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Merito e Bisogno

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

Re: Merito e Bisogno

Messaggioda flaviomob il 04/10/2010, 12:37

Quello che scrivi, Franz, è vero per le economie più evolute del sistema occidentale. Del resto le libertà individuali, i diritti della persona sono la caratteristica dell'Occidente, forse la più importante. E' però anche evidente che questo modello è in crisi e che le responsabilità della crisi stanno nell'eccessiva finanziarizzazione e nelle delocalizzazioni, entrambi processi peculiare della globalizzazione in corso. Ci illudiamo troppo che, finita la burrasca, passata la crisi, ritorneremo agli standard di vita a cui ci eravamo abituati, ma non è così scontato. Se gran parte della produzione si sposta verso l'Europa orientale, l'India, la Cina e altri paesi emergenti senza alcuna riflessione è chiaro che il nostro sistema non tornerà agli standard precedenti alla crisi. Soprattutto realtà come l'Italia che disponevano di un patrimonio di piccole e medie imprese conpletamente falcidiate dalle delocalizzazioni e dalla concorrenza di paesi che producono gli stessi beni per costi più che dimezzati. Le delocalizzazioni riportano la produzione proprio in paesi in cui il lavoratore è ancora alienato e non gode di adeguati diritti individuali (ne' sociali), ma deve sottomettersi a condizioni durissime 'per il pane'. Torna quindi a predominare un tipo di lavoratore debole, privato della dignità, alienato e relegato a far parte di una massa indistinta, impotente e spesso inconsapevole di poter generare un cambiamento della propria condizione attraverso il conflitto sociale (che peraltro viene impedito con la forza in paesi non certo 'liberali'!!!) e la democrazia.
Ultima modifica di flaviomob il 04/10/2010, 13:39, modificato 1 volta in totale.


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Re: Merito e Bisogno

Messaggioda franz il 04/10/2010, 13:10

flaviomob ha scritto:Quello che scrivi, Franz, è vero per le economie più evolute del sistema occidentale. Del resto le libertà individuali, i diritti della persona sono una caratteristica dell'Occidente, forse la più importante. E' però anche evidente che questo modello è in crisi e che le responsabilità della crisi stanno nell'eccessiva finanziarizzazione e nelle delocalizzazioni, entrambi processi peculiare della globalizzazione in corso. Ci illudiamo troppo che, finita la burrasca, passata la crisi, ritorneremo agli standard di vita a cui ci eravamo abituati ma non è così scontato. Se gran parte della produzione si sposta verso l'Europa orientale, l'India, la Cina e altri paesi emergenti senza alcuna riflessione è chiaro che il nostro sistema non tornerà agli standard precedenti alla crisi. Soprattutto in quei paesi come l'Italia che avevano un patrimonio di piccole e medie imprese conpletamente falcidiate dalle delocalizzazioni e dalla concorrenza di paesi che producono gli stessi beni per costi più che dimezzati. Le delocalizzazioni riportano la produzione proprio in paesi in cui il lavoratore è ancora alienato e non gode di adeguati diritti individuali, ma deve sottomettersi a condizioni durissime 'per il pane'. Torna quindi a predominare un tipo di lavoratore debole, privato della dignità, alienato e relegato a far parte di una massa indistinta, impotente e spesso inconsapevole di poter generare un cambiamento della propria condizione attraverso il conflitto sociale (che peraltro viene impedito con la forza in paesi non certo 'liberali'!!!) e la democrazia.

A mio avviso è sano che i modelli entrino in crisi, che si cerchino nuove soluzioni. In passato sono crollati imperi, assiri, babilonesi, egiziani, romani ... solo perché una volta entrari in crisi non hanno trovato le soluzioni. E sono stati quindi soppiantati da altri, in altri luoghi. Forse il termine crisi meriterebbe un thread a parte, iniziando dal doppio significato dell'ideogramma cinese che lo rappresenta. Comunque crisi a parte, la francia esporta il 30% del suo PIL, la germania esporta il 35% del suo PIL, la Svizzera il 42%. Segno che chi è sano e si impegna non teme delocalizzazioni e ha meno disoccupazione. Anche qui potremmo stabilire una sorta di giganteso e nazionale "merito" dove pero' sparisce (non siamo razzisti) ogni considerazione di talento geneticamente determinato e rmane solo, al netto, l'impegno, l'abilità, la capacità acquisita, la struttura del welfare e quella educativa.
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Re: Merito e Bisogno

Messaggioda pierodm il 04/10/2010, 18:19

A mio avviso è sano che i modelli entrino in crisi, che si cerchino nuove soluzioni. In passato sono crollati imperi, assiri, babilonesi, egiziani, romani ... solo perché una volta entrari in crisi non hanno trovato le soluzioni. E sono stati quindi soppiantati da altri, in altri luoghi.

