Il fascino della decrescita
Massimo Famularo - 4 giugno 2012
Sembra che Latouche abbia incassato un discreto successo all'ultimo festival dell'economia (mi fido dell'articolo, io non c'ero). Come mai questo signore, che la quasi totalità degli economisti seri si guarda bene dal prendere sul serio, riscuote tanto successo?
Per lo stesso motivo per cui ogni volta che qualcuno sostiene di aver trovato la cura per il cancro o una fonte di energia pulita e inesauribile c'è sempre un nutrito numero di sostenitori: ci sono cose a cui vogliamo credere.
Se poi la comunità scientifica dice il contrario allora vuol dire che c'è un complotto delle multinazionali e/o delle banche che pur di tutelare i loro biechi interessi ostacolano deliberatamente il progresso dell'umanità.
Con l'economia e le scienze sociali in generale, la faccenda è ancora più intricata poiché non puoi fare esperimenti in laboratorio e la realtà che osserviamo è talmente complessa da prestarsi a interpretazioni anche antitetiche.
Se affermo di poter ridare la vista ai ciechi, dopo qualche plateale fallimento, diventerò meno credibile.
Se invece sostengo che staremmo tutti meglio guadagnando un po' meno e rispettando di più la natura è più che comprensibile che non potendo osservare le conseguenze catastrofiche di questo approccio qualche animo semplice possa rimanerne infatuato.
La decrescita, dunque, ha il fascino banale della sapienza antica, quella che dice che non fa bene prendere troppe medicine e che spesso una boccata d'aria e un po' riposo sono la cura migliore. A ben guardare, per il raffreddore o per qualche malattia minore il consiglio può anche essere sensato. Quello che dovremmo però rammentare a chi si accosta a questo elisir di lunga vita è che il cancro non si cura con l'aria fresca.
Un ristretto numero di persone, accomunate da una particolare sensibilità e probabilmente da una qualche ideologia di sostegno, possono probabilmente vivere allegramente accontentandosi di risorse minime e celebrando la natura. Lo fanno da sempre confraternite religiose e piccole comunità ad esse assimilabili. Purtroppo, però la stragrande maggioranza della popolazione umana è fatta da individui egoisti e spietati che solo di recente (in termini storici) e limitatamente alle aree più sviluppate ha smesso di ammazzarsi per un tozzo di pane.
Anche senza le velleità new age di Latouche, ci troviamo di fronte alla sfida di nutrire 7 miliardi di persone, di gestire l'invecchiamento della popolazione nei paesi sviluppati, guerre e tensioni sociali in quelli in via di sviluppo: che pacifica prospettiva potremmo attenderci se deliberatamente scegliessimo di ridimensionare la torta delle risorse disponibili?
Quella stessa torta che, non di rado, si contrae malgrado i nostri sforzi per farla crescere?
Qui casca l'asino dell'altro argomento tanto accattivante quanto intellettualmente disonesto: l'impossibilità di una crescita infinita. Se le risorse naturali sono limitate come possiamo proporci di crescere per sempre?
Non possiamo e infatti in nessun testo serio di economia si parla di crescita infinita.
Che questa però possa essere una giustificazione logica per proporsi di decrescere e tutto un altro paio di maniche.
Anche i cavalli come mezzo di locomozione e il carbone come combustibile per le locomotive erano risorse scarse eppure ben prima che si esaurissero abbiamo trovato il modo di crescere senza farle scomparire del tutto.
Perché non dovrebbe accadere la stessa cosa con il petrolio o per il carbone impiegato nelle centrali elettriche?
Perché mai il rispetto della natura dovrebbe essere incompatibile con la crescita economica?
Non si può crescere, per esempio, producendo e consumando libri sotto forma di ebook senza abbattere un albero?
Producendo e consumando servizi di consulenza erogata via internet risparmiando i costi e l'inquinamento degli spostamenti fisici?
Si che si può ed è esattamente quello che sta succedendo sotto il naso dei fautori della decrescita.
@famularomassimo
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