Per la morte di Pietro Ingrao fioccano da destra e da sinistra le espressioni di apprezzamento per un uomo definito un grande statista, soprattutto un politico coerente.
Con tutto il rispetto per la morte di chiunque, non mi pare che la sua coerenza sia meritevole di particolari riconoscimenti.
Era il direttore dell'Unità nel 1956, del giornale che definì gli operai ungheresi insorti contro la dittatura comunista "teppisti" e "spregevoli provocatori", "fascisti" e "nostalgici del regime Horthyiano", e giustificò l'intervento delle truppe sovietiche come un elemento di "stabilizzazione internazionale" e di un "contributo alla pace nel mondo".
Solo 45 anni dopo definì "pessimo" il suo articolo di fondo.
Un po' troppi. La coerenza è certamente una qualità, ma non sempre c'è da andarne orgogliosi.