) furono casi in cui non vi era equilibrio tra ragione e morale, ma si facevano dominare da quest'ultima. Ce ne sono ancora oggi e si chiamano moralisti. Non è un caso (la storia delle persecuzioni subite da Bertrand Russell credo possa essere di esempio) che molti scienziati e studiosi liberi siano stati nel mirino dei moralisti, che per il lor senso di giustizia li sbattevano fuori dalle università, impedivano conferenze, impedivano che quel pensiero fosse insegnato.

Con questo non voglio mettere morale contro ragione. Possono benissimo andare in armonia. Ma questo è un lungo discorso che possiamo vedere in seguito, perché altrimenti diventa un testo troppo lungo.

Ma quando c'è conflitto appare evidente che nella maggior parte dei casi la morale ed il moralismo rappresentano aspetti reazionari mentre la ragione tende ad essere un elemento di progresso e di innovazione.
Che dire quindi del nostro senso della giustizia? Meglio che sia subordinato alla sola morale ed etica oppure che sia il piu' possibile affrancato al ragionamento logico alla razionalità?

Ciao,
Franz
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