Intervengo solo ora, perché non avevo seguito bene tutta la vicenda: che tanti difendessero Sallusti mi aveva fatto pensare che la vicenda fosse più opinabile.
Vedo che Flavio ha postato un link che consente di arrivare al testo dell'articolo, ma mi sembra doveroso di riportare l'intera vicenda nelle sue reali proporzioni, solo così ci si rende conto della gravità di quello che è stato scritto nell'articolo di Farina.
Dunque, ecco come si è svolta la vicenda:
Da
Il Corriere del 12 settembre:
Sallusti, la storia che ha portato alla condanna
La vicenda della gravidanza interrotta di una tredicenne presentata come un aborto coattivo deciso dal giudice
La vicenda che ha portato alla condanna di Alessandro Sallusti comincia in un giorno di febbraio del 2007. In un ospedale di Torino una ragazzina di appena 13 anni, che tutti chiameranno Valentina, si sottopone all'aborto del bambino avuto dal fidanzato 15enne. La vicenda finisce sui giornali, quasi tutti raccontano la storia di una scelta dolorosa, suggerita, forse imposta alla ragazzina dalla madre. Tranne Libero, che usa parole molto forti nell'accusare giudice e genitori.
LA STORIA - La ragazzina che rinuncia a diventare madre ha avuto a sua volta un'infanzia da incubo: orfana, sballottata da un istituto all'altro, dove subisce violenze prima dell'arrivo in Italia, viene adottata all'età di 8 anni. I genitori adottivi si separano dopo qualche anno, Valentina passa da una sbornia a un abuso di ecstasy. Resta incinta. Probabilmente non vorrebbe abortire, la circostanza non è chiara. In ogni caso la madre la convince e lei firma i moduli per la richiesta. Ma dopo l'intervento subisce un crollo psicologico, e viene ricoverata per esaurimento nervoso. La notizia esce il 17 febbraio, le ricostruzioni insinuano che la ragazzina era contraria, che non voleva perdere il bambino. E che per questo dopo l'aborto finisce ricoverata in Neurologia. Il giorno dopo la confusione si dirada, e i giornali, tra cui anche il Corriere, fanno chiarezza: non ci sarebbe stata alcuna costrizione, né un provvedimento del giudice per obbligarla ad interrompere la gravidanza. «Siamo intervenuti - chiarisce l' ufficio del giudice tutelare di Torino - perché i genitori sono separati e il padre non era informato. Sul piano legale, questo caso così doloroso è uguale a quello di qualsiasi minorenne che voglia interrompere la gravidanza senza il consenso dei genitori: valutiamo la situazione, i suoi motivi, e se sono validi la autorizziamo a decidere autonomamente».
LA VERSIONE DI «LIBERO» - Il giudice tutelare si è quindi limitato a prendere atto della decisione di madre e figlia, sostituendo il padre per quanto concerne l'autorizzazione, come del resto prevede la legge. Libero, all'epoca diretto da Sallusti, racconta invece un'altra storia. E con un commento firmato Dreyfus, trafigge la vicenda con una serie di giudizi sferzanti. Per Dreyfus, pseudonimo che secondo alcune ipotesi celerebbe Renato Farina, «il magistrato ha ordinato un aborto coattivo», la madre e il padre (che in realtà era all'oscuro di tutto) avrebbero voluto «cancellare con bello shampoo di laicità» l'amore di una giovane madre per il bimbo. Mentre il medico avrebbe «estirpato il figlio e l'ha buttato via». Per poi concludere con un augurio: «Se ci fosse la pena di morte, se mai fosse applicabile, questo sarebbe il caso. Al padre, alla madre, al dottore e al giudice». Frasi che non sono piaciute al magistrato Giuseppe Cocilovo, che ha presentato una denuncia per diffamazione. Ne è seguita la condanna in primo e secondo grado, e il sigillo della Cassazione. Che, caso raro, non concede neppure la sospensione condizionale della pena.
Antonio Castaldo Qui invece potete leggere l'articolo di Farina, firmato Dreyfus. La gravità delle accuse alla magistratura, la totale falsificazione della vicenda, la terminologia usata per descriverla, fanno rabbrividire.
Incredibile ai miei occhi che qualcuno abbia potuto difendere il direttore di un giornale che ha pubblicato quell'articolo (in forma anonima, per giunta) affermando di difendere la libertà di stampa.
La libertà di stampa si difende prima di tutto non diffondendo notizie false, non descrivendo in termini raccapriccianti una vicenda già molto dolorosa in sé.
Che la famiglia non abbia sporto querela mi pare ovvio: non desiderava certo dare ulteriore pubblicità alla vicenda.
Altrettanto ovvio che il magistrato avesse il
preciso dovere di sporgere querela, per difendere non solo e non tanto se stesso, quanto la dignità e l'onorabilità di tutto il Tribunale dei Minorenni.
E un direttore di giornale di cosa è mai responsabile, se non controlla almeno la veridicità (che dico, la verosimiglianza) delle storie che i suoi articolisti scrivono sotto la sua esclusiva responsabilità, dato che Farina non è più un giornalista, in quanto già condannato per aver scritto il falso?
La vicenda mi ha turbato, ma ancor più mi hanno turbato le difese d'ufficio, quelle sì in odore di casta, da parte di giornalisti come Travaglio, che credevo più corretto.
annalu