La Comunità per L'Ulivo, per tutto L'Ulivo dal 1995
FAIL (the browser should render some flash content, not this).

Non una parola, non un pensiero...

Discussioni su quanto avviene su questo piccolo-grande pianeta. Temi della guerra e della pace, dell'ambiente e dell'economia globale.

Re: Non una parola, non un pensiero...

Messaggioda Stevin il 10/01/2009, 12:23

COME ISRAELE HA PORTATO GAZA SULL’ORLO DI UNA CATASTROFE UMANITARIA

DI AVI SHLAIM
The Guardian

(Continuazione del testo precedente)

Come sempre, la potente Israele pretende di essere la vittima dell’aggressione palestinese, ma l’impressionante asimmetria di forza tra le due parti lascia poco spazio al dubbio su chi sia la vera vittima. Questo, infatti, è un conflitto fra Davide e Golia, ma al contrario, con la piccola e indifesa Palestina nel ruolo di Davide che affronta un Golia israeliano armato fino ai denti, spietato e arrogante. La risorsa della forza militare bruta è accompagnata, come sempre, dalla petulante retorica del vittimismo e dalla manfrina dell’autocommiserazione ricoperta di una pretesa superiorità morale. In ebraico si chiama sindrome di bokhim ve-yorim, “piangere e fottere".

Certo, Hamas ha la sua parte di colpe in questo conflitto. Privato del frutto della vittoria elettorale, davanti a un avversario senza scrupoli, ha fatto ricorso all’arma dei deboli, il terrore. I militanti di Hamas e della jihad islamica hanno continuato a lanciare razzi Qassam contro le colonie israeliane vicino a confine con Gaza finché l’Egitto non ha mediato un cessate-il-fuoco di sei mesi lo scorso giugno. Il danno provocato da questi rudimentali ordigni è minimo, ma l’impatto psicologico è immenso, tanto che i cittadini hanno preteso la protezione del governo. Date le circostanze, Israele aveva il diritto di difendersi, ma la sua risposta alla seccatura dei razzi è stata del tutto sproporzionata. Le cifre parlano da sole. In tre anni, dopo il ritiro da Gaza, undici israeliani sono stati uccisi dai razzi. D’altro canto, nel solo triennio 2005-2007, le Forze di difesa israeliane hanno ucciso 1.290 Palestinesi a Gaza, compresi 222 bambini.

Ma al di là delle cifre, uccidere civili è sbagliato. Questa regola si applica tanto agli Israeliani quanto ad Hamas, ma le cronache parlano di un’incontenibile e incessante brutalità verso gli abitanti di Gaza. Israele, inoltre, ha mantenuto l’embargo su Gaza dopo che entrò in vigore il cessate-il-fuoco, il che, secondo i leader di Hamas, vuol dire violare l’accordo. Durante il cessate-il-fuoco, Israele ha impedito le esportazioni dalla Striscia, violando manifestamente un accordo del 2005 e causando un violento calo delle possibilità di impiego. Ufficialmente, infatti, il 49,1 percento della popolazione è disoccupato. Ma al contempo Israele ha limitato drasticamente l’ingresso a Gaza di automezzi carichi di cibo, carburante, bombole di gas per uso alimentare, pezzi di ricambio per impianti sanitari e idrici, e medicinali. Mi risulta difficile capire come affamare e congelare i civili di Gaza possa voler dire proteggere i cittadini israeliani che vivono sul confine. Ma anche se fosse, sarebbe lo stesso immorale, una forma di punizione collettiva che è severamente proibita dal diritto internazionale.

La brutalità dei soldati israeliani fa il paio con la propensione alla menzogna dei suoi portavoce. Otto mesi prima che scoppiasse la guerra contro Gaza, Israele creò il Consiglio per l’Informazione nazionale. La sostanza dei messaggi alla stampa di questo organo è che Hamas ha violato il cessate-il-fuoco; che l’obiettivo di Israele è la difesa della sua popolazione; che le forze di Israele stanno facendo tutto il possibile per non fare del male ai civili innocenti. I velinari di Israele sono riusciti a trasmettere il messaggio. Ma, in sostanza, la loro propaganda non è altro che un insieme di bugie.

C’è un enorme divario tra la realtà delle azioni di Israele e la retorica dei suoi portavoce. Non è stato Hamas a rompere il cessate-il-fuoco, ma le Forze di Difesa israeliane. Il 4 novembre fecero un incursione a Gaza uccidendo sei uomini di Hamas. L’obiettivo di Israele non è solamente la difesa della sua popolazione, ma il rovesciamento finale del governo di Hamas a Gaza, mettendo il popolo palestinese contro i suoi governanti. E altro che cercare di non far del male ai civili: Israele è colpevole di bombardamenti indiscriminati e di un embargo ormai triennale che ha portato gli abitanti di Gaza, attualmente un milione e mezzo, sull’orlo di una catastrofe umanitaria.

Il precetto biblico dell’occhio per occhio è già abbastanza crudele. Ma la dissennata offensiva israeliana contro Gaza sembra seguire la logica dell’«occhio per ciglio». Dopo otto giorni di bombardamenti, con un bilancio di più di 400 Palestinesi uccisi contro quattro Israeliani, il governo guerrafondaio ha ordinato l’invasione di terra di Gaza, le cui conseguenze sono incalcolabili.

