Renzi si tenga il Paese e lasci al senato la riformaQuando l’altro ieri sera, appresa dalle agenzie di stampa la notizia, ho detto a caldo che “era stato un errore politico” rimuovermi dalla Commissione Affari Costituzionale e ”per Renzi un autogol”, purtroppo avevo ragione. “Ammutinamento nel Pd”, titola il Giornale “ 14 senatori si auto sospendono dal gruppo”. Repubblica la racconta così: “Senato, è bufera nel Pd. 13 auto sospesi con Mineo. Renzi: non accetto più veti, contano i voti non gli lascio il paese”. Corriere, “Scontro dopo la sostituzione in commissione di Mineo. I ribelli: c’è voglia di epurazione. Tensione nel Pd, stretta di Renzi”. Poi Giannelli propone un Matteo Renzi pingue e gigantesco che indica due nanetti “Vannino e Corradino”. Titolo “La Grandeur”
Ora mi chiedo, e vi chiedo, che onore possa mai esserci, da parte del miglior politico che abbiamo dell’uomo che ha appena ottenuto una così larga delega dagli italiani, nel dire una sciocchezza come “contano i voti, non i veti. Non lascerò il Paese a Mineo”? Suvvia, un po’ di misura. E meno balle. Né Mineo in Commissione, né Chiti, né Tocci ne alcuno di noi, ha mai posto alcun veto. Non c’è un solo caso in cui l’iter della riforma del Senato sia stato paralizzato dal nostro dissenso aprendo la strada “alla palude”. Di che stiamo parlando? In verità stiamo parlando di errori commessi da altri, in particolare da Maria Elena Boschi e Luigi Zanda. Il secondo deve aver detto più volte al premier che la maggioranza era compatta, il gruppo unito e pronto a seguirlo, il dissenso di Chiti trascurabile. La seconda non ha voluto tener conto del dibattito in Senato (molte ore di confronto produttivo e la riforma era a portata di mano) per imporre, sotto elezioni, cioè nel momento di maggior debolezza del Premier, che il suo vecchio e in parte superato disegno di legge venisse assunto “come testo base” senza cambiarne una sola virgola. Così Il Pd si è perso il consenso delle opposizioni, così la maggioranza si è fatta battere (con il voto di Mauro) ed è stato approvato l’ordine del giorno Calderoli, così tutto s’è fermato.
Ora tutti sanno che toccherà a “Matteo” correggere quegli errori, che dovrà chiedere aiuto a Berlusconi, forse a Calderoli”. Comunque sia, il testo finale non sarà quello che si era voluto imporre in commissione. Una figuraccia. Ecco il tentativo di trovare un capro espiatorio. E chi meglio del rompi scatole prestato alla politica, del giornalista in cerca di visibilità, di quello che avrebbe usato “il partito come un taxi per farsi eleggere” (Eh no, cari democratici, mi avete cercato voi!). Insomma Corradino Mineo. Ma quanto suona buffo, per non dire grottesco, che il premier più votato (sia pure indirettamente) dagli italiani dica una corbelleria come “non lascerò il partito a Mineo”. Povero Matteo, costretto a mettere una pezza alle cavolate fatte in suo nome, che trascura cose più importanti e sceglie di offrire il petto al plotone delle critiche! Vorrei aiutarlo, davvero. Ma al punto in cui siamo l’unico modo che per aiutarlo è tenergli testa. Ci asfalterà! È la previsione di quasi tutti. Ma è comunque bene che sappia come non tutti siano comprabili con un seggio, come qualcuno possa non piegarsi se si fa la voce grossa.
Purtroppo mi tocca, qui, contestare qualche bugia detta a Repubblica da Luigi Zanda. La prima: si votò nel gruppo “107 presenti, 11 contrari 4 astenuti”. Ma non si votò affatto sul pomo della discordia sui sindaci e presidenti di regione trasformati in senatori. Anzi ricordo bene che Tocci interruppe più volte Zanda, obbligandolo a correggersi perché aveva balbettato qualcosa come “votiamo la fiducia al governo” e dovette correggersi e alla fine votammo solo una raccomandazione,“fare le riforme”, e Mucchetti si astenne perché contestava l’utilità di quel voto inutile. Così Pierluigi Bersani, uno che alla ditta ha dedicato davvero la vita, osserva come sia “curioso che si chieda fedeltà su di un testo che non c’è”. Fedeli a cosa, ai sindaci senatori, ai consiglieri che eleggono i il senato, a cosa? La seconda bugia è che la sostituzione in commissione “non c’entra niente con la violazione dell’articolo 67” (quello che sancisce l’assenza del vincolo di mandato). In realtà Zanda ha sancito la tesi che solo il partito possa essere rappresentato in commissione e che si possa cambiare cavallo in corsa (da mesi lavoravo sulla riforma). In aula, poi, parla solo chi il Capo Gruppo decide. Se non è imposizione partitocratica questa! Infine Zanda persevera nell’errore “Io distinguerei Mineo da tutti gli altri. Di 13 posso non condividere in questa circostanza le opinioni politiche. Di Mineo non condivido nemmeno i comportamenti”. Bravo, quali comportamenti? Ma il punto è un altro: personalizzando su Mineo, Zanda cerca di coprire la madornale sottovalutazione di Chiti e Tocci e Gatti e D’Adda e Corsini e Mucchetti e tutti gli altri.
Dice Altan. “Supereremo anche questa crisetta interna”. “Ma sì, quel che non ammazza ingrassa”. Certo che ne abbiamo notizie con cui ingrassare! La Stampa: “Orsoni patteggia e resta sindaco”. Ha ammesso il “finanziamento illecito”, sostenendo che sarebbe stato il Pd a metterlo in croce perché chiedesse soldi a quelli del Mose, ma non intende lasciare la poltrona di primo cittadino a Venezia. Il Fatto sintetizza: “Renzi: dissidenti chi? Orsoni: Renzi chi?”
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