Ora che questa diversa ripartizione di compiti tra pubblico e privato comporti una bassa pressione fiscale (diciamo la completa esenzione per chi guadagna sotto il reddito mediano ed abbia due figli) direi che non dovrebbe scandalizzare nessuno (a meno di non essere comunisti, tanto per apprezzare un po' di umorismo). In fondo per una famiglia che arriva a fine mese senza risparmiare un soldo, il 100% dei guadagni va in spesa. Ma avrà un reddito netto piu' alto e potrà scegliere di avere prestazioni da diversi privati, in sanità e nella previdenza privata, potendo anche cambiare e trovare il proprio equilibrio prezzo/prestazioni a partire da garanzie base uguali per tutti stabilite dallo stato.
Che una bassa pressione fiscale non dovrebbe scandalizzare nessuno (anzi, che sia auspicabile) non ci piove. A chi piace pagare più tasse! Ma sono le condizioni a monte che vanno analizzate e approfondite.
Sono le semplificazioni il pericolo di un approccio "ideologico". Così come è sbagliato l'assioma statalista secondo cui meno privato, meno profitto, più stato implica più giustizia sociale e migliore redistribuzione, è altrettanto sbagliato l'assunto simmetrico secondo cui meno pubblico, più mercato significa di per sè più efficienza e meno sprechi.
Credo che non basti spostare la gestione di alcuni servizi (o parte di essi) dal pubblico al mercato per incamminare l'Italia sulla via della Svizzera. Così come non credo che le cose in Corea o in Turchia, con una spesa pubblica inferiore al 35%, vadano meglio che in Danimarca, dove la spesa pubblica viaggia ben sopra il 50%.
Prendendo ad esempio il sistema sanitario, non c'è dubbio che tagliando la spesa diminuirebbe la "trippa per i gatti" e ci sarebbero quindi meno occasioni di corruzione per i vari assessori regionali, manager delle Asl e burocrati vari.
Ammesso tuttavia che ciò comporti una minore pressione fiscale ed un conseguente reddito netto più alto (di quanto?), le famiglie dovrebbero continuare a curarsi e non è detto che sarebbe un bene cadere dalla padella del sistema sanitario regionale alla brace delle assicurazioni dei vari Ligresti e Caltagirone.
Approfondendo un po' le cose, bisognerebbe capire come andrebbe riorganizzato ciò che resterebbe del sistema pubblico per ottenere effettive riduzioni di spesa proporzionate alla riduzione dei servizi e nel contempo assicurarne la sussidiarietà rispetto al mercato soprattutto nella copertura di funzioni essenziali come ad esempio il pronto soccorso.
Così come occorrerebbe probabilmente riformare profondamente il mercato assicurativo per realizzare condizioni di trasparenza e di effettiva concorrenza oggi inesistenti.
Andrebbe inoltre drasticamente potenziato il sistema dei controlli sulle strutture sanitarie sia pubbliche che private (la mala sanità si annida non solo negli ospedali, ma anche nelle cliniche private). Così come andrebbe probabilmente riformata la professione medica per renderne l'accesso più trasparente e meritocratico e rivedere i meccanismi fiscali oggi assolutamente inadeguati rispetto alla dilagante pratica del "nero". E così via.
La complessità dei problemi, quindi, è un buon motivo per non fare mai nulla? Certamente no. Ma le semplificazioni "ideologiche" possono causare enormi disastri o quanto meno dare solo l'illusione di risolvere un problema. Una qualunque riforma va approcciata come un qualunque progetto, con tanto di studio di fattibilità, analisi dei rischi e delle criticità, precise milestone e criteri di misurazione dei risultati.
Roba di cui nel nostro panorama politico non si vedono nemmeno le tracce, sia da parte dei più o meno camuffati "statalisti", sia da parte dei presunti "liberisti".
E' tutta qui quella che ho chiamato, forse impropriamente, l'undicesima bufala.
« Dopo aver studiato moltissimo il Corano, la convinzione a cui sono pervenuto è che nel complesso vi siano state nel mondo poche religioni altrettanto letali per l'uomo di quella di Maometto» Alexis de Tocqueville