Quello che dice Flavio è ragionevole e realistico.
La tesi di Franz è più astratta, nella misira in cui è allo stesso tempo apparentemente pragmatica - fatalismo pragmatico, lo definirei, nel senso che ricerca una via d'uscita nelle costanti storiche che sarebbero destinate a ripetersi.
Non è del tutto sbagliato, ma non è nemmeno in alternativa al discorso di Flavio: entrambi possono essere validi e coesistere.

Quanto alle crisi e alle soluzioni citate, il discorso è assai discutibile e troppo schematico - il gioco crisi-soluzione è eccessivamente deterministico e poco applicabile a quelle fasi della storia.
Tanto per dirne una, ancora oggi non c'è un'interpretazione univoca e concorde su quale sia stata la "crisi" effettiva dell'Impero romano, se di tipo militare, o economico, o culturale (cristianesimo), o etnico (invasioni barbariche), o se sia un caso esemplare di implosione legata alle sue dimensioni stesse.
Se spezziamo il corso degli eventi in sottoinsiemi di episodi e fenomeni - tante crisi limitate e percepibili - le soluzioni sono state di volta in volta trovate e messe in atto, o almeno così si è creduto: non è un caso che tutti i segni della Grande Crisi Finale - quale che sia l'interpretazione che scegliamo - erano già presenti fin dai primi decenni dell'Impero, ed è semmai cosa straordinaria che la grandezza di Roma sia riuscita a durare per ulteriori cinquecento anni - se prendiamo come data fatale il Sacco del VI secolo.
In realtà, però, è abbastanza convincente la tesi per cui l'Impero sia finito già con Costantino, o con Diocleziano, e con questi la storia europea sia entrata nel Medioevo.

Il rispetto per la complessità - e la cautela nel fornire facili e schematiche spiegazioni - di cui sopra ci serve per evitare discorsi superficiali su fenomeni che hanno una vastità storica, politica, antropologica che non li consente.
Per esempio -Segno che chi è sano e si impegna non teme delocalizzazioni e ha meno disoccupazione. Anche qui potremmo stabilire una sorta di giganteso e nazionale "merito" dove pero' sparisce (non siamo razzisti) ogni considerazione di talento geneticamente determinato e rmane solo, al netto, l'impegno, l'abilità, la capacità acquisita, la struttura del welfare e quella educativa.

Mi sembra assai arduo e poco appropriato affibbiare una dimensione per così dire "individuale" (cioé come se fosse un individuo, una persona) ad un soggetto quale una "nazione": uno studioso di psicoanalisi, una volta, mi propose di fare esattamnente questo, analizzando la psiche delle nazioni, ma era un esperimento provocatorio, un gioco paradossale.
Per esempio: che significa "chi è sano", e che significa "si impegna" riferiti ad una nazione? Ha senso, e se lo ha qual'è il reale significato di queste espressioni applicate ad un soggetto come una nazione?
D'altra parte, nel giudicare il "merito" tramite l'impegno, l'abilità, la capacità acquisita, la struttura del welfare e quella educativa si fotografa al massimo una situazione sostanzialmente attualizzata, per così dire istantanea (rispetto ai tempi lunghi della storia), ma non si tiene alcun conto di altri fattori pregressi che appunto appartengono a quei tempi lunghi e complessi.
Per capire quanto sia riduttivo, o meglio rischiosamente fuorviante, un criterio del genere, basta pensare a come sarebbe difficile adottarlo per spiegare (in chiave positiva e ottimistica) la Germania del Terzo Reich, o la stessa URSS stalinista e post-stalinista che ha conquistato lo spazio, per non parlare poi di come le malefatte e le tragedie del passato possano ricadere a vantaggio o a danno del presente, e falsarne il giudizio sul "merito" - ad esempio il colonialismo, il lavoro schiavistico, lo sfruttamento di altri popoli, etc., o viceversa la soggezione, la povertà del territorio, il fallout negativo di avvenimenti estranei alla propria storia.
Il criterio della pura e semplice "efficienza" è molto riduttivo, e vale per obiettivi molto ben delimitati e specifici.
Sul piano storico e sui tempi lunghi serve a poco, a meno che non sia talmente arricchito di altri e diversi elementi da diventare altra cosa.
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Re: Merito e Bisogno