L’inasprimento dell’impiego dell’esercito non potrà far guadagnare a Israele l’immunità dal lancio di razzi da parte dell’ala militare di Hamas. Ad onta della morte e della distruzione che Israele ha inflitto loro, essi continuano la loro resistenza e continuano a sparare razzi. Si tratta di un movimento che glorifica il vittimismo e il martirio. Semplicemente: non c’è una soluzione militare allo scontro fra due comunità. Il problema del concetto di sicurezza di Israele è che esso nega persino la più elementare sicurezza all’altra comunità. C’è un solo modo per garantirsi la sicurezza, e non è sparare, ma discutere con Hamas, che si è più volte detto disposto a negoziare un cessate-il-fuoco duraturo con lo stato ebraico entro i confini di prima del 1967, un accordo che duri venti, trenta o addirittura cinquanta anni. Israele ha respinto l’offerta per la stessa ragione per cui ha rifiutato con sdegno il progetto di pace della Lega araba nel 2002, che è ancora sul tappeto: perché comporta concessioni e compromessi.

Questo breve excursus sulla cronaca di Israele degli scorsi quarant’anni non può che portare alla conclusione che esso è ormai diventato uno stato canaglia con «un gruppo di capi del tutto privo di scrupoli». Uno stato canaglia viola abitualmente il diritto internazionale, possiede armi di distruzione di massa e pratica il terrorismo, cioè l’uso della violenza contro i civili per scopi politici. Israele soddisfa tutti e tre questi criteri; le calzano a pennello. La vera mira di Israele non è una coesistenza pacifica coi vicini palestinesi, ma il dominio militare. Rende più grave gli errori del passato aggiungendone di nuovi e più disastrosi. I politici, come chiunque altro, sono certamente liberi di ripetere le menzogne e gli errori del passato. Ma non sono obbligati a farlo.

Avi Shlaim è docente di Relazioni internazionali all’Università di Oxford ed è autore di Il muro di ferro. Israele e il mondo arabo [versione italiana Il Ponte editrice, 2003] e di Lion of Jordan: King Hussein's Life in War and Peace [Il Leone di Giordania: la vita di re Hussein in guerra e in pace].

Fonte: http://www.guardian.co.uk
Link: http://www.guardian.co.uk/world/2009/ja ... -palestine
07.01.09
Stevin
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 69
Iscritto il: 30/12/2008, 9:34

Re: Non una parola, non un pensiero...

Messaggioda guidoparietti il 10/01/2009, 17:22

Questi discorsi infiniti si ripetono identici ogni volta che c'è una crisi violenta tra Israeliani e Palestinesi, salvo in alcuno luoghi dove invece si ripetono sempre e continuamente a prescindere dalla situazione concreta.
Il punto è sempre lo stesso, e non sta nella contabilità dei morti dell'una o dell'altra parte, né nell'esibizione di truculente amputazioni, magari di bambini, o delle terrificanti condizioni di vita di moltissimi palestinesi. Il punto non sta nemmeno nello stabilire chi, di volta in volta, abbia contribuito di più ad iniziare ogni singola escalation.
Perché secondo qual è l'opinione di chi di volta in volta si esprime, ogni atto di violenza – sia esso un terrorista kamikaze o una bomba sganciata da un moderno aereo da guerra – passa in secondo piano rispetto ai torti dell'altra parte.

E l'opinione che conta, naturalmente, è se Israele debba esistere oppure no come stato.

Se Israele non deve esistere come stato, alcuni meno esagitati di Stevin potranno convenire che Hamas è un'associazione terrorista e che la stessa Fatah è un covo di corruzione e metodi molto dubbi, ma questi torti, assieme ai massacri di palestinesi compiuti dalle nazioni arabe stesse, passeranno sempre in secondo piano rispetto al fatto che il torto originale è quello di Israele, SE Israele non si fosse costituito come stato in quel luogo, nulla di tutto questo sarebbe accaduto. Anche gli atti più orrendi e deprecabili compiuti da Hamas o da altri del genere sono se non scusabili quantomeno comprensibili come reazione a un torto originario.
Se, invece, Israele deve poter esistere come stato, allora evidentemente è a partire dagli attacchi del 1948 e dal non-riconoscimento della risoluzione ONU che legittimava la nascita di Israele, che gli aggressori dalla parte del torto sono stati pressoché sempre gli arabi. Certamente, Israele ha compiuto e compie molti errori, ma chi crede che lo stato di Israele debba poter esistere potrà condannare il singolo episodio ma non potrà fare a meno di riconoscere che la necessità di difendersi da nemici determinati ad attaccare con la violenza ben difficilmente permetterà di evitare gli orrori che conseguono da una situazione di guerra.

Tutto il resto, questi infiniti elenchi di fatti di cronaca con rimando a fonti più o meno affidabili, l'altrettanto infinita rincorsa storica al '93, al '73, al '67, al '48, al '39 al 1895 e perfino all'impero romano, tutto questo resto che occupa un volume di scritti, cartacei e virtuali, probabilmente superiore a quello di qualsiasi altro singolo argomento al mondo, tutto il resto conta assai poco tanto nei fatti quanto nel far cambiare le opinioni. Tutto questo serve solo ad accalappiare, all'una o all'altra causa, le menti, distratte ma utili, dei molti spettatori della cronaca e della storia che piuttosto che farsi domande semplici ma pericolose preferiscono perdersi in disamine infinite e indefinite di innumerevoli dibattiti storico-politici.

