Scusa lucameni, ma ti riferisci a uno dei due articoli che riporto qui sotto (che condivido in larga parte) o ad un altro che mi sfugge?
http://www.corriere.it/editoriali/11_di ... ad1c.shtmlTROPPE TASSE E POCHI TAGLI
Caro presidente no, così non va
Caro presidente,
Lei conosce perfettamente l'importanza storica per il nostro Paese e per l'Europa (oseremmo dire per il mondo intero) delle decisioni che il suo governo oggi assumerà. Dobbiamo confessarle, con tutto il rispetto per il compito difficilissimo che Lei sta svolgendo, che le indiscrezioni che leggiamo sui giornali ci preoccupano e speriamo davvero che Lei e il Suo governo le smentiscano con i fatti.
Quattro erano i punti che a noi parevano essenziali. Primo, per quanto riguarda i conti, ridurre le spese, più che aumentare le tasse. Secondo, preoccuparsi non tanto del saldo della manovra, ma della sua qualità, soprattutto guardando agli effetti sulla crescita. Terzo, dal punto di vista del metodo e del significato politico (anche questo importante) abbandonare la concertazione, perché comunque a quel tavolo non hanno accesso i giovani e chiunque non ha rappresentanza. Infine attaccare senza esitazioni i costi della politica e chiudere i mille canali che consentono di evadere le tasse. Insomma, dare un segnale netto.
Leggiamo invece che dopo i passi iniziali, che sembravano assai incoraggianti, la manovra si sta delineando secondo le solite modalità: aumenti di imposte, pochissimi tagli, incontri con le cosiddette parti sociali (cioè concertazione), nessuna riduzione dei costi della politica.
Punto primo. Tutti gli studi (sia accademici che del Fondo monetario internazionale che della Commissione europea) concordano sul fatto che gli aggiustamenti fiscali fatti aumentando le aliquote hanno creato recessioni più forti di quelli che hanno operato riducendo le spese. Non solo: la spirale di aumenti di aliquote, recessione, riduzione di gettito, tende a creare un circolo vizioso in cui l'economia si avvita in una recessione sempre più grave. Quella di cui leggiamo è una manovra fatta per tre quarti di maggiori tasse e solo per un quarto di minori spese.
Il peso delle imposte in Italia è sopra la media europea (già elevata). Se poi vogliamo considerare l'equità, gli aumenti delle aliquote Irpef colpirebbero anche le classi medie e si sommerebbero alla reintroduzione dell'Ici sulla prima casa. Non sono solo i super ricchi quelli colpiti dagli aumenti dell'Irpef che, a quanto leggiamo, Lei proporrebbe. 75mila euro lordi l'anno (la soglia oltre la quale inizierebbe l'aumento dell'aliquota) corrispondono a poco più di 3.800 euro netti al mese. Per ridurre il deficit, invece di alzare le aliquote, perché non tagliare un po' di sussidi alle imprese? La Tabella A1 della Relazione trimestrale di cassa al 30.6.2010 riporta 15,5 miliardi di trasferimenti a imprese pubbliche e private, cioè oltre 30 miliardi di euro l'anno. Sono tutti davvero necessari? Quanti premiano imprenditori più abili a muoversi nei corridoi dei ministeri che ad innovare?
E perché non agire coraggiosamente contro il peso di un impiego pubblico esorbitante e talvolta inutile? Fino a pochi giorni fa si pensava che l'intervento sulla previdenza avrebbe prodotto risparmi per oltre 10 miliardi. Ora siamo a 6, di cui metà provenienti dall'eliminazione dell'adeguamento all'inflazione, una misura che ridurrà i consumi.
Punto secondo: la crescita. Molto più di un saldo di 25 o 15 miliardi, ciò che conta è un segnale di svolta sulle riforme strutturali. Come Lei ben sa, il nostro problema non è il deficit, ma il rapporto fra debito e prodotto interno. Per ridurlo non basta mantenere un saldo positivo al numeratore: occorre che aumenti il denominatore, cioè la crescita. La riforma dei contratti di lavoro sembra scomparsa ed è invece condizione sine qua non per la crescita. E poi riforma della giustizia, cominciando da una riduzione drastica delle sedi giudiziarie, e liberalizzazione delle professioni. È fondamentale che domani Lei offra delle proposte concrete e credibili su questi temi e si impegni ad andare avanti anche a costo di affrontare le proteste virulenti di chi difende solo interessi di parte.
Punto terzo: il metodo. Con infinti e tediosi incontri con questa o quella rappresentanza si ritorna al solito problema italiano: viene colpito chi lavora e non evade le tasse, mentre nulla si fa per tagliare la spesa pubblica. Quante volte Lei stesso lo ha scritto su questo giornale? Infine non si dimentichi che i segni sono importanti. Sappiamo che non può eliminare i vitalizi, ma può tagliare in modo drastico i trasferimenti agli organi istituzionali: ad esempio Camera e Senato. Avrà contro mille parlamentari, ma avrà dalla sua parte 50 milioni di cittadini.