Messaggioda flaviomob il 05/10/2010, 0:24

Franz
A mio avviso è sano che i modelli entrino in crisi, che si cerchino nuove soluzioni. In passato sono crollati imperi, assiri, babilonesi, egiziani, romani ...


Il capitalismo è entrato in crisi profonda per la seconda volta in meno di ottant'anni (1929-2008). La prima crisi ci ha regalato il consolidamento del fascismo in Italia e l'ascesa di Hitler in Germania... va bene, l'ideogramma cinese, però sarebbe meglio non ricaderci.
Una crisi può essere superata o preludere ad un crollo. E' ovvio che dipende dalle soluzioni che si trovano, dalle scelte che si fanno, ma visto che il mio intervento partiva dalla visione 'massificata' ed alienante del lavoro, non mi hai risposto nel merito. Se le democrazie occidentali si rivolgono a paesi che o non sono democratici o non garantiscono condizioni dignitose ai lavoratori (o entrambi), si indeboliscono attraverso due canali diversi: il primo è la legittimazione di sistemi di potere che hanno una natura diversa dalla visione democratica (sia formale che sostanziale), il secondo è che determinano un'emorragia di posti di lavoro e, in parte, di utili. Un altro elemento è costituito dall'esportazione di know how che renderà, nel medio periodo, superflua la presenza occidentale nelle fabbriche extraoccidentali, perché impareranno benissimo a produrre senza il nostro aiuto gli stessi beni, magari ad un costo ancora minore. L'abbassamento dei redditi (medi) in occidente indurrà le masse a cercare prodotti a basso costo e di minor qualità (eventualmente), ovvero proprio quei prodotti che ormai si producono in maggioranza fuori da UE USA e Giappone, rafforzando l'emorragia di cui sopra e rendendola sistematica. Se ciò succede, non torneremo ai livelli di reddito, occupazione e qualità della vita precedenti alla crisi, dovendo poi affrontare il problema dell'invecchiamento della popolazione e la progressiva insostenibilità del sistema pensionistico e di welfare (con più disoccupati in stato di bisogno).

Comunque crisi a parte, la francia esporta il 30% del suo PIL, la germania esporta il 35% del suo PIL, la Svizzera il 42%. Segno che chi è sano e si impegna non teme delocalizzazioni e ha meno disoccupazione.


Questo che cosa significa? Che parte di PIL esportano Cina, India, America Latina, Sudafrica et cetera? La disoccupazione è in crescita in tutta Europa. Chi esporta prodotti più costosi e di qualità più elevata risentirà maggiormente della crisi. Inoltre non dimentichiamoci che la Cina detiene buona parte del debito americano.


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Re: Merito e Bisogno

Messaggioda pierodm il 05/10/2010, 11:05

Flavio, visto che tu ti fai carico del discorso serio, io posso dedicarmi al cazzeggio serio.
Per esempio, quando dici che Il capitalismo è entrato in crisi profonda per la seconda volta in meno di ottant'anni (1929-2008). La prima crisi ci ha regalato il consolidamento del fascismo in Italia e l'ascesa di Hitler in Germania... , dimentichi che, secondo la vulgata che sta prendendo piede anche a centro-sinistra, quando le crisi e le tragedie riguardano i sistemi capitalisti la causa non è il sistema ma il destino e la fallibilità umana... o, in un empito dionisiaco di sociologia, al massimo si fa risalire alla presenza e ai comportamenti di quel 10 o 20% di "sinistra" disgraziatamente operante in detto sistema.
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Re: Merito e Bisogno

Messaggioda franz il 05/10/2010, 17:36

flaviomob ha scritto:F
Il capitalismo è entrato in crisi profonda per la seconda volta in meno di ottant'anni (1929-2008). La prima crisi ci ha regalato il consolidamento del fascismo in Italia e l'ascesa di Hitler in Germania... va bene, l'ideogramma cinese, però sarebbe meglio non ricaderci.

