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La questione morale secondo De Mita

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Re: La questione morale secondo De Mita

Messaggioda pinopic1 il 16/12/2008, 12:21

Certo De Mita sogna il ritorno alla prima repubblica perché aspira a qualche posto di governo o di sottogoverno.
La corruzione nella politica c'era nella prima repubblica, durante il fascismo, prima del fascismo, nell'Ottocento, nel Rinascimentio, nel medioevo, nelle repubbliche marinare, nel Regno Longobardo e nell'Impero Bizantino, nell'Impero romano, ecc.
Però in alcuni di quei momenti c'era anche la politica.
Sì, la politica al tempo di mani pulite era marcia fino alle radici. Esattamente come oggi. Non fu un complotto dei magistrati, solo un attacco a sorpresa che oggi non sarebbe più possibile.

La deriva populista è lo sbocco dei partiti cosiddetti non ideologizzati, quelli che pretendono di avere come blocco sociale di riferimento tutto il popolo, ma anche tutta la gente. Quelli che pretendono di farsi scegliere da chiunque perché sono più efficienti e più credibili e magari più onesti degli altri nel proporre le stesse cose allo stesso popolo. Quanto alla demagogia, si può essere molto demagogici anche senza essere ideologizzati.

Ma forse siamo più avanti del mondo che ci circonda e io non me ne accorgo.
"Un governo così grande da darti tutto quello che vuoi è anche abbastanza grande da toglierti tutto quello che hai" (Chiunque l'abbia detto per primo)
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Re: La questione morale secondo De Mita

Messaggioda pierodm il 16/12/2008, 19:08

" ...Si può essere molto demagogici anche senza essere ideologizzati " - dice Pino.

Non "si può", ma "si deve" essere demagogici, in una politica esente da riferimenti ideologici.
Tutto l'impianto del maggioritario, e peggio quello del bipartitismo, conducono allla demagogia.

Trovo però paradossale - e sintomatico del raschiamento del fondo del barile al quale siamo arrivati - che siano i "ragionamendi" dello sbiadito personaggio a farci discutere, facendo da discriminante sui sistemi istituzionali e sulla forma-partito.
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Re: La questione morale secondo De Mita

Messaggioda guidoparietti il 16/12/2008, 20:53

pierodm ha scritto:" ...Si può essere molto demagogici anche senza essere ideologizzati " - dice Pino.

Non "si può", ma "si deve" essere demagogici, in una politica esente da riferimenti ideologici.
Tutto l'impianto del maggioritario, e peggio quello del bipartitismo, conducono allla demagogia.

Trovo però paradossale - e sintomatico del raschiamento del fondo del barile al quale siamo arrivati - che siano i "ragionamendi" dello sbiadito personaggio a farci discutere, facendo da discriminante sui sistemi istituzionali e sulla forma-partito.

La demagogia è il rischio sempre presente in qualsiasi democrazia, l'alternativa è restringere il governo a gruppi oligarchici individuati in qualche modo e in qualche modo resi capaci di tenere le redini di tutto senza dover sentire cosa pensa il popolo. Era demagogico, in un modo diverso e forse se volete anche migliore, anche promettere la rivoluzione, ben sapendo che non ci sarebbe stata. D'altro canto, nonostante la demagogia sia in qualche misura sempre presente nelle società democratiche, non vedo alcun nesso tra maggioritario bipartitismo e demagogia, semmai anzi il contrario. I paesi che meno nella storia hanno subito i colpi della demagogia (li hanno subiti, ma molto meno di altri) sono gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, entrambi paesi saldamente maggioritari e bipolari (la Gran Bretagna non sempre, ma per la maggior parte della sua storia parlamentare sì). Confrontiamo il ventesimo secolo degli Stati Uniti o della Gran Bretagna con quello di altre società assai più ideologizzate e pure caratterizzate da sistemi multipartitici e proporzionali. A qualcuno viene in mente la repubblica di Weimar? O la terza repubblica francese? O l'Italia finita nel fascismo? Questi sono gli esempi di paesi caratterizzati da partiti ideologici e da sistemi multipartitici e proporzionali. E sono gli esempi della peggior demagogia che ha finito per indebolire tremendamente (Francia, ma anche Italia prima repubblica) la democrazia o distruggerla completamente (nazismo e fascismo).
E allora di che parliamo? Diamo addosso al maggioritario e al bipolarismo-bipartitismo così tanto per fare? Anche con argomenti che in realtà proverebbero tutto l'opposto? Ma ha un senso, soprattutto ora che ci troviamo impantanati in un sistema proporzionale incredibilmente poco democratico? Io non ci vedo tanto senso a prendersela col maggioritario e col bipolarismo-bipartitismo, se devo esser sincero.
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Re: La questione morale secondo De Mita

