OK Franz.
Il 93% di terziario non mi sarei mai sognato di definirlo "un mondo senza lavoratori".
I beni prodotti dai robot e i servizi dalle persone.
Niente da dire.
Una evoluzione dell'economia e della qualità di vita, anzi, piuttosto positiva.
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franz ha scritto:pianogrande ha scritto:Ma la elementarissima considerazione che in "un mondo senza lavoratori" per chi produci, non dovrebbe essere in testa a tutto il ragionamento?
Produci per i consumatori.
il problema è vedere come fanno questi a pagare.
In ogni caso alla fine ci sarà un solo lavoratore che sovraintende a tutte le fabbriche, anche solo per la manutenzione dei robot, e costui sarà cosi' strapagato (prova a sostituirlo!) che alimenterà con il suo reddito i consumi di tutti.
Sempre che crediate alla macroecoeconomia ed alla "domanda aggregata".
Se non ci credete, possiamo immaginare un futuro il cui il 2% del PIL è prodotto dall'agricoltura, il 5% dal secondario (fabbriche, operai) ed il 93% dal terziario: sanità, giochi, divertimenti, viaggi, cultura, Internet, viaggi spaziali e quello che oggi non possiamo immaginare cosi' come non potevamo immaginare 50 anni fa.
Il che dovrebbe farvi riflettere sul falso mito (bolscevico) che il lavoro (anzi il LAVORO) sia solo quello nei campi e nelle fabbriche. Anzi, officine.
flaviomob ha scritto:Curioso ragionamento, Franz. Cioè, in un paese che non è più competitivo sul piano della produttività e della qualità vuoi aumentare le ore di lavoro? E chi le paga? Pantalone??
Ma.. produrre meglio, no?
gi.bo. ha scritto:La fine del lavoro
....Oggi, al contrario, un numero ridotto ma crescente di manager inizia a preoccuparsi di dove ci porterà la rivoluzione tecnologica.
Percy Barnevik è il chief executive officer della Asea Brown Boveri, un colosso svizzero-svedese da 40.000 miliardi che produce generatori elettrici e sistemi di trasporto, oltre che una delle maggiori società di engineering del mondo. Come altre imprese globali, ABB ha recentemente re-engineerizzato le proprie attività,tagliando 50.000 posti di lavoro, pur riuscendo ad aumentare il fatturato del 60% nello stesso periodo di tempo. [color=#0000FF]
Barnevik si domanda: «Dove andrà a finire tutta questa gente?» Secondo le sue previsioni, la quota di forza lavoro impegnata nell'industria in Europa è destinata a diminuire dall'attuale 35 al 25% entro i prossimi dieci anni, con un'ulteriore discesa al 15% nei vent'anni seguenti.
Barnevik è profondamente pessimista sul futuro dell'Europa: «Se qualcuno mi dice: "Aspetta due o tre anni e vedrai esplodere la domanda di lavoro", gli domando: "Dimmi dove? Quali lavori? In quali città? In quali aziende?" Se mi metto a tirare le somme, scopro che esiste il rischio che l'attuale 10% di disoccupati e sottoccupati diventi il 20 o 25%».[/color]
Robyn ha scritto:La tesi di gi.bo,lavorare meno per lavorare tutti non è una cosa che scende dalle nuvole per ex 6 ore al posto di 8 ore.I dati statistici dimostrano che al diminuire delle ore lavorate cresce l'occupazione.
E' chiaro che la robotizzazione porta a pensare in un modo diverso il lavoro. Se parte di questo viene fatto dai robots il resto lo deve fare l'uomo è se per tutti non c'è' lavoro e' cosa più che normale che il tempo venga suddiviso . Lavorare meno tutti affinché tutti abbiamo un lavoro.franz ha scritto:Robyn ha scritto:La tesi di gi.bo,lavorare meno per lavorare tutti non è una cosa che scende dalle nuvole per ex 6 ore al posto di 8 ore.I dati statistici dimostrano che al diminuire delle ore lavorate cresce l'occupazione.
A parte il fatto che non mi pare che gi.bo abbia presentato questa tesi (chiedo conferma a lui, nelcaso me la fossi persa) colgo l'occasione per ribadire che il vetusto slogan "lavorare meno per lavorare tutti" è una solenne castroneria.
Se ci sono aumenti di produttività (e in Italia non ci sono) potremmo avere due possibilità: guadagnare un po' di piu' oppure lavorare un po' di meno. Sono possibili anche combinazioni intermedie. Ma l'occupzione rimane la stessa.
L'analisi economica del problema conferma che in assenza di guadagni di produttività non è possibile lavorare meno sia a parità di salario sia anche ipotizzando un calo del salario. Sui dati statistici, caro Robyn, non bisogna confondere casua ed effetto.
Per esempio se un paese c'è un forte incremento di produttività (germania) possiamo avere anche una certa riduzione delle ore lavorate insieme ad un aumento dell'occupazione. Ma la ragione sta nella produttività. Perché per esempio si esporta tanto e questo richede molta mano d'opera. Cosa, la produttività, che in Italia ristagna da 15 anni o più.
Come diversamente potremmo risolvere quando detto da Barnevik se non con la diminuzione delle ore lavorative pro capite?Barnevik è profondamente pessimista sul futuro dell'Europa: «Se qualcuno mi dice: "Aspetta due o tre anni e vedrai esplodere la domanda di lavoro", gli domando: "Dimmi dove? Quali lavori? In quali città? In quali aziende?" Se mi metto a tirare le somme, scopro che esiste il rischio che l'attuale 10% di disoccupati e sottoccupati diventi il 20 o 25%».
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