Esiste una tesi (a mio avviso una credenza) per cui le crisi sarebbero la manifesta dimostrazione della fallacia del capitalismo, del liberalismo, del mercato e dintorni. Diciamo che questa tesi registra le crisi (sperando che l'ultima sia quella finale, precognizzata dai teorici avversi al mercato capitalista) e prende atto che (sfiga maledetta) il capitalismo risorge come un pugile suonato quando ormai sembrava steso per sempre sul ring. Pazienza, sarà per la prossima volta.

Invece altre tesi affermano cose diverse. Le crisi sono un momento in cui industrie e commerci scoprono che l'allocazione delle risorse fin ora impiegate non sono piu ottimali (per varie cause che ora andro' parzialmente ad elencare) per cui si rende necessaria una riallocazione. Che vuol dire in soldoni, smettere di fare alcune cose (chiudendo attività) e cominciare a farne altre (aprendone altre).
Qui ci sta bene l'ideogramma cinese per crisi che è Pericolo e Opportunità", un segno infatti doppio.

Di crisi ne abbiamo avuta tante. Piccole, medie e grandi. Come è intuitvo, molte piccole, un po' meno medie, poche grandi. I motivi sono diversi ma non sono dovuti alla sfiga di montenzuma ma al sistema stesso, che si rinnova (un o' come il serpente che cambia pelle).

Senza alcuna pretesa di esser esaustivo, presento due cause note di crisi.
La prima è l'innovazione. Per esempio appare chiaro che solo 4 secoli fa l'agricoltura era l'attività principale (da millenni) e che oggi invece nelle nazioni avanzate la fetta di PIL e gli addetti all'agricoltura sono meno del 5%. Questo ha causato crisi notevoli, emigrazioni (ancora oggi) e cambi epocali. Altro caso è quello accaduto alla fine del 1800 ed ai primi del 1900 con la fine dei trasporti a cavallo e l'inizio dell'era delle autovetture. Chiaramente milioni di persone che prima orbitavano e guadagnavano attorno alla filiera del cavallo (fabbri, sellai, stalle, locande) si sono dovuti convertire all'automobile. Fatto ulteriore, le rivoluzioni tecnologi vhe sono sempre piu' rapide e galoppanti. Vedere ad esempio la new-economy. Ogni innovazione infatti crea nuove opportunità e mette in crisi le attività precedenti.

Questo introduce al secondo caso: lo scoppio delle bolle. Da molto tempo (vedere http://it.wikipedia.org/wiki/Bolla_dei_tulipani ) accade che a fronte di aspettative notevoli di guadagno in un nuovo settore, molti si buttino a pesce, cercando di fare in fretta per essere i primi. Poi se troppi si buttano, prima o poi qualcun si fa male e la bolla scoppia. E tutti si danno da fare per ritirarsi precipitosamente da un business (anche qui bisogna fare in fretta, per non perdere tutto) e questo accellera o scoppio.

Riassumendo i due casi, si tratta proprio di riallocazione di risorse, da cui si esce appena si è capito dove riallocare, dove sta il prossimo affare. Un'occhiata alla scheda di wiki sulla crisi del 29 ci dice una cosa: non è stata la crisi del liberalismo ma del sistema di dazi (quindi il contrario):

Ma la causa principale della crisi economica sta nella chiusura delle economie nazionali e coloniali. Così come nella Grande depressione del 1873-95, le colpe principali vanno addebitate ai dazi doganali. Alcuni stati producevano beni in surplus che però importatori di altri stati non potevano acquistare a causa dei dazi che venivano imposti dai produttori interni per non vedere diminuito il valore dei propri prodotti. Quindi quando in un paese produttore un dato bene raggiunge livelli di saturazione il suo prezzo scende sotto un livello che non è più conveniente per il produttore produrre e trasportare, se non trovando nuovi mercati dove continuare a vendere a prezzi appetibili. In assenza di tali nuovi mercati la produzione pur mantenendo un potenziale valore, si ferma. Per fare un esempio riguardo la crisi degli anni 1873-95 il grano è il bene ideale: negli Stati Uniti vi era una sovrapproduzione di grano dovuta all'ampiezza degli spazi coltivati estensivamente e alla bassa densità di popolazione. I progressi nei trasporti consentivano sempre più i trasporti a lunghe distanze cosicché gli USA divennero esportatori di grano in Europa. L'Europa di bocche da sfamare ne aveva e quindi acquistava il grano americano a prezzo più basso rispetto alla produzione locale. Questo danneggiava i proprietari terrieri europei, i quali imposero ai governi i dazi per bloccare le importazioni dall'America


La tesi della scuola austriaca per esempio sostiene che:

La Scuola austriaca ha elaborato una teoria in merito alle cause della Grande Depressione che si discosta nettamente dalla visione comune, e che sta prendendo sempre più piede nel mondo economico.

