Mediaset, motivazioni firmate dall'intero collegio
«L'ex premier è l'ideatore del meccanismo di frode fiscale»
È stata depositata la sentenza della Cassazione sul processo Mediaset con le motivazioni per cui i giudici della Suprema corte hanno confermato la condanna per Silvio Berlusconi. Il verdetto è stato letto dal giudice Antonio Esposito meno di un mese fa, lo scorso primo agosto. L'intervista rilasciata dal magistrato al Mattino ha poi suscitato molte polemiche, l'apertura di un procedimento disciplinare da parte del pg della Cassazione ed anche l'apertura di un fascicolo da parte del Consiglio superiore della magistratura.
IL TESTO - Nelle motivazioni, Berlusconi viene indicato come «ideatore del meccanismo del giro dei diritti che a distanza di anni continuava a produrre effetti (illeciti) di riduzione fiscale per le aziende a lui facenti capo in vario modo». Le motivazioni sono state firmate dall'intero collegio giudicante e non solo dal presidente, come avviene di solito. Il testo prosegue nell'elenco delle ragioni dell'accusa: «La definizione come sovraffatturazione appare quasi un sottodimensionamento del fenomeno descritto e anzi, inadeguata a definirlo». Il sistema organizzato dall'ex premier «ha permesso di mantenere e alimentare illecitamente disponibilità patrimoniali estere, conti correnti intestati ad altre società che erano a loro volta intestate a fiduciarie di Berlusconi» (così si legge a pagina 181 del testo).
L'IPOTESI DIFENSIVA - Berlusconi è stato condannato a 4 anni (tre dei quali condonati per l'indulto) per frode fiscale. Grazie a una serie di società off-shore, avrebbe evaso 7,3 milioni di euro dovuti al fisco per la compravendita di film prodotti negli Stati Uniti. Nell'intervista al Mattino, contestata e parzialmente smentita dallo stesso Esposito, il magistrato spiegava che non regge l'ipotesi difensiva secondo cui Berlusconi non era al corrente delle operazioni fatte dai suoi manager. Le motivazioni confermano però la tesi: «Non è dunque verosimile - si legge nell'atto - che qualche dirigente di Fininvest abbia subito truffe milionarie per vent'anni senza accorgersene».
NON COSÌ SPROVVEDUTO - Per i giudici, anzi, Berlusconi non poteva essere «un imprenditore così sprovveduto da non avvedersi» dei maggiori costi o al punto che i soggetti che a lui facevano riferimento potessero occultaglielo. E tali conclusioni «sono del tutto conformi alla plurime risultanze probatorie» valutate «con adeguate argomentazioni del tutto immuni da vizi logico-giuridici e, come tale, non sindacabili in questa sede». Citando le conclusioni della Corte d'Appello, i giudici della Cassazione specificano la gravità dei comportamenti dei manager più vicini di Berlusconi: «Ad agire - si legge nel passaggio centrale delle conclusioni - era una ristrettissima cerchia di persone che non erano affatto alla periferia del gruppo, ma che erano vicine, tanto da frequentarlo tutti (da Bernasconi, ad Agrama, Da Cuomo a Lorenzano) personalmente, al sostanziale proprietario, l'odierno imputato Berlusconi. Un imputato, un imprenditore che pertanto avrebbe dovuto essere così sprovveduto da non avvedersi del fatto che avrebbe potuto notevolmente ridurre il budget di quello che era il maggior costo per le sue aziende e che tutti questi personaggi, che a lui facevano diretto riferimento, non solo gli occultavano tale fondamentale opportunità, ma che, su questo, lucravano ingenti somme, sostanzialmente a lui, oltreché a Mediaset, sottraendole».
LE DISMISSIONI NON INFLUIRONO - Ad aggravare le accuse nei confronti di Berlusconi è il fatto che «i personaggi chiave sono stati mantenuti sostanzialmente nelle posizioni cruciali anche dopo la dismissione delle cariche sociali da parte di Berlusconi e in continuativo contatto diretto con lui, di modo che la mancanza in capo a Berlusconi di poteri gestori e di posizioni di garanzia nella società non è un dato ostativo al riconoscimento della sua responsabilità». Per i giudici è inoltre «inverosimile» l'ipotesi alternativa «che vorrebbe tratteggiare una sorta di colossale truffa ordita per anni ai danni di Berlusconi (proprio in quello che è il suo campo d'azione e nel contesto di un complesso meccanismo da lui stesso strutturato e consolidato) da parte di personaggi da lui scelti e mantenuti, nel corso degli anni, in posizioni strategiche e nei cui confronti non risulta essere mai stata presentata alcuna denuncia». Lo spiegano i giudici della Suprema corte nelle motivazioni della sentenza che ha confermato la condanna a quattro anni di reclusione per Silvio Berlusconi.
LA GIUNTA PER L'IMMUNITÀ - In vista della riunione della Giunta per le immunità del prossimo 9 settembre che dovrà decidere della decadenza di Berlusconi dal suo seggio al Senato, il segretario del Pdl Alfano lancia un appello ai democratici: «Invito il Pd a valutare le carte, ad approfondire e riflettere bene. Credo - dice - che il Pd debba spogliarsi un attimo dall'abito di chi per 20 anni ha combattuto Berlusconi come il peggior nemico e valutare le carte studiando e approfondendo per vedere se davvero, come noi crediamo, questa norma sulla decadenza non sia applicabile al passato, perché Berlusconi è diventato senatore ben prima che questa disposizione fosse approvata».
29 agosto 2013 | 16:49 www.corriere.it