La Chiesa, oggi, potrebbe buttare a mare il governo. Ma tace come non ha mai taciuto di Cesare Maffi
http://www.italiaoggi.it/giornali/detta ... %20taciutoNon pare accettabile, alla comune coscienza morale, il permanere nei più alti incarichi di un reggitore della cosa pubblica che abbia dato ripetute e conclamate attestazioni di disordine morale nella propria vita privata. Se sull'Osservatore Romano uscisse un corsivo, concepito in maniera siffatta o simile, quanto durerebbe ancora Silvio Berlusconi a palazzo Chigi? Ovviamente non pochi dei parlamentari di maggioranza legati alla Chiesa avvertirebbero che Oltretevere s'intende mollare il Cav e provvederebbero al necessario adeguamento. Per quanto molti, a sinistra, bramino che la S. Sede (se non proprio i vertici, si accontenterebbero della Conferenza episcopale) si pronunciasse in modo tale da silurare Berlusconi, la Chiesa ha finora evitato (e tutto fa pensare che eviterà) di pronunciarsi in tal senso. Non ha inteso, quindi, sancire un atto chiaramente politico attraverso una condanna di natura etica.
A sinistra debbono quindi accontentarsi di singole frasi di questo o quel presule, eventualmente sforzandole o adattandole alla bisogna. Non così, invece, andava un tempo. Quando negli anni sessanta nacque il primo centro-sinistra, quello di Aldo Moro e Amintore Fanfani (e di Pietro Nenni, Giuseppe Saragat e Ugo La Malfa), Mario Scelba, che capitanava una corrente di centristi nella Dc, appariva bizzoso e poco propenso a votare il primo gabinetto Moro, con maggioranza organica Dc-Psi-Psdi-Pri. In vista del voto di fiducia, fu sufficiente (13 dicembre 1963) un semplice richiamo dell'Osservatore Romano, che rammentava ai cattolici il dovere dell'unità politica. Scelba si adeguò prontamente e i suoi uomini di “centrismo popolare” votarono la fiducia, sia a Montecitorio sia a palazzo Madama. Passò un anno esatto e si arrivò alle agitate votazioni per eleggere il successore del dimissionario (per malattia) Antonio Segni.
A Giovanni Leone, candidato ufficiale della Dc, mancavano a ogni scrutinio decine e decine di voti. In particolare, era Amintore Fanfani ad attrarre suffragi in danno del collega. Egli arrivò perfino a stabilizzarsi intorno ai 130 voti, quando a Leone era sotto di un centinaio di schede per raggiungere il Quirinale. Esattamente come con Scelba, l'Osservatore Romano scese in campo lanciando un appello all'unità dei cattolici. Fanfani dovette inchinarsi, precipitando a quota 17; in compenso, apparvero alcune schede con l'indicazione di Ludovico Montini, fratello di papa Paolo VI: un segnale palese contro l'ingerenza vaticana. Invero, se il corsivo d'Oltretevere servì a stroncare i dissidenti democristiani, non giovò a Leone, il quale dovette ritirarsi per favorire, infine, l'elezione del socialdemocratico Saragat. Pure in altre circostanze i commenti apparsi sul giornale vaticano ebbero un'immediata rilevanza, ma in prospettiva caddero nel vuoto. Il 18 maggio 1960 apparve un fondo, “I punti fermi”, che azzerava ogni ipotesi di apertura a sinistra. Su tali posizioni si ritrovavano parte della Curia romana e non pochi vescovi italiani, ma difforme era la visione di altri prelati, fra i quali verosimilmente lo stesso pontefice Giovanni XXIII o il suo potente segretario particolare, l'oggi quasi centenario mons. Loris Capovilla.
Infatti, nell'agosto '60 s'insediò un governo Fanfani, ponte per il successivo gabinetto di centro-sinistra. Dunque, i precedenti per un intervento vaticano non mancherebbero. Ma sono molto lontani nel tempo. Non c'è più, infatti, il partito di raccolta dei cattolici, mentre la presenza sul trono di Pietro di due pontefici non italiani ha fatto venir meno la diretta conoscenza, da parte dei vertici della S. Sede, delle questioni interne italiane. La conduzione dei rapporti col mondo politico di casa nostra resta spesso affidata alla Cei, pur se, di recente, con non poche tensioni rispetto alla Segreteria di Stato.