Le Sue immagini insieme alla signora Merkel e al presidente Sarkozy ci hanno riempito di orgoglio, come italiani, dopo tante umiliazioni. Il mondo ci sta guardando: non è più tempo di passi felpati. Ci vuole una risposta nuova, oseremmo dire «rivoluzionaria».
Alberto Alesina e Francesco Giavazzi4 dicembre 2011 (modifica il 5 dicembre 2011)
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http://www.corriere.it/editoriali/12_ma ... 7a20.shtmlLA DIFFICILE RIDUZIONE DELLE SPESE
Buone intenzioni e acqua fresca
La spending review , e cioè l'analisi e revisione della spesa pubblica, ha partorito un timido topolino, un risultato quasi imbarazzante per il governo.
La spesa (escludendo interessi sul debito, pensioni e sussidi ai meno abbienti) ammontava lo scorso anno al 23,5 per cento del reddito nazionale (Pil). Con sussidi e pensioni la spesa sale al 45,6 per cento; con gli interessi raggiunge la metà dell'intero reddito nazionale. Meno che in Francia e Danimarca, ma solo un punto e mezzo meno che in Svezia, dove i servizi offerti dallo Stato alle famiglie sono di qualità un po' diversa dalla nostra.
In poche settimane dopo il suo insediamento, il governo Monti ha alzato la pressione fiscale di tre punti, dal 42,5 al 45,4% del Pil (era il 40% sette anni fa). Sulla spesa invece non ha fatto quasi nulla, tranne gli interventi sulle pensioni, certo importanti, ma i cui effetti si verificheranno in modo graduale nei prossimi anni. I tetti agli stipendi più elevati dei dirigenti pubblici, la cancellazione della maggior parte dei voli di Stato, i limiti all'uso delle auto di servizio, la rinuncia al compenso per alcuni membri del governo, hanno un significato etico assai importante, ma nessun effetto macroeconomico.
La spending review parte dall'ipotesi che sia «rivedibile» solo la spesa che non riguarda i trasferimenti sociali: ma se non si rimette mano in qualche modo anche al nostro stato sociale, rendendolo più efficace nel contrastare la povertà, anziché disperdersi in sussidi alle classi medie (si pensi all'università) non si fanno passi avanti. Su questa materia sarebbe utile rileggere il rapporto della Commissione Onofri scritto oltre un decennio fa.
In realtà è ancor peggio. Secondo la spending review annunciata lunedì dal governo, non solo la spesa previdenziale non è rivedibile, ma in tempi ravvicinati non lo sono neppure i tre quarti di quella non previdenziale: e all'interno di questa non più di 80 miliardi, ossia il 5% del Pil. A fronte di una spesa che raggiunge il 50% del Pil ed è in gran parte evidentemente inefficiente, l'obiettivo è di «rivederne» (si evita accuratamente di usare il verbo «ridurre») non più di un decimo, e questo in un Paese in cui i contribuenti onesti sono soffocati dalla pressione fiscale. E ciò senza indicare nulla di concreto. In quel 5% ad esempio non pare rientri l'abolizione delle Province: si pensa di «concentrare in alcune Province poche funzioni operative di larga scala»: un modo sicuro per finire con non abolirne nessuna. Nemmeno la loro eliminazione produrrebbe effetti macroeconomici forti, ma è deludente che perfino su questa decisione il governo sembri aver fatto un passo indietro («Il riordino delle competenze delle Province può essere disposto con legge ordinaria..., consentendone la completa eliminazione, così come prevedono gli impegni presi con l'Europa», aveva detto il presidente del Consiglio presentando il suo programma in Parlamento).
Il governo sembra non rendersi conto che l'Italia rischia di avvitarsi in una spirale di tasse, recessione, deficit e ancor più tasse. Purtroppo i dati sulla crescita del primo trimestre potrebbero essere una brutta sorpresa per i mercati.
Ma soprattutto il governo non sembra aver riflettuto con sufficiente attenzione all'evidenza storica, dalla quale si possono trarre due lezioni: 1) le correzioni dei conti pubblici che funzionano sono quelle che riducono le spese, aprendo così la strada a riduzioni del carico fiscale; 2) tanto meglio funzionano quanto più sono accompagnate da riforme che stimolino la crescita. Invece il presidente del Consiglio ripete che non può escludere un aumento dell'Iva. Non ci siamo proprio.
Ps: ad uno di noi (Giavazzi) il presidente del Consiglio ha chiesto di scrivere un rapporto su un aspetto emblematico della spesa: i trasferimenti dello Stato alle imprese. Poiché non abbiamo risparmiato critiche al suo governo, questo dimostra che Mario Monti è una persona pronta ad ascoltare anche chi lo critica, tratto non comune in Italia.
Alberto Alesina e Francesco Giavazzi3 maggio 2012 | 7:37
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.