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L'Italia non è meritocratica

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda pierodm il 24/09/2010, 21:23

"e con quale altro metodo si dovrebbero premiare le capacità dei singoli?", la mia risposta è semplice: NON SI DOVREBBERO PREMIARE.

Il premio - e tutta la serie di idee connesse al premio - non riguarda il merito in sé ma è appunto l'assunto fondante della meritocrazia.
Può anche essitere un punto di vista per cui, senza nulla togliere al valore del merito in se stesso, si pensa che questo debba sussistere per senso del dovere o per soddisfazione individuale, non in vista di un premio elargito da altri: una posizione idealistica ma non per questo assurda in via di principio.
Per l'ennesima volta, ti chiedo, o Franz, se sia mai possibile che tu facia la grazia di capire il senso di un discorso, senza andare a caccia delle parolette e delle frasette per impiantarci sopra una polemica pedissequa e puntigliosa.
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda franz il 24/09/2010, 21:31

pierodm ha scritto:"e con quale altro metodo si dovrebbero premiare le capacità dei singoli?", la mia risposta è semplice: NON SI DOVREBBERO PREMIARE.

Il premio - e tutta la serie di idee connesse al premio - non riguarda il merito in sé ma è appunto l'assunto fondante della meritocrazia.
Può anche essitere un punto di vista per cui, senza nulla togliere al valore del merito in se stesso, si pensa che questo debba sussistere per senso del dovere o per soddisfazione individuale, non in vista di un premio elargito da altri: una posizione idealistica ma non per questo assurda in via di principio.
Per l'ennesima volta, ti chiedo, o Franz, se sia mai possibile che tu facia la grazia di capire il senso di un discorso, senza andare a caccia delle parolette e delle frasette per impiantarci sopra una polemica pedissequa e puntigliosa.

So che mi stimi come imbecille, incapace pure di farti la grazia di capire il senso di un discorso, tuttavia secondo me il premio al merito è la base della società umana. Il riconoscimento ufficiale, sociale è cosa diversa dall'autostima.
Vallo a dire quel ragazzo che si è suicidato volando dall'ultimo piano della facoltà di Filosofia di Palermo. Lui sapeva cosa valeva. In quel senso lui si sentiva a posto. Altrimenti non avrebbe percepito la differenza con la realtà. La realtà che gli avrebbe dato un lavoro all'altezza delle sue capacità. Il premio era il lavoro, pierodm, e chi si bagna la bocca della parola ogni tre minuti su quattro questo dovrebbe capirlo. Fammi tu la grazia.

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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda pierodm il 25/09/2010, 1:43

Vallo a dire quel ragazzo che si è suicidato volando dall'ultimo piano della facoltà di Filosofia di Palermo. Lui sapeva cosa valeva. In quel senso lui si sentiva a posto. Altrimenti non avrebbe percepito la differenza con la realtà. La realtà che gli avrebbe dato un lavoro all'altezza delle sue capacità.

Il premio. I soldi. La promozione. Il riconoscimento.
La soddisafazione. La coscienza di aver fatto bene qualcosa. La sfida con se stessi.
Sono due categorie diverse, due filoni di pensiero e di valore diversi, e nemmeno alternativi tra loro: possono coesistere - spesso coesistono - nella medesima persona.
Tu prendi in considerazione esclusivamente il "merito premiato da terzi", in particolare nell'ambito strettamente economico-funzionale.
E nei tuoi discorsi non risulta importante il merito, ma l'utile che questo comporta per la struttura produttiva nella quale esso viene manifestato: lecito che tu lo faccia, ma sarebbe meglio chiamare le cose con il loro nome, senza salti di senso dall'uno all'altro punto di vista.

Nel caso da te citato, una società (un sistema) è malata non solo perché fa prevalere logiche clientealri sul merito personale, ma anche quando una persona viene spinta alla disperazione per mancanza di lavoro e non riesce a bilanciare questa delusione con la coscienza del proprio valore, indipendentemente dal riconoscimento da parte dei meccanismi selettivi e produttivi.
Una disperazione che, anch'essa, fa parte della filosofia e della pratica (o della speranza) del "premio": l'altra faccia della medaglia.
Precisiamo: questo meccanismo s'instaura in modo perverso, e drammatico (anche senza arivare all'estrema conseguenza), non laddove la logica del "premio economico" in senso lato è una pratica implementata in forma "naturale" e non ossessiva, ma quando diventa un valore assoluto che spazza via qualunque altro criterio di valutazione personale, qualunque coscienza di sé e del proprio posto nella società - come ho già tentato di dire alcuni post fa.