Se volete (vogliamo) discutere di qualcosa che abbia un senso, abbiate (abbiamo) il coraggio di mettere al centro l'unico argomento davvero rilevante: Israele ha o no il diritto di esistere come stato?
Io ritengo di sì, e riconosco limpidamente che è da ciò che deriva il mio punto di vista sulle tristi e violente vicende cui assistiamo in questi giorni e abbiamo spesso assistito in passato, seppure cerco di applicarlo per quanto possibile obiettiva (ma è assai arduo, se uno non lo fa di lavoro, seguire la sterminata produzione di contrastanti versioni dei fatti).
Avatar utente
guidoparietti
Redattore
Redattore
 
Messaggi: 314
Iscritto il: 22/05/2008, 16:01

Re: Non una parola, non un pensiero...

Messaggioda Stevin il 10/01/2009, 19:16

Rispondo al signor Parietti il quale mi definisce "esagitato" per una precisazione.
Una sfumatura, ma importante.
Israele non si definisce solo come uno Stato, ma come uno Stato Ebraico.
Allora il punto è: ha diritto ad esistere uno Stato Ebraico?
La seconda domanda è d'obbligo: Quale prezzo occorre pagare per consentirgli di esistere?

Rispondo a entrambe.
Lo Stato Ebraico ha diritto ad esistere solo se per esso valgono esattamente le stesse regole di rispetto dei diritti umani che valgono per le popolazioni circostanti e per il resto del mondo.
A quale Stato sarebbe concesso di trucidare centinaia di civili innocenti per proteggersi da un potere di fuoco che in 10 anni è costato la vita di 13 persone?

Che Israele rispetti la vita degli Arabi invece di ucciderli come insetti.
La logica conclusione sarà che gli Arabi si moltiplicheranno, otterranno riconoscimento internazionale, e non avrà più senso parlare di Stato Ebraico.

Idealmente, cambiando completamente l'élite al governo e ripensando il progetto sionista potrebbe essere rifondato uno Stato misto, ove anche gli Arabi potrebbero governare, e così verebbe cancellata Israele ma senza spargere una goccia di sangue.
Che è poi quello che intendeva dire Ahmadinejad.
Solo che lui è molto più esagitato di me.
Stevin
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 69
Iscritto il: 30/12/2008, 9:34

Re: Non una parola, non un pensiero...

Messaggioda guidoparietti il 10/01/2009, 19:26

Stevin ha scritto:Lo Stato Ebraico ha diritto ad esistere solo se per esso valgono esattamente le stesse regole di rispetto dei diritti umani che valgono per le popolazioni circostanti e per il resto del mondo.
A quale Stato sarebbe concesso di trucidare centinaia di civili innocenti per proteggersi da un potere di fuoco che in 10 anni è costato la vita di 13 persone?

Nelle condizioni di Israele, a qualsiasi altro stato sarebbe consentito molto di più e con molte meno questioni da parte dell'opinione pubblica mondiale. La Russia subisce molte meno pressioni internazionali di Israele, nonostante le sue guerre contro cecenia (e, più recentemente, georgia) siano state iniziate per motivi assai meno gravi, senza essere in una situazione aggredito-aggressore e tenendo in ben minor conto le perdite civili e i diritti umani.
Come già è stato fatto notare, qualunque stato nelle condizioni di Israele non subirebbe neanche un decimo dell'ostilità che colpisce Israele.

Idealmente, cambiando completamente l'élite al governo e ripensando il progetto sionista potrebbe essere rifondato uno Stato misto, ove anche gli Arabi potrebbero governare, e così verebbe cancellata Israele ma senza spargere una goccia di sangue.
Che è poi quello che intendeva dire Ahmadinejad.
Solo che lui è molto più esagitato di me.
[/color][/b]

Quindi, non sorprendentemente, si dovrebbe dedurre che la tua risposta è no, non dovrebbe esistere uno stato di Israele. Allora abbi il coraggio di dirlo chiaramente, non cominciare con un SI, seguito da un MA che non è un ma per finire poi con un NO a mezza bocca (peraltro, gli Arabi cittadini Israeliani possono votare e se vincono le elezioni anche andare al governo...)

P.s. quando scrivo "esagitato", ho in mente simpatiche frasi a effetto come:
Che Israele rispetti la vita degli Arabi invece di ucciderli come insetti.
Avatar utente
guidoparietti
Redattore
Redattore
 
Messaggi: 314
Iscritto il: 22/05/2008, 16:01

Re: Non una parola, non un pensiero...

Messaggioda franz il 10/01/2009, 19:54

Stevin ha scritto:Rispondo al signor Parietti il quale mi definisce "esagitato" per una precisazione.
Una sfumatura, ma importante.
Israele non si definisce solo come uno Stato, ma come uno Stato Ebraico.
Allora il punto è: ha diritto ad esistere uno Stato Ebraico?
La seconda domanda è d'obbligo: Quale prezzo occorre pagare per consentirgli di esistere?

La seconda domanda non è importante, visto che la prima è scorretta.
Israele non è una teocrazia quindi dire che Israele è lo Stato Ebraico è piu' o meno simile a dire che l'Italia è lo Stato Italiano.
Ma si gioca sull'ambiguità, facendo intendere che Stato Ebraico indica la religione.
Si riferisce invece ad un concetto di popolo (e di autodeterminazione) che è universalmete riconosciuto.
Tranne che dai fanatici che vorrebbero ricacciare in mare quel popolo (o almeno lo affermano nella loro carta costitutiva).

Come ulteriore elementi di riflessione consiglio questa lettura http://www.keshet.it/rivista/nov-dic-01/pag8.htm
Si tratta di un discorso dell'ambasciatore israeliano, alla conferenza di Durban sul razzismo.

