da pierodm il 28/10/2010, 10:30
Siamo sicuri che il federalismo tiri fuori davvero il meglio dai cittadini?
Questo è solo un atto di fede, una speranza un po' dogmatica.
Ricordai una volta, sull'argomento, che la Germania nella quale si sviluppò il partito nazionalsocialista era uno stato federale, che Hitler seppe sfruttare benissimo, affermandosi prima in Prussia e poi dilagando nel resto della nazione.
Probabilmente non è il caso di definire l'ascesa nazista come "il meglio della Germania": più opportuno limitarsi a registrare che l'assetto federale consente di valutare con maggiore chiarezza chi sono e cosa sono i cittadini di un dato territorio.
L'esistenza della Lega - in Italia, in Svizzera non so, ma ci pensarà Franz a spiegare - e il suo comportamento sono, sotto questo aspetto, una grande disgrazia per il nord, dato che mostrano fino a che punto può arrivare l'ottusità, la xenofobia, l'inciviltà, sia pure sotto la pellicola di relativo benessere e di industriosità.
Una situazione che non è ancora ufficialmente federale, ma lo è virtualmente e politicamente.
Uno potrebbe, a questo punto, dire: va be', è roba brutta, ma almeno in questo modo sappiamo come stanno le cose.
Sarebbe un discorso giustissimo, se non fosse che questa "verità federale" non si unisse alla retorica della "democrazia diretta": non serve a niente sapere come stanno le cose, se queste cose sono comunque sanate politicamente dal fatto che provengono da una espressione della volontà dei cittadini, e dunque sono insindacabili come archetipi di democrazia.
Naturalmente non sto dicendo che il federalismo crei dei mali particolari, né voglio negare i vantaggi che presenta sul piano strettamente amministrativo.
Dico invece che sul piano politico il federalismo rischia di mostrare e di esaltare il peggio della cultura di una popolazione, di dare spazio e dignità politica ai sentimenti più viscerali, primordiali, egoistici e localistici (se non xenofobi), e in un certo senso di esaltare quel fenomeno per cui ognuno pensa di essere un piccolo caporale continuamente in cerca di un'occasione per esercitare il suo limitato potere.
Mi azzardo a dire, per esempio, che se negli USA esiste ancora la pena di morte ciò è dovuto all'assetto federale.
So che queste mie convinzioni sull'argomento vanno contro-corrente, ma non sono estemporanee, e ne capisco i rischi.
Il fatto è che, nel pensarla in questo modo, mi ricollego ad una visione non ottimistica del "popolo": non credo alla teoria del "buon selvaggio", per dirne una.
In breve, a me sembra chiaro che la comunità "tribale" - cioè nella sua condizione basilare, limitata ad uno spazio determinato e all'autoreferenza - ha una cultura tendenziale che per brevità possiamo chiamare "fascista": prevalenza del più forte, discriminazione del diverso e dell'estraneo, aggressività, etc.
Sentimenti e atteggiamenti primordiali, che si dissolvono o si diluiscono nella misura in cui la comunità viene riassorbita in un contesto più ampio, e deve fare i conti con una sorta di lunghezza d'onda lunga di pensiero e di dinamiche sociali.
Io credo che i grossi problemi dell'Italia, sul piano civile e politico, siano dovuti al fatto che nella nostra storia sia mancato uno stato centrale forte e autorevole, e che invece la nostra realtà sociale si sia articolata in una miriade di localismi.