L'economista appartenente a tale scuola che più di tutti ha trattato questo argomento è stato Murray N. Rothbard, che, nella pubblicazione La Grande Depressione datata 1963, ha esposto la sua teoria.

Secondo l'economista statunitense, la crisi del '29 fu causata non dall'eccessivo libero mercato come da molti economisti sostenuto, bensì dall'eccessivo interventismo statale nell'economia a partire dagli anni Dieci con il presidente Woodrow Wilson.

La causa principale secondo Rothbard sarebbe stata la politica monetaria tenuta dalla Federal Reserve a partire dalla sua creazione, proprio nel 1913. La continua espansione del credito ottenuta attraverso tassi tenuti artificialmente bassi e il successivo inevitabile rialzo dei tassi avrebbe causato una reazione a catena che ha portato poi al famoso giovedì nero.

In sintesi possiamo dire che secondo la Scuola austriaca le cause della crisi del '29 furono la politica inflazionistica (permessa anche dall'abbandono del sistema aureo classico) della Federal Reserve iniziata negli anni Dieci (ossia all'inizio della Prima guerra mondiale) combinata con un eccessivo peso dello Stato culminato poi nel New Deal roosveltiano, che secondo gli austriaci non fu altro che la continuazione dell'interventismo del suo predecessore, Herbert Hoover.[1]


Come vedi ci sono varie ipotesi da discutere, sulle crisi, sul loro signficato, sulla loro utilità.
Un mondo staticop non conoscerebbe mai crisi. Un mondo dinamico ed in crescita invece conosc ealti e bassi ma l'importante è che la retta che possiamo interpolare nel mondo sia in crescita. Se poi cresce piu' in India o uin Brasile che da noi, significa che non sappiamo coglier ele opportunità.
Il che va a nostro demerito.

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Re: Merito e Bisogno

Messaggioda flaviomob il 06/10/2010, 11:30

Sì ma ancora una volta non mi hai risposto nel merito :)


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Re: Merito e Bisogno

Messaggioda franz il 06/10/2010, 13:15

flaviomob ha scritto:Sì ma ancora una volta non mi hai risposto nel merito :)

A me sembra di si' ma evidentemente non ho capito il merito che ti aspettavi.
Oppure non sei d'accordo con la risposta, non ti piace e volevi un merito diverso.
Nel primo caso se chiarisci posso farlo anche io, nel secondo non credo proprio.

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Re: Merito e Bisogno

Messaggioda pierodm il 06/10/2010, 16:47

Franz, grazie intanto per aver dato subitanea e autorevole conferma di quello che avevo detto nel mio cazzeggio molto serio: il tuo ultimo post, in risposta a Flavio, corrisponde punto per punto alla mia tesi - tesi per altro piuttosto facile da proporre, dato che si basa su numerose e ripeture evidenze.
Nemmeno la crisi del '29 è dovuta al liberismo, e tanto meno è lecito definirla un aspetto negativo del capitalismo.
Invece del destino cinico e baro, in questa occasione tiriamo in ballo lo statalismo, l'inflazione, le politiche sbagliate delle banche centrali.
Adesso, cerchiamo di ragionare seriamente.
Secondo la tua tesi è lecito definire capitalismo e liberismo solo quello che va bene, quando va bene e se tutto fila liscio.
In un sistema come quello, per esempio, americano sembra invece ovvio ed evidente che lo stato, il commercio, i rapporti sociali, i rapporti internazionali, le bolle, la banca centrale, le istituzioni finanziarie, e insomma tutto il cucuzzaro SONO il capitalismo e il liberismo: tagliare a fettine il sistema, per appiccicare le etichette OK a quello che ci fa comodo, e quelle KO a quello che non ci piace è una stravaganza intellettuale, o meglio sarebbe definirla una truffa intellettuale.
Una truffa che ha come conseguenza, tra l'altro, di rendere inaffidabile e capzioso tutto il resto del discorso che eventualmente ci si costruisce sopra.