Israele è uno stato laico, con varie religioni al suo interno:
* Ebrei 76,4%
* Musulmani 16%
* Arabi cristiani 1,7% (per i cattolici vedi Chiesa cattolica in Israele)
* Altri cristiani 0,4%
* Drusi 1,6%
* Altri (Bahai, ecc.): 3,9%

Caso mai bisogerebbe vedere il progetto di Hamas, di uno stato islamico (non laico) in tutta la regione (palestina), compreso Israele nei confini precedenti al 1967 (che quindi dovrebbe sparire anche dai territori assegnati inizialmente dall'ONU). Qui si che possiamo veramente chiederci se questo sia ammissibile.

Ciao,
Franz


La Carta fondamentale di Hamas
Il 18 agosto 1988 Hamas, l'organizzazione del fondamentalismo jihadista palestinese, ha pubblicato la propria Carta fondamentale, un “manifesto” in cui viene invocata una jihad (guerra santa) senza compromessi contro l'esistenza di Israele. Nella settimana successiva alla pubblicazione, la Carta veniva affissa nelle moschee in tutti i territori di Cisgiordania e striscia di Gaza . Quelli che seguono sono alcuni dei punti principali della Carta fondamentale di Hamas.

Estremismo islamista
Hamas (acronimo di "Movimento di Resistenza Islamica") si considera parte del più generale movimento della Fratellanza Islamica. Hamas definisce se stesso anche come un "importante movimento palestinese, fedele ad Allah e il cui modo di vita è quello islamico" e "uno degli anelli della catena della lotta contro gli invasori sionisti" (art. 6, 7). Hamas si considera parte integrante di un più vasto movimento che può essere definito “estremismo islamista jihadista”, un movimento intellettuale e sociale caratterizzato da una militante ostilità verso la modernità e il laicismo in ogni aspetto della vita. Dal fanatismo islamista scaturisce la “dichiarazione” su Hamas contenuta nell'art. 9 della Carta: “Allah è il suo obiettivo, il profeta il suo modello, il Corano la sua costituzione, la jihad il suo cammino e la morte in nome di Allah il più dolce dei suoi desideri”. Hamas considera gli elementi esterni e le organizzazioni non-islamiche (quali persino Rotary, Lions ecc.) come forze sinistre che cospirano con i sionisti contro l'islam e contro l'umanità (art. 17, 22, 28). “Il giorno in cui l'islam avrà il controllo della guida delle cose della vita, queste organizzazioni, ostili all'umanità e all'islam, saranno cancellate" (art. 17).

Ebrei, ebraismo e sionismo
Hamas non limita i propri obiettivi ad uno scontro con il sionismo nel contesto soltanto del conflitto arabo-israeliano. Esso si considera la punta di lancia di un movimento di massa in lotta contro gli "ebrei guerrafondai" e il "sionismo mondiale" (art. 32). Nella visione di Hamas, "i nemici" (ebrei, ebraismo e sionismo in questo contesto sono concetti totalmente intercambiabili) complottano contro il mondo. Ricorrendo ai temi classici dell'antisemitismo usati, fra gli altri, dai nazisti e citando “I Protocolli dei Savi di Sion”, noto falso usato dagli antisemiti all'inizio del secolo, la Carta di Hamas sostiene che questi "nemici" stanno dietro ad ogni male e sono i veri nemici di tutto il genere umano (art. 17, 22, 28, 32).

Palestina e Olp
"Israele esisterà e continuerà ad esistere finché l’islam non lo cancellerà, proprio come ha cancellato altri prima di esso". Questi i termini con cui Hamas dichiara le proprie intenzioni in una delle frasi d'apertura della Carta. Hamas punta a istituire una Repubblica Islamica su tutta la Palestina, considerata parte dell'eterno patrimonio musulmano. La Carta afferma che nessuna parte della Palestina deve essere ceduta: "La Palestina è terra di proprietà islamica (waqf), consacrata alle generazioni musulmane fino al giorno del giudizio" (art. 11). Il ritorno della Palestina nelle braccia dell’islam occupa una parte centrale della Carta. Sostenendo che la Palestina è stata "nelle mire degli espansionisti" fin dagli albori della storia, Hamas afferma che la perdita della sovranità musulmana sulla Palestina è un episodio passeggero. Citando la battaglia del XII secolo in cui gli eserciti musulmani, guidati dal Saladino e sotto le bandiere della religione, sconfissero i crociati e "liberarono la Palestina" dalla dominazione cristiana (art. 34, 35), la Carta di Hamas dice: "Questo è il solo modo per liberare la Palestina" (art. 34). Hamas rifiuta tutte le "iniziative e le cosiddette soluzioni di pace e le conferenze internazionali [...]. Non c'è soluzione alla questione palestinese che non sia attraverso la jihad. Iniziative, proposte e conferenze internazionali sono tutte perdite di tempo e sforzi vani" (art. 13). L'atteggiamento di Hamas verso l'Olp è definito dal giudizio che dà della posizione di questa di fronte all’islam. La Carta non nasconde le basi della propria principale differenza rispetto all'Olp: l'impegno di quest'ultima per l'istituzione di uno stato laico sulla Palestina. L'Olp, dice Hamas, accettando la nozione di “stato laico”, si è fatta ingannare dalla "confusione ideologica prevalente nel mondo arabo, frutto dell'invasione ideologica sotto la cui influenza il mondo arabo è caduto sin dalla sconfitta dei crociati e che è stata, ed è, alimentata dagli orientalisti, dai missionari e dagli imperialisti". Uno stato laico deve essere respinto totalmente. Tuttavia la Carta aggiunge: "La nostra patria è una, la nostra situazione è una, il nostro destino è uno e il nemico è uno e comune per tutti noi [...]. Il giorno in cui l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina [Olp] adotterà l’islam come suo sistema di vita, noi saremo i suoi soldati e saremo il combustibile del fuoco che brucerà i nemici" (art. 27).

