Grazie
Pino, la citazione del manifesto razzista è perfetta in questo nostro discorso.
Non sono d'accordo, per altro, sul fatto che ci stiamo allontanando dall'argomento originario: ci siamo dentro nel modo più assoluto, anche perché di queste cose e in questa prospettiva se ne parla pochissimo.
In anni lontani mi è capitato di litigare di brutto con certi compagni di partito, perché non accettavo la riprovazione rituale del fascismo e la sua riduzione alla caricatura del Mascellone, perfido oppressore di un popolo buono.
Per capire meglio l'agghiacciante "normalità" del nazismo e quanto di quegli antefatti, di quelle falsificazioni, di quella "razionalità" sia paragonabile con la nostra realtà attuale (nostra occidentale, non solo italiana), basta leggere un paio di testimonianze. Non c'è bisogno di scavare nelle biblioteche alla ricerca di uno scoop.
La principale è La Storia del Terzo Reich di William Shirer: la chiamo testimonianza, poiché l'autore è un giornalista americano che lavorò a Berlino fino all'entrata in guerra degli USA, con una conoscenza diretta degli avvenimenti, integrata dall'accesso ai documentazione che gli Alleati rinvenirono dopo la guerra negli archivi di Stato tedeschi.
Non si tratta di un libro a tesi, né tanto meno sensazionalistico, ma di una "storia" scritta con lo stile per quanto possibile neutro del reportage.
Da segnalare, tra l'altro, la citazione testuale di alcuni discorsi tenuti da Hitler in quella caricatura di Parlamento del Reich: non sono i discorsi di un matto, e nemmeno di un esagitato, di un guerrafondaio, di un cretino, e si avrebbe difficoltà a rintracciare frasi sulle quali ridacchiare o scandalizzarsi, o a riconoscere plateali e inconfutabili menzogne - niente di paragonabile, insomma, con la stupidità anche "scientifica" del manifesto razzista italiano, e niente che facesse pensare alle bestialità che si manifestarono successivamente o che si erano perpetrate ai livelli esecutivi del regime nazionalsocialista, per ordine dello stesso Fuhrer che teneva discorsi così sensati di fronte alla diplomazia mondiale.
La propagandaL'importanza della propaganda e della sua "penetrazione" è molto grande, ha ragione
Guido a ricordarlo.
Ma questa propaganda fa parte del problema, non è un elemento esterno: non è fatta da alieni, non si rivolge ad alieni, non deriva da una cultura aliena, usa argomenti che sono capaci di parlare alle persone alle quali si rivolge.
Quella propaganda è insomma uguale a qualunque propaganda che si dimostri efficace: comprese quella che noi giudichiamo, nelle nostre società attuali, "informazione" e comunicazione, spettacolo, cultura, nel momento in cui una tesi diventi prevalente e indiscussa.
Vittorio e
GuidoLa psicopatologia è appunto patologia, che come tale - se è riconosciuta come tale - in tutte le culture giuridiche del mondo è riconosciuta come esimente dal giudizio di "colpa" e di reato in senso pieno.
C'è tuttavia un vasto spazio in cui si verificano comportamenti che non sono patologici in senso medico, ma lo sono in senso sociale: è lo spazio proprio in cui si parla di "delinquenza", ossia di reato in senso proprio e pieno.
Il fatto che la legge stessa, però, riconosca diversi gradi di colpevolezza non è né strano, né riducibile ad una forma di "buonismo", essendo anche questo un istituto giuridico presente in tutti gli ordinamenti, perfino in quelli di tipo tribale.
Diciamo anche che la difesa della società da comportamenti e da "psicologie pericolose" non è - non dovrebbe essere - affidata solo alla legge e alla "punizione", ma anche ai meccanismi della convivenza basati soprattutto sulla prevenzione: dare una patente di pilotaggio ad una persona che è magari un grande scienziato o artista, ma distratto e con gravi difetti di vista è contrario al buon senso elementare, senza aspettare che sopravvenga un'eventuale tragedia di volo da costituire come "reato".
Lo stesso vale quando si mette la divisa di poliziotto e la pistola in mano a chi non è psichicamente in grado di mantenere la freddezza minima necessaria in situazioni di stress: faccio notare, però, che in questi casi si tende a scusare da parte di molti il "povero poliziotto che si è trovato in mezzo al casino". Una giustificazione, di per sé, accettabile in qualche caso, ma non diversa da quella che trova le ragioni del comportamento delinquenziale nella biografia del colpevole, nelle sue condizioni sociali, nelle situazioni di stress che hanno caratterizzato la sua vita.
Il fatto che in certi casi si esageri nel riconoscere le attenuanti nei diversi casi non significa che il concetto di "attenuante" sia sbagliato in sé, perché è alla base del concetto stesso di "giustizia".
Una giustizia cieca, che si limitasse a schiacciare i colpevoli come fa il DDT con le mosche, tutte condannate alla stessa "pena", non sarebbe giustizia ma una sorta di pulizia etnica, di disinfestazione: esattamente quello che intendendevano i nazisti, quando parlavano di ebrei, zingari, omosessuali.
