soniadf ha scritto:Caro Franz,
quello che tu mi propini è la descrizione dell’attività economica che, per sua natura, può produrre diversi gradi di profitto. Poiché non riesco ad intravedere nessuna novità in questo tipo di affermazione, devo desumere che, per te, la povertà derivi dalle incognite del mercato e della produzione.
No. Premesso (ed è importante) che io non
propino ma
propongo discussioni, il problema per chi ha letto bene non è il profitto (reddito), che puo' essere maggiore o minore, ma l'esito di un investimento. Esso se va male non solo fa azzerare il
reddito, ma fa azzerare il
capitale investito (come minimo del 90% piu' grande). Sono dimensioni ben diverse che chiunque puo' capire, a meno che essendo sulla difensiva immagini che uno gli stia "propinando" una "
sola" ed è automaticamente distratto e non disponibile alla comprensione piena.
La redditività degli scambi è infuenzata solo dalla abilità di contrattazione, mentre gli investimenti sono infuenzati soprattutto dal caso, intendendo con esso gli accidenti naturali ed umani che colpiscono il TUO o MIO investimento invece di quelli altrui. Come ho ampiamente illustrato, dopo alcune transazioni, pur partendo da una equità di partenza, abbiamo la disegualianza e quindi alcuni avranno difficioltà di investimento e di scambio, arrivando alla povertà endemica. Invece di investire comae agli altri, potranno solo lavorare e scambiare.
Questo nel modello teorico, che parte per definizione da una ugualianza di base preimpostata per tutti.
Cosa che in realtà non esiste. Ma anche se esistesse, produrrebbe la stessa disegualianza che osserviamo oggi.
soniadf ha scritto:Quello che io modestamente sostenevo è che un fattore della produzione come il lavoro non può più essere remunerato senza tener conto dell’effettivo costo della vita e della qualità della vita di un lavoratore dipendente. C’è una soglia, al di sotto della quale non ci si può attestare, perché i “working poors” sono la sconfitta di un sistema, l’affermazione che l’intera economia è finalizzata a remunerare adeguatamente una sola componente della produzione. In questo caso, l’intero sistema è destinato a sfaldarsi perché, così facendo, si depaupera anche la domanda di beni e servizi da produrre.
La redistribuzione di cui si parla non è quella sorta di partecipazione ai profitti che tu descrivi, ma la definizione equa di un costo di produzione, il lavoro.
La retribuzione del lavoro tiene conto solo della sua produttività, che è funzione della qualità della formazione professionale e del contesto nazionale di produttività, imposte e contributi. Se io ho 26 figli, una Ferrari e sei amanti da mantenere, non posso pretendere nulla dal mio datore di lavoro o dallo Stato Sociale. Anche se avessi 6 figli ed una Alfa Romeo. O due figli ed una Panda. La retribuzione è una funzione del mercato. Quando abitavo in Italia con il mio know-how potevo aspirare ad avere al massimo "x" mentre appena mi sono trasferito all'estero ho chiesto ed ottenuto "X per 2.5". Milioni di italiani lo hanno scoperto emigrando. Non esiste una definizione "equa" universale come l'equo canone.
È tutto relativo, frutto di incontro tra il saper fare del singolo ed il contesto in cui è inserito.
Io faccio il consulente informatico in un paese ad alto reddito.
Pensi che potrei chiedere la stessa reddivitità del mio lavoro nel Sahara o in Antartide? In Kenia o nella Terra del Fuoco?
Se io voglio una pera, contratto con il venditore. L'intesità con io voglio la pera è diversa dalla tua per cui spunteremo prezzi diversi. Non esiste un prezzo equo per le pere o per il lavoro. Tutto dipende dalla intensità con cui io necessito di una pera o di un lavoratore, unita alla qualità (organolettica) della pera o (produttiva) del lavoratore; da quanto devo pagare per il suo lavoro, per le tasse ed i contributi. Se il costo della vita aumanta ed io aumento lo stipendio del lavoratore, prima o poi le mie merci saranno scarsamente concorrenziali con altre (prodotte dove c'è meno inflazione) ed io perdero' quote di mercato e dovro' licenziare lavoratori. Nell'economia globalizzata non ci sono scorciatoie e bisogna pensare in termini diversi dall'autarchia del ventennio.
Se il lavoratore non è capace di fare, non gli do' nulla (non lo assumo nemmeno), anche se i suoi bisogni sono maggiori di quelli un lavoratore capace.
Se è molto caace gli do' molto di piu' di quello che ha bistogno.
So che il discorso è crudo, ma bisogna uscire dalla favola disneyana.-marxista in cui molti si sono cullati in questi anni, del tipo, "ad ognuno secondo le sue capacità ed i suoi bisogni".
cara Sonia, io ho bisogno di una Porche. Chi mi manda un assegno in cambio di un lavoretto qualsiasi?
Ciao,
Franz
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)