Hamas e il mondo arabo-islamico
La jihad, secondo la Carta, è un dovere per ogni musulmano. La liberazione della Palestina è un "dovere individuale per ogni musulmano, dovunque si trovi" ed è legata a tre ambiti: palestinese, arabo e musulmano (art. 14). Pertanto la visione di Hamas dei regimi e dei popoli arabi e del mondo islamico nel suo complesso è determinata dal loro grado di devozione all’islam e dalla loro dedizione alla lotta eterna contro il sionismo (art. 32, 33). In questo spirito Hamas invoca azioni che portino le masse ad accettare la propria partecipazione alla jihad contro il sionismo come un dovere e a rafforzare la loro adesione all’islam (art. 15, 29, 30). Hamas chiede agli stati arabi che circondano Israele di permettere il passaggio dei combattenti arabi e islamici attraverso i loro confini. Anche agli altri paesi arabi e islamici viene chiesto di fornire aiuto (art. 28). Hamas mette in guardia dalla tendenza propugnata dalle "forze imperialiste" le quali, viene detto, stanno di fatto collaborando con il sionismo allo scopo di far uscire uno per uno gli stati arabi dalla lotta contro il sionismo. Ritirarsi da questa lotta è alto tradimento, tradimento dell’islam "e possa essere maledetto chi lo commette" (art. 32, 33).


Vedere anche http://it.wikipedia.org/wiki/Hamas
Lo statuto di Hamas http://www.standwithus.com/pdfs/flyers/ ... venant.pdf in inglese
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: Non una parola, non un pensiero...

Messaggioda Stevin il 11/01/2009, 2:14

[quote="guidopariettiNelle condizioni di Israele, a qualsiasi altro stato sarebbe consentito molto di più e con molte meno questioni da parte dell'opinione pubblica mondiale. La Russia subisce molte meno pressioni internazionali di Israele, nonostante le sue guerre contro cecenia (e, più recentemente, georgia) siano state iniziate per motivi assai meno gravi, senza essere in una situazione aggredito-aggressore e tenendo in ben minor conto le perdite civili e i diritti umani.
Come già è stato fatto notare, qualunque stato nelle condizioni di Israele non subirebbe neanche un decimo dell'ostilità che colpisce Israele.

Quindi, non sorprendentemente, si dovrebbe dedurre che la tua risposta è no, non dovrebbe esistere uno stato di Israele. Allora abbi il coraggio di dirlo chiaramente, non cominciare con un SI, seguito da un MA che non è un ma per finire poi con un NO a mezza bocca (peraltro, gli Arabi cittadini Israeliani possono votare e se vincono le elezioni anche andare al governo...)

P.s. quando scrivo "esagitato", ho in mente simpatiche frasi a effetto come:
[/quote]

La violenza russa contro la Cecenia non ha dato luogo a proteste dell'opinione pubblica, che sarebbero state più che motivate perchè purtroppo non trapelavano sufficienti informazioni. Ogni massacro di civili, specialmente quando ci sono di mezzo i bambini, dovrebbe causare una sollevazione popolare.
Per quanto riguarda la Georgia, vedo che ci sono sempre i morti di serie B. Talvolta i Palestinesi, talvolta gli Osseti.
Forse avresti preferito che il piano andasse a buon fine e che la Georgia entrasse nella NATO. Io sono ben contento che non sia successo.
Noto che nel novero dei paesi canaglia non hai messo gli USA che hanno devastato l'Iraq per puro interesse (calando un velo pietoso sulle motivazioni ufficiali che via via si sono succedute). Ciò non mi stupisce: fa parte delle guerre "giuste".
Aggiungerei anche le periodiche stragi nei paesi dell'Africa Nera, invariabilmente quelli che dispongono di significative ricchezze naturali (chissà come mai).
Forse però ammetterai che in tutti questi casi (tranne gli USA, che fa guerre "giuste") non è mai capitato che i nostri esponenti di governo e la maggior parte dei media a grande diffusione ripetano che le azioni militari (che provocano massacri di civili) siano legittime. Ricordi qualche ministro che abbia detto "i Russi hanno il diritto di sparare sui Ceceni"? Direi proprio di no.Torno a dire quindi che Israele (così come gli USA) sta compiendo massacri che da un lato sono assolutamente sproporzionati alla minaccia militare degli antagonisti e peraltro come si è visto, come sempre, mirano a fare vittime civili, dall'altro sono vergognosamente coperti dal governo e dai media.
Suvvia, l'ha detto anche Massimo Baffetto da Mentana, suscitando la mia ammirazione ...

Per quanto riguarda lo Stato Ebraico, invito a guardare questo filmato in cui nel 2006 Prodi così definisce Israele, sotto dettatura di Olmert (guardare per credere!) http://www.youtube.com/watch?v=3uO_FHeHB2k.

Ciò che ho detto è molto chiaro. Meno chiaro quello che dici tu, visto che il tuo ragionamento parte da "se Israele deve esistere"... ma non specifichi CHI deve prendere questa decisione non di poco conto e a quali condizioni.