Messaggioda pierodm il 17/12/2008, 2:03

Guido
Demagogia è un termine che indica un comportamento politico incline ad assecondare le aspettative della gente, sulla base della percezione delle loro necessità.
Ma anche:
Comportamento di colui che utilizza frasi retoriche ed esprime promesse inconsistenti per accaparrarsi il favore dell'elettorato, facendo spesso leva su sentimenti irrazionali, ed alimentando la paura o l'odio nei confronti del nemico o dell'avversario politico. In altri termini, la demagogia è l'attività del politico che, in vista del proprio favore, spinge il popolo a fare qualcosa contro il suo stesso interesse, sviando la percezione delle necessità reali. (da wikipedia).

In queste due definizioni mi sembra che ci possiamo stare d'accordo tutti, più o meno.

Se vogliamo essere semplici e perfino banali, basta vedere quanto in questi anni si sia affermato il potere dei sondaggi (aspettative della gente), e il mito comunicativo stesso della "gente".
Lo stesso possiamo dire dell'odio e i sentimenti irrazionali, cogliendo l'occasione degli immigrati, dei Rom, degli extra-comunitari, etc.

In un sistema pluripartitico queste tendenze possono essere praticate da uno o due partiti, ma si mescolano e in parte si compensano con tendenze diverse di altri, facendo sì che la politica nel suo insieme non ne sia così fortemente determinata.
Sulla natura ideologica, come concetto, ci sarebbe molto da dire, ma prendiamo pure per buono ciò che è implicito nel discorso di Guido.
La natura ideologica dei partiti può sussistere anche con comportamenti demagogici - intesi come puro linguaggio, come simbologia, come slogan carismatici - ma il rapporto che creano con l'elettorato è completamente opposto a quello tipico della demagogia: non il sondaggio - direbbe un mio vecchio maestro - ma il magistero, vale a dire la proposta di una visione del mondo.

Il bipartitismo, invece, raccoglie tutte le correnti, tutte le opzioni in un unico - due, uno di qua e uno di là - contenitori, che si fanno concorrenza nell'area di confine, in quella zona di centro che è di fatto "terra di nessuno" (in Italia è terra sostenzialmente di destra, ma facciamo finta di no).
De-ideologizzati, per di più, non gli rimane altro che considerare virtuoso, cioè normale e dedìsiderabile, un comportamento e un rapporto con la gente esattamente uguale a quello descritto sotto la voce "demagogia".
Ecco perché identifico la demagogia con il bipartitismo.

Lascerei stare un excursus troppo spericolato su America e GB.
Certi accostamenti causa-effetto ricordano quelli dei quali parlava Bertrand Russell in Significato e Verità: per esempio l'idea di un osservatore che guarda un treno, e pensa che il treno cammina perché esce il fumo dal fumaiolo, dato che i due fenomeni li vede accadere sempre insieme.
Un mio amico spagnolo - preciso la provenienza, perché di indole incline alle grandi scenografie mentali- sosteneva che i paesi più portati verso i regimi autoritari sono quelli che hanno ai confini una possente catena montuosa, e portava a sostegno la sua Spagna, l'Italia, la Germania (ma Hitler era austriaco, gli feci notare, e lui: appunto!), e la Russia, ché gli Urali non sono possenti, ma il Caucaso sì (Baffone era georgiano), e comunque gli Urali sembrano comunque possenti persi in quelle steppe senza fine, e poi c'era l'Himalaya che chiudeva la questione, con la sua corona tutt'intorno di despoti, califfi e mandarini.
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Re: La questione morale secondo De Mita

