COME ISRAELE HA PORTATO GAZA SULL’ORLO DI UNA CATASTROFE UMANITARIA
DI AVI SHLAIM
The Guardian
(Continuazione del testo precedente)
Come sempre, la potente Israele pretende di essere la vittima dell’aggressione palestinese, ma l’impressionante asimmetria di forza tra le due parti lascia poco spazio al dubbio su chi sia la vera vittima. Questo, infatti, è un conflitto fra Davide e Golia, ma al contrario, con la piccola e indifesa Palestina nel ruolo di Davide che affronta un Golia israeliano armato fino ai denti, spietato e arrogante. La risorsa della forza militare bruta è accompagnata, come sempre, dalla petulante retorica del vittimismo e dalla manfrina dell’autocommiserazione ricoperta di una pretesa superiorità morale. In ebraico si chiama sindrome di bokhim ve-yorim, “piangere e fottere".
Certo, Hamas ha la sua parte di colpe in questo conflitto. Privato del frutto della vittoria elettorale, davanti a un avversario senza scrupoli, ha fatto ricorso all’arma dei deboli, il terrore. I militanti di Hamas e della jihad islamica hanno continuato a lanciare razzi Qassam contro le colonie israeliane vicino a confine con Gaza finché l’Egitto non ha mediato un cessate-il-fuoco di sei mesi lo scorso giugno. Il danno provocato da questi rudimentali ordigni è minimo, ma l’impatto psicologico è immenso, tanto che i cittadini hanno preteso la protezione del governo. Date le circostanze, Israele aveva il diritto di difendersi, ma la sua risposta alla seccatura dei razzi è stata del tutto sproporzionata. Le cifre parlano da sole. In tre anni, dopo il ritiro da Gaza, undici israeliani sono stati uccisi dai razzi. D’altro canto, nel solo triennio 2005-2007, le Forze di difesa israeliane hanno ucciso 1.290 Palestinesi a Gaza, compresi 222 bambini.
Ma al di là delle cifre, uccidere civili è sbagliato. Questa regola si applica tanto agli Israeliani quanto ad Hamas, ma le cronache parlano di un’incontenibile e incessante brutalità verso gli abitanti di Gaza. Israele, inoltre, ha mantenuto l’embargo su Gaza dopo che entrò in vigore il cessate-il-fuoco, il che, secondo i leader di Hamas, vuol dire violare l’accordo. Durante il cessate-il-fuoco, Israele ha impedito le esportazioni dalla Striscia, violando manifestamente un accordo del 2005 e causando un violento calo delle possibilità di impiego. Ufficialmente, infatti, il 49,1 percento della popolazione è disoccupato. Ma al contempo Israele ha limitato drasticamente l’ingresso a Gaza di automezzi carichi di cibo, carburante, bombole di gas per uso alimentare, pezzi di ricambio per impianti sanitari e idrici, e medicinali. Mi risulta difficile capire come affamare e congelare i civili di Gaza possa voler dire proteggere i cittadini israeliani che vivono sul confine. Ma anche se fosse, sarebbe lo stesso immorale, una forma di punizione collettiva che è severamente proibita dal diritto internazionale.
La brutalità dei soldati israeliani fa il paio con la propensione alla menzogna dei suoi portavoce. Otto mesi prima che scoppiasse la guerra contro Gaza, Israele creò il Consiglio per l’Informazione nazionale. La sostanza dei messaggi alla stampa di questo organo è che Hamas ha violato il cessate-il-fuoco; che l’obiettivo di Israele è la difesa della sua popolazione; che le forze di Israele stanno facendo tutto il possibile per non fare del male ai civili innocenti. I velinari di Israele sono riusciti a trasmettere il messaggio. Ma, in sostanza, la loro propaganda non è altro che un insieme di bugie.
C’è un enorme divario tra la realtà delle azioni di Israele e la retorica dei suoi portavoce. Non è stato Hamas a rompere il cessate-il-fuoco, ma le Forze di Difesa israeliane. Il 4 novembre fecero un incursione a Gaza uccidendo sei uomini di Hamas. L’obiettivo di Israele non è solamente la difesa della sua popolazione, ma il rovesciamento finale del governo di Hamas a Gaza, mettendo il popolo palestinese contro i suoi governanti. E altro che cercare di non far del male ai civili: Israele è colpevole di bombardamenti indiscriminati e di un embargo ormai triennale che ha portato gli abitanti di Gaza, attualmente un milione e mezzo, sull’orlo di una catastrofe umanitaria.
Il precetto biblico dell’occhio per occhio è già abbastanza crudele. Ma la dissennata offensiva israeliana contro Gaza sembra seguire la logica dell’«occhio per ciglio». Dopo otto giorni di bombardamenti, con un bilancio di più di 400 Palestinesi uccisi contro quattro Israeliani, il governo guerrafondaio ha ordinato l’invasione di terra di Gaza, le cui conseguenze sono incalcolabili.
L’inasprimento dell’impiego dell’esercito non potrà far guadagnare a Israele l’immunità dal lancio di razzi da parte dell’ala militare di Hamas. Ad onta della morte e della distruzione che Israele ha inflitto loro, essi continuano la loro resistenza e continuano a sparare razzi. Si tratta di un movimento che glorifica il vittimismo e il martirio. Semplicemente: non c’è una soluzione militare allo scontro fra due comunità. Il problema del concetto di sicurezza di Israele è che esso nega persino la più elementare sicurezza all’altra comunità. C’è un solo modo per garantirsi la sicurezza, e non è sparare, ma discutere con Hamas, che si è più volte detto disposto a negoziare un cessate-il-fuoco duraturo con lo stato ebraico entro i confini di prima del 1967, un accordo che duri venti, trenta o addirittura cinquanta anni. Israele ha respinto l’offerta per la stessa ragione per cui ha rifiutato con sdegno il progetto di pace della Lega araba nel 2002, che è ancora sul tappeto: perché comporta concessioni e compromessi.
Questo breve excursus sulla cronaca di Israele degli scorsi quarant’anni non può che portare alla conclusione che esso è ormai diventato uno stato canaglia con «un gruppo di capi del tutto privo di scrupoli». Uno stato canaglia viola abitualmente il diritto internazionale, possiede armi di distruzione di massa e pratica il terrorismo, cioè l’uso della violenza contro i civili per scopi politici. Israele soddisfa tutti e tre questi criteri; le calzano a pennello. La vera mira di Israele non è una coesistenza pacifica coi vicini palestinesi, ma il dominio militare. Rende più grave gli errori del passato aggiungendone di nuovi e più disastrosi. I politici, come chiunque altro, sono certamente liberi di ripetere le menzogne e gli errori del passato. Ma non sono obbligati a farlo.
Avi Shlaim è docente di Relazioni internazionali all’Università di Oxford ed è autore di Il muro di ferro. Israele e il mondo arabo [versione italiana Il Ponte editrice, 2003] e di Lion of Jordan: King Hussein's Life in War and Peace [Il Leone di Giordania: la vita di re Hussein in guerra e in pace].
Fonte: http://www.guardian.co.uk
Link: http://www.guardian.co.uk/world/2009/ja ... -palestine
07.01.09