Eppure non è difficile capire quanto ho detto, anche se è un discorso molto teorico: sì ad uno Stato che vive e convive nel rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani. Ciò che Israele sta facendo, ammesso e non concesso che sia in risposta al lancio di missili di Hamas (e non è così perchè è stato Israele a violare la tregua mantenendo l'embargo ed effettuando ben due raid aerei mortali in novembre - ciò è ampiamente documentato) per il Diritto Internazionale non avrebbe comunque avuto il diritto di effettuare incursioni nelle aree abitative .

Non dimentichiamo poi che è Israele che sta premendo per estendere la guerra all'Iran, e non gli USA di Obama che hanno ben altre gatte da pelare. Sarebbe il caso di togliere il consenso alla classe dirigente sionista senza scrupoli, e dovreste cominciare anche voi, prima che la situazione degeneri veramente.

Infine, per quanto riguarda le frasi ad effetto, ciò che ho scritto non è esattamente quello che fanno?
E se sono esagitato io che lo dico, cosa si può dire di chi lo mette in pratica?

A questo proposito, voglio regalarvi una chicca di uno molto ma molto esagitato:
«I palestinesi saranno schiacciati come cavallette... le teste spaccate contro le rocce e i muri»
( Yitzhak Shamir, primo ministro in carica, in un discorso ai «coloni» ebraici, New York Times 1 aprile, 1988).

Saluti

Il vostro Stevin
Stevin
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 69
Iscritto il: 30/12/2008, 9:34

Re: Non una parola, non un pensiero...

Messaggioda guidoparietti il 11/01/2009, 2:26

Come dicevo, "a parte gli esagitati". Per chi non ha tempo da perdere nello smentire una per una le affermazioni false, nel distinguerle da quelle mezze vere e ancora da quelle esagerate o da interpretazioni forzate, fraintendimenti puramente polemici e così via, il discorso vero resterebbe: Israele ha o no il diritto ad esistere?
Con tutta evidenza la posizione di chi in fondo sostiene che no, Israele non ha diritto di esistere, risulta un po' più difficile da difendere, per questo non desta sorpresa che si preferisca buttarla, sempre più, in caciara.
Avatar utente
guidoparietti
Redattore
Redattore
 
Messaggi: 314
Iscritto il: 22/05/2008, 16:01

Re: Non una parola, non un pensiero...

Messaggioda franz il 11/01/2009, 23:05

I RAPPORTI TRA IL VATICANO E ISRAELE
Il pacifismo impossibile


di Ernesto Galli Della Loggia

L’incauto paragone fatto dal cardinale Martino tra Gaza e un campo di concentramento (allestito dagli israeliani, naturalmente) ha riproposto il tema del rapporto tra Chiesa e Israele. Un tema che, al di là del paragone azzardato di cui sopra, e al di là delle ben diverse ed equilibrate espressioni adoperate invece dal Papa, si ripropone regolarmente perché in realtà esso riguarda sì un contenzioso specifico, ma insieme si presta come pochi altri ad essere lo specchio di questioni e dilemmi di portata amplissima che riguardano la storia del Cattolicesimo e dell’Ebraismo in quanto tali, dei loro rapporti, nonché il modo d’essere del primo sulla scena del mondo. Per quanto riguarda il contenzioso arabo-israeliano e il ruolo della Chiesa, su di esso non può non pesare ancora come un macigno il mancato riconoscimento diplomatico del nuovo Stato da parte della Santa Sede. Protrattosi per oltre un trentennio dopo la nascita di Israele, esso sortì l’effetto paradossale di equiparare di fatto il Vaticano, la massima autorità del mondo cristiano, al «fronte del rifiuto» arabo- islamico.

Nel 1947 e nei molti anni successivi la diplomazia vaticana e chi la guidava non capì che il riconoscimento di Israele da parte della Chiesa di Roma era un gesto simbolico dovuto alla storia, alle sue ragioni supreme cui era necessario inchinarsi. Che sarebbe stato un gesto di sapore profetico in grado di imprimere una svolta sorprendente ad una storia lunga e tormentatissima, segnandone forse un nuovo inizio. Nella circostanza in questione, invece, gli aspetti simbolici pesarono sì (molto probabilmente) ma solo in senso negativo. Dovettero certo pesare, ad esempio, l’antica avversione per il «popolo deicida» che per la prima volta riusciva ora ad assurgere ad un’autonoma esistenza statale, lo sconcerto nel vedere tale Stato padrone addirittura della culla storica del Cristianesimo, il fatto, infine, che tutto ciò accadesse per una singolare convergenza protestante-marxista in seno alle Nazioni Unite (il voto di Usa e Urss). Mentre dal canto suo l’obiettivo accampato di solito per giustificare quel mancato riconoscimento — e cioè la protezione delle comunità cristiane nei Paesi arabi — non poteva rivelarsi più illusorio.