Messaggioda guidoparietti il 17/12/2008, 10:17

Caro piero, suggestivo, ma un po' offensivo, l'esempio della grande catena montuosa. Ma dovremmo fare un po' d'ordine nel nostro discorso. Sei TU che hai tirato in ballo la struttura del sistema partitico per spiegare la minore o maggiore demagogia. Quindi, dato che io ho risposto esattamente sullo stesso piano individuato da TE, se il mio era un discorso di catene montuose e dittature, altrettanto lo era il tuo. Perciò i tuoi rimbrotti suonano un po', come dire, fuori luogo. Ma naturalmente non era così, è ovvio che il modo in cui è organizzato un sistema politico ha dei riflessi su come quel sistema funziona, anche se non semplici cause-effetto (cosa che non ho mai detto né pensato). E nella fattispecie, dato che il discorso storico non ti è piaciuto (ma non ne dai ragioni, lo liquidi così con una battutina), è chiaro che in un sistema multipartitico e proporzionale ogni partito tende a coltivare il proprio segmento di elettorato e per far ciò è portato a ideologizzarsi e a individuare le posizioni che più piacciono a quel suo proprio settore e basta. Quindi posizioni politiche più nette e ideologiche, molto più demagogiche proprio perché in realtà quelle promesse calibrate su un elettorato preciso non sono realizzabili nella società per nell'insieme. Tra l'altro, l'evidente necessità di individuare con maggior nettezza i confini del proprio gruppo di elettori spinge fortemente verso l'impiego di retoriche escludenti e al limite incitanti all'odio degli altri – la "diversità" del PCI è stato un esempio mite, ma il mondo a parte in cui viveva un aderente al partito nazista ne è l'esempio più estremo.
Non si tratta di causa-effetto, perché ovviamente intervengono molti altri fattori, ma è indubbio che la tendenza sia questa: se un partito è spinto dal sistema ad appellarsi ad un settore ristretto dell'elettorato tenderà a radicalizzare (anche un radicalismo centrista se è il caso) le proprie posizioni e comunque a ritagliarle perfettamente ad uso e consumo di quel settore (classe? ceto? casta?) sociale che individua come proprio riferimento.
Viceversa partiti molto grandi e quindi meno ideologizzati devono in qualche modo rivolgersi all'intero elettorato, perché pescano voti in modo trasversale attraverso varie classi, gruppi culturali, ecc. Quindi devono costruire un messaggio che possa avere un appeal molto ampio, sia pure poi con variazioni e accenti dedicati all'una o all'altra posizione che caratterizzano sempre una piattaforma politica. Di fatto questo crea la tendenza a partiti meno ideologizzati, meno demagogici, più pragmatici. E guardando alla storia di USA e GB (lasciamole perdere... ma PERCHÉ? Si possono fare solo gli esempi che piacciono a pierodm?) mediamente direi anche partiti più democratici e più efficienti.

Questi sono un po' di dati e argomenti. Tu invece hai sostenuto:
Non "si può", ma "si deve" essere demagogici, in una politica esente da riferimenti ideologici.
Tutto l'impianto del maggioritario, e peggio quello del bipartitismo, conducono allla demagogia.

E questa SI è una considerazione causa-effetto estremamente ingenua. E peraltro, anche se non fosse ingenua, è smentita dai fatti. Se poi vuoi sostenere che negli USA maggioritari c'era più demagogia che nell'Italia della prima repubblica o nella Gran Bretagna tra le due guerre c'era più demagogia che a Weimar, secondo me sosterresti una cosa assurda, ma almeno degnati di argomentarle. E non accusarmi, perfavore, di ragionare su cose che non c'entrano nulla, quando sono quelle che hai introdotto tu, e di considerare relazioni di causalità troppo ingenue, quando sei tu che hai esordito in tal modo.
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Re: La questione morale secondo De Mita

Messaggioda pierodm il 17/12/2008, 18:22

Guido
Caro Guido, hai un nome poetico, che mi ricorda una delle strofe più belle della nostra letteratura: non riesco ad innervosirmi con un nome così, e per altro la citazione del mio amico spagnolo era tutt'altro che offensiva.
Non so se c'entra, ma Delfin - l'hidalgo - aveva due lauree, parlava sei o sette lingue ed era uno estremamente intelligente e divertente. La chiacchierata sulle catene montuose faceva parte delle tante conversazioni paradossali che facevamo tra una lezione e l'altra, o nelle lunghe serate in cui gli tenevo compagnia mentre faceva le sue traduzioni.
Qualche volta commetto l'errore di partecipare alle discussioni - non solo ai forum - portandomi dietro i vizi e i vezzi di una conversazione.

Torniamo alla demagogia.
Questo vizio - la tendenza a cadere in questo vizio - è comune a qualunque momento politico nel quale ci si rivolge ad una massa popolare: voglia di approvazione, bisogno compulsivo di piacere, schermo dietro il quale nascondere debolezze e raggiri, etc.
D'altra parte non dobbiamo commettere l'errore - scusabile, ma errore - di mettere sotto questa voce tutte le storture, le male intenzioni, le devianze, le ipocrisie, gl'inganni, le ambiguità che incombono sul rapporto tra politicanti e cittadini.
Qui si parla di una demagogia che travalica i limiti fisiologici e che allo stesso tempo sia intrinseca ad un determinato sistema, e non una degenerazione casuale o soggettiva.