Esiste una tesi (a mio avviso una credenza) per cui le crisi sarebbero la manifesta dimostrazione della fallacia del capitalismo, del liberalismo, del mercato e dintorni

Io non ho notizia di tesi che parlano di "fallacia".
Per altro non credo nemmeno che si debba fare il viaggio di Marco Polo per apprendere il significato del concetto di "crisi": basta l'etimolgia semplice semplice della parola, che per l'appunto (dal greco) non avrebbe un senso di per sé negativo.
Negativo il senso lo diventa - o meglio, viene percepito - dai contemporanei che vivono il momento, e che hanno l'antipatica tendenza a non apprezzare l'onda lunga degli eventi e si limitano a registrarne gli effetti negativi hic et nunc.
Quindo sarebbe meglio lasciare da parte questa ennesima lamentazione vittimistica sul povero capitalismo vilipeso.
Più semplicemente - e realisticamente, e diciamo pure legittimamente - del capitalismo-liberismo si mettono in evidenza i rivolgimenti, le implosioni, le devianze, e tutto ciò che è legato al suo dinamismo e alle scelte dei suoi soggetti operanti: il tutto riassunto nel termine "crisi".
Si studiano, si mettono in evidenza ed eventualmente si rifiutano le modalità in cui queste crisi si riversano sulla società e sulla vita delle persone: visto che in questo sistema ci viviamo dentro e ci determina la vita, non mi sembra un atteggiamento inappropriato. Credo anzi che sia uno dei modi migliori di esercitare le nostre intelligenze, e il nostro eventuale "pragmatismo".

Un mondo staticop non conoscerebbe mai crisi. Un mondo dinamico ed in crescita invece conosc ealti e bassi ma l'importante è che la retta che possiamo interpolare nel mondo sia in crescita.

Avere una visione così vasta e un orizzonte tanto largo e lungimirante è una bella cosa.
Ma attenzione.
Io istintivamente mi metto la mano sul portafoglio, quando sento parlare delle magnifiche sorti e progressive, specialmente laddove la magnificenza viene proiettata in un futuro imprecisato.
Intendo dire - per rimanere sul semplice - che certi discorsi somigliano pericolosamente a quelli della "ragion di stato" di tutti i regimi totalitari, i quali giustificavano ogni nefandezza vissuta al presente con un "bene superiore" o "di là da venire" difficile da spiegare al popolo inconsapevole.

E poi, per l'ennesima volta mi trovo di fronte - anzi stavolta in misura più modesta - ad una visione un poco febbricitante, in cui i progressi economici degli ultimi duecento anni sono attribuiti totalmente al capitalismo-liberismo, così come i benefici della democrazia, della scienza, della tecnica.
Dimenticando tutto ciò che è intervenuto - spesso in modo determinante - ad arginare, sanare, limitare gli effetti delle "crisi" sulla società, e a rendere l'intero sistema assai più complesso di quanto questa "vulgata" trionfalistica, propagandistica e fideistica tende a rappresentare.
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Re: Merito e Bisogno

Messaggioda flaviomob il 07/10/2010, 0:35

Allora, ripeto in breve le mie domande.
1 - Ha senso che gli occidentali, bravi belli buoni democratici e tolleranti vadano a produrre in paesi cattivi brutti sporchi ma soprattutto privi di democrazia, che applicano la censura e che critichiamo ogni 3x2... poi portiamo da loro tecnologia, produzione, capitali (e magari una buona fetta del debito pubblico USA) rendendo de facto la Cina prima potenza 'potenziale' mondiale?
2 - Se la logica liberista è che va bene produrre dove la manodopera costa meno, potenzialmente potremmo chiudere tutte le fabbriche italiane e importare tutto da Cina Sudafrica etc. E' un concetto limite, ma ci stiamo spostando verso questo limite. Finchè il nostro know how gli servirà, riusciremo a metterci sopra il marchio Fiat o Armani di spettanza, poi quando il know how se lo porteranno in casa, manco quello... Già da noi la ricerca è in crisi e le piccole medie imprese, peculiarità del sistema italiano, altrettanto in crisi...

1+2=... Crediamo veramente di mantenere i nostri 'diritti' facendo politiche del genere?


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