A dispetto delle scelte vaticane, infatti, quelle comunità sono andate da allora riducendosi progressivamente di numero e d’influenza fino ad essere oggi sul punto di scomparire. Al mancato riconoscimento diplomatico si aggiunsero poi altri gesti di segno ancora più inequivoco: memorabile la scoperta di un vescovo cattolico, monsignor Capucci, sorpreso negli anni ’70 a trasportare armi nel bagagliaio della propria auto per conto delle organizzazioni armate palestinesi. Come avrebbe reagito in un caso analogo, ci si deve chiedere, un’opinione pubblica diversa da quella israeliana, per esempio italiana? E che cosa avrebbe pensato dell’assenza di qualunque sanzione nei confronti del suddetto prelato da parte delle autorità religiose? Israele reagì accentuando l’atteggiamento di risentimento e di ostilità, anche se celato dietro un’apparenza di gelida correttezza formale, che aveva tenuto fin dall’inizio nei confronti della presenza cattolica nel suo territorio, e che estese dopo il 1967 ai territori occupati. Lo fece, e continua tuttora a farlo, non solo non distinguendo in alcun modo tra arabi cristiani e musulmani, trattando entrambi con pari ostilità, ma soprattutto facendo sentire tutto il peso della propria autorità e quindi del proprio controllo occhiutamente oppressivo, sui luoghi santi della tradizione cristiana.

Israele, insomma, ha colto senza pensarci due volte la singolarissima occasione che la storia gli ha offerto di rovesciare le parti: la condizione di sottomissione che per secoli gli ebrei hanno dovuto subire all’interno delle società cristiane è divenuta la medesima, almeno simbolicamente, che ai cristiani e alle loro istituzioni tocca ora sopportare all’interno della società ebraica. Ma l’atteggiamento della Chiesa nel conflitto arabo-israeliano si colora di un aspetto tutto particolare per un’altra ragione, che va oltre il rapporto cristianesimo-ebraismo. Si tratta del fatto che mai come a proposito di quel conflitto— che una vasta parte dell’opinione pubblica occidentale tende a considerare come una guerra «giusta» o perlomeno inevitabile —si manifesta il carattere problematico delle posizioni che la Chiesa è venuta assumendo sempre di più negli ultimi anni sulla scena internazionale. Una posizione che, come si sa, si compendia in pratica (anche se non in teoria: ma finora nella pratica non ricordo che vi siano state eccezioni) nel rifiuto/denuncia della guerra, virtualmente di ogni guerra.

Questo pacifismo suscita inevitabilmente, però, una questione di grande rilievo, destinata a emergere di continuo nelle accese discussioni pubbliche che accompagnano sempre il conflitto mediorientale, come per l’appunto si vede anche in questi giorni. Essa riguarda il carattere quasi sempre non neutrale del pacifismo, spesso a dispetto dei suoi stessi promotori. In molte circostanze, infatti, schierarsi per la pace non significa per nulla essere davvero equidistanti tra le parti o al di sopra di esse. Specialmente perché un pacifismo coerente dovrebbe indurre non solo ad essere contro la guerra, ma a denunciare di continuo con eguale forza anche ogni manifestazione di conflittualità, di qualunque tipo o misura, che spesso costituisce la premessa obbligata del successivo scoppio delle ostilità vere e proprie. È dunque lecito chiedersi: la Santa Sede che è contro le odierne operazioni belliche di Israele, lo è stata allo stesso modo, con la stessa nettezza, lo stesso tono e soprattutto con la medesima pubblicità, nei confronti per esempio della politica estera di Siria e Iran? O di tante quotidiane manifestazioni violentissime del fronte palestinese? Ognuno può rispondere da sé.

Resta da dire che una vera politica pacifista è in realtà impossibile per qualunque organizzazione vasta e complessa, tutrice di vari e molteplici interessi, perché, intesa coerentemente, essa implicherebbe la rinuncia di fatto a svolgere un qualunque vero ruolo politico—basato, come questo inevitabilmente è, sulla contrattazione (anche del silenzio) e le alleanze— per limitarsi, viceversa, ad un ruolo di esclusiva testimonianza morale, sempre e comunque. La scelta della Chiesa di Roma non sembra proprio andare in questa direzione. È lecito aggiungere, per fortuna?

11 gennaio 2009
www.corriere.it
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: Non una parola, non un pensiero...

Messaggioda franz il 11/01/2009, 23:52

La maggioranza degli italiani con Israele
Il 22 per cento si schiera con Gerusalemme, il 18 per cento con il popolo palestinese


Gli italiani sono sempre più colpiti — e coinvolti — dalle vicende del conflitto israeliano-palestinese e, in particolare, dagli episodi di guerra che hanno sconvolto la striscia di Gaza. Questi ultimi — grazie anche all'ampio rilievo che ne hanno dato gli organi di informazione — hanno aumentato fortemente l'interesse verso tutta la questione. E contribuito alla formazione e al consolidamento delle posizioni al riguardo. Lo mostrano anche i sondaggi di opinione. Ad esempio, dai dati rilevati in una ricerca condotta qualche giorno fa, emerge come, alla richiesta di una preferenza verso l'uno o l'altro dei contendenti, i cittadini si esprimano in misura assai più precisa e diffusa di quanto non accadesse solo quattro mesi fa.

Con la conferma delle tendenze principali, ma anche con qualche cambiamento in alcuni orientamenti. La maggioranza relativa (22%) continua infatti a dichiarare di sentirsi più vicina agli israeliani che ai palestinesi. Lo affermano in misura maggiore i maschi, i residenti al Nord e, com'era prevedibile, gli elettori del centrodestra. Ma la numerosità di chi, viceversa, manifesta più simpatia per i palestinesi è di poco inferiore (18%). E raggiunge quote molto più elevate (31%) nell'elettorato di centrosinistra (con una ulteriore forte accentuazione nella sinistra radicale), ove arriva a costituire la maggioranza relativa. Insomma, l'atteggiamento prevalentemente filo-palestinese degli elettori per l'opposizione continua a permanere come tratto caratterizzante, malgrado la recente evoluzione in senso più moderato di una parte della leadership di quest'area. Ma c'è, come si è detto, una significativa evoluzione nell'arco di soli 4 mesi. Diminuisce significativamente, infatti, la percentuale di chi si definisce «vicino a nessuno» e si accresce al tempo stesso quella di chi si dichiara «vicino ai palestinesi».