In modo sia pure molto sintetico, mi sembra di aver giustificato la mia affermazione, che un sistema bipartitico sia di per sè più demagogico di altri, democratici.
Evidentemente la mia sintesi non è apparsa sufficiente, ma temo che allungare il brodo non aggiunga un granché.
La parte della prima repubblica che possiamo catalogare con chiarezza sotto la "demagogia" è data soprattutto dallo sventolare dei due labari contrapposti: quello "cristiano" della DC, e quello "rivoluzionario" del PCI, due idee carismatiche che avevano una scarsa consistenza reale.
Tutto il resto è bassa cucina, o ordinaria amministrazione, nel bene o nel male.
I partiti avevano la propria base consolidata, e la propria identità: una demagogia a tutto campo non aveva molto spazio.

Nel bipartitismo, la natura a-ideologica sottrae identità, e le dimensioni dei due partitoni, la necessità stessa di accorpare correnti diverse e spesso contraddittorie, spinge a cercare gli argomenti, i valori, i simboli, le parole d'ordine capaci di galvanizzare una massa più estesa possibile: non è detto che questo solo fatto sia di per sè "demagogia", ma ne è la premessa immediata, dalla quale la demagogia discende in modo quasi fatale.

Bene.
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Re: La questione morale secondo De Mita

Messaggioda guidoparietti il 17/12/2008, 18:45

Piero, continui a ripetere la stessa tesi, ma è un dato che i paesi maggioritari-bipolari hanno conosciuto meno demagogia di quelli a tradizione multipartitica e proporzionale, e a conferma di questo dato io ti ho dato quella che secondo me è la spiegazione. Tu mi hai dato una spiegazione, che non regge come ti ho spiegato, e che inoltre contrasta con i fatti osservabili. Quindi, esattamente, di che stiamo parlando?
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Re: La questione morale secondo De Mita

Messaggioda pinopic1 il 17/12/2008, 18:55

Avendo vissuto entrambe le "repubbliche" dopo la comparsa del dente del giudizio faccio fatica a ricordare nella prima repubblica un tasso di populismo e demagogia superiore a quello della seconda. Anche rivedendo le tribune politiche di quei tempi noto negli esponenti del PCI moltissime contraddizioni ma non demagogia, piuttosto sembrano molto preoccupati di rassicurare rispetto ad esiti "rivoluzionari" di un loro eventuale successo elettorale.
Gli esponenti DC non fanno nessuna promessa ma propongono il partito e la sua politica come garanzia di democrazia, progresso e difesa di valori. Non vanno alla lavagna a disegnare ponti e gallerie. Anche se di ponti e gallerie ne sono stati fatti tanti in quegli anni. Un qualsiasi Lauricella ne ha inaugurati più di Berlusconi.
Anche il PCI più che promettere chiedeva impegno a militanti ed elettori.
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Re: La questione morale secondo De Mita

Messaggioda franz il 17/12/2008, 21:36

pinopic1 ha scritto:... noto negli esponenti del PCI moltissime contraddizioni ma non demagogia, piuttosto sembrano molto preoccupati di rassicurare rispetto ad esiti "rivoluzionari" di un loro eventuale successo elettorale.
Gli esponenti DC non fanno nessuna promessa ma propongono il partito e la sua politica come garanzia di democrazia, progresso e difesa di valori. Non vanno alla lavagna a disegnare ponti e gallerie.

Non so se sia calcolabile e comparabile una sorta di "tasso di demagogia" allora come oggi.
Io ritengo che la demagogia vada di pari passo con l'ignoranza dell'elettorato.
Nel senso che piu' è ignorante è piu' è sensibile alla sirena del demagogia e del populismo.
Puo' darsi che esista un generico gradiente nord-sud europeo che spieghi perché in svezia la demagogia non se la filano affatto, mentre da noi (come in spagna, portogllo e grecia) accade il contrario. Da mettere in relazione con quanti libri e giornali si leggono in svezia o norvegia (decisamente montuosa, direi) e da noi.

Ciao,
Franz
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Re: La questione morale secondo De Mita

Messaggioda pinopic1 il 17/12/2008, 23:49

Una cosa. Nella prima repubblica nessuno diceva "io" ma attribuivano al proprio partito tutte le virtù e magari al partito avverso i vizi.
Non so perché e se è vero che nei paesi più o meno montuosi o più o meno del sud gli elettori sono più inclini al populismo e alla personalizzazione. Ma so che da noi questa inclinazione c'è e, sempre da noi, il bipartitismo la sta rafforzando.

Forse è colpa degli Appennini che assomigliano alle Ande?
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