Questi ultimi parrebbero dunque avere raccolto consensi tra chi un tempo era indeciso o equidistante, specie, ancora una volta, nell'ambito della sinistra (anche se il quadro delle opinioni è relativamente diverso tra il Pd da una parte e i restanti partiti del centrosinistra dall'altra). Ciò nonostante, la netta maggioranza della popolazione (57%) continua a giudicare Hamas un movimento di carattere terrorista. Solo grossomodo il 13% lo definisce «un movimento nazionalista legittimo»: quest'ultima posizione è assai più diffusa tra chi possiede un titolo di studio elevato (23% tra i laureati). In conclusione, benché rimanga prevalente, il carattere più filo-israeliano della popolazione italiana sembra man mano erodersi a causa dei consensi che i palestinesi di Hamas — malgrado siano, nella maggior parte dei casi giudicati dei terroristi — riescono a conquistare tra chi solo qualche mese fa si era dichiarato senza opinione, specie nell'ambito della sinistra. Un fenomeno dovuto in buona misura anche alla difficoltà di mutamento e alla viscosità degli orientamenti tradizionali e consolidati di quest'area.

Renato Mannheimer
11 gennaio 2009
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: Non una parola, non un pensiero...

Messaggioda Stevin il 12/01/2009, 1:37

guidoparietti ha scritto:Come dicevo, "a parte gli esagitati". Per chi non ha tempo da perdere nello smentire una per una le affermazioni false, nel distinguerle da quelle mezze vere e ancora da quelle esagerate o da interpretazioni forzate, fraintendimenti puramente polemici e così via, il discorso vero resterebbe: Israele ha o no il diritto ad esistere?
Con tutta evidenza la posizione di chi in fondo sostiene che no, Israele non ha diritto di esistere, risulta un po' più difficile da difendere, per questo non desta sorpresa che si preferisca buttarla, sempre più, in caciara.


Forse definire gli argomenti degli altri "caciara" (dopo aver definito gli altri "esagitati") è un modo per non rispondere.

Facciamola ancora più semplice: se verrà a mancare l'appoggio dell'opinione pubblica (come mi sembra stia avvenendo) e soprattutto l'appoggio degli USA (come apparentemente sta avvenendo) il progetto sionista (trasferimento di tutti i Palestinesi in Giordania) non si potrà portare a conclusione.
Si dovrà quindi affrontare un nuovo equilibrio, con un occhio ai numeri:
In Israele ci sono 7 milioni di persone di cui 5,5 milioni circa sono di religione Ebraica e 1,5 milioni Arabi o altro.
I Palestinesi sono 1,5 milioni nella striscia di Gaza e 2,5 milioni in Cisgiordania.
Messi insieme, fanno giusto 5,5 milioni.
Questa situazione fa paura ai sionisti che vedono definitivamente cadere l'idea di Grande Israele.
Il declino è cominciato con la guerra in Libano del 2006, e continuerà dopo i massacri di Gaza a meno che non vogliano trucidare 1,5 milioni di persone.

Ma che il vento stia cambiando si comincia a vedere anche dall'informazione e dalla politica. Proprio stasera il TG3 delle 19 ha finalmente confermato che Israele utilizza il fosforo bianco sui civili, la Vicepresidente del Parlamento Europeo ha confermato che la popolazione di Gaza è priva dei viveri e dei generi di prima necessità. Cose già arcinote, ma non ai più.

Inoltre lo stesso notiziario ha informato che mesi fa Israele aveva chiesto agli USA il passaggio sull'Iraq per bombardare l'Iran, ma Bush ha negato l'autorizzazione.

Il sogno sionista probabilmente sta per infrangersi. Non importa il mio giudizio: sarà importante quello della Storia.

Prima di lasciarvi, vi regalo le considerazioni al proposito di un certo Ehud Olmert.

Buona lettura!

$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$

Israeli Prime Minister Ehud Olmert says the idea of "Greater Israel"-- the main motto of the Zionist founders of the Israeli regime-- is dead.
"'Greater Israel' is finished. There is no such thing as that anymore. Whoever talks in those terms is only deluding himself," the prime minister admitted at a cabinet meeting.
"It doesn't help Israel. The international community has changed its perspective ahead of the possibility of Israel becoming a bi-national state," he said.
" I believed that the land from the Jordan River to the Mediterranean was all ours since in every place there that is excavated, there is evidence of Jewish History. But finally, after a lot of suffering and misgivings, I came to the conclusion that we need to share the land with whom we are residing if we don't want to become a bi-national state," Olmert said.
The premier also warned that the clock is "not ticking in Israel's favor."
The remarks came as the Israeli regime faces one of its worst political crises in its history. While Olmert is likely to be indicted over his corruption cases, the ruling Kadima Party is grappling with a power struggle.
The 33-day war against Lebanon during which Hezbollah managed to prevent the regime from achieving its goals, also dealt a serious blow to Israel.

http://www.wakeupfromyourslumber.com/node/8135
Stevin
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 69
Iscritto il: 30/12/2008, 9:34

PrecedenteProssimo

Torna a Temi caldi nel mondo

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 2 ospiti

cron