Ciò detto, quando tu insiti ed insisti ed insisti a martellare sul concetto che "merito è buono", come se ti trovassi di fronte a una platea che invece lo disprezza, non si ha esattamente l'impressione che tu tenga nella minima considerazione i ragionamenti e le idee che altri hanno esposto, e allo stesso tempo si constata che ti limiti cogliere alcune parole o alcune frasi avulse dal contesto e su quelle polemizzare.

Tra l'altro, visto che stiamo qui per ragionare, potremmo chiedrci come considerare il caso di chi sia bravo-bravissimo a fare una cosa che non ha mercato, o ne ha pochissimo: che ruolo assegnargli, che posto ha nel quadro dei meriti?
Non è un caso raro, anzi diciamo pure che la storia, la cronaca, la vita è piena di casi del genere.

Quelo che trovo asfisiante, in molte delle tue tesi, è il loro estremismo, che finisce per rendere un'idea del mondo assai ristretta - non sbagliata, ma ristretta, come se il tuo punto di vista, o meglio la persona e la vita stessa fossero interamente e totalmente esauriti in quella tua visione e in quella tua tesi.
Trovo tutto ciò soffocante, asfittico, perché non riesco prticamente mai a vedere il mondo, le persone, la società umana ridotti ad unum, quale che sia questo unum. Come ho detto altre volte, io vedo nelle cose umane l'asimmetria e la coesistenza delle contraddizioni, e diffido di ogni semplificazione.

E poi, tornando al ragazzo dell'esempio, nell'episodio io trovo che abbia un posto preminente la disperazione, più che una quastione di meriti e demeriti lucidamente soppesati.
Allora, inevitabilmente, anche evadendo dal tema strettamente inteso, mi viene da pensare a tutti i casi e i meccanismi ch generano disperazione, e al problema della disperazione in sé, e anche al disinteresse verso questa disperazione da parte sia del mondo politico sia del mondo economico, e all'intonazione "caritativa" che i drammi personali assumono nella retorica che maschera tale disinteresse.

Io so - se non altro perché l'hai detto e ripetuto diverse volte - che la tua tesi, molto pragmatica, è che occuparsi dell'efficienza economica del sistema significa mettersi in grado di provvedere più facilmente ai bisogni e ai drammi personali: una tesi che, in linea teorica, è condivisibile, fatte salve le diverse vocazioni di ciascuno di noi a vedere un aspetto o l'altro dei problemi.
Ma in pratica troppe volte a me sembra che le tue tesi (che non sono solo tue, beninteso) si fermino al primo gradino, ossia al perseguimento dell'efficienza in sé, o alle sue proiezioni aziendalistiche, dimenticandone o minimizzandone le ricadute sul piano personale, umano, che dovrebbe essere il principio e il fine ultimo delle attività economiche, e anche politiche.

Bene: mi hai fatto scrivere un manifesto.
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda flaviomob il 25/09/2010, 1:50

L'esempio dei test d'ingresso all'università riguardava non certo la ricerca del merito, ma piuttosto il prodotto di una ideologia deviata centrata sulla "retorica" della meritocrazia piuttosto che sul concetto originale (rimango comunque contrario ai test d'ingresso: una buona università può valutare se un'iscritto è adatto durante il primo anno di corso o il primo biennio).
Quanto scrive Piero è vero, si rischia la retorica ed il concetto di merito può diventare un alibi - appunto - per premiare chi porta più soldoni all'azienda. Nel settore no profit la "produttività" è certamente misurabile, con altri parametri che riguardino la qualità del servizio offerto, l'attinenza ai bisogni socioeducativi, la fruibilità, il mutamento sociale che produce, la prevenzione del disagio etc etc. Così come nel settore no profit esistono anche soggetti che invece danno la priorità a garantire la propria sopravvivenza, i posti di lavoro e la "torta" da spartire. Ciò che spiega l'eccellenza nel terzo settore - a mio modesto parere - è la motivazione di chi ci opera e ci investe il proprio tempo e la propria esistenza, accompagnata da professionalità e da una visione di obiettivi condivisi, rivolti alla dignità della persona umana.
Il concetto esemplificativo di merito=talento+impegno, su cui equivocava Franz, evidentemente a parità di impegno (ipotizzando cioè che due soggetti si impegnino allo stesso modo) vede premiato il talento, che è una specie di "dotazione" genetica.
Il tema della meritocrazia nella PA secondo me è affine e in stretta relazione a ciò che avviene nei partiti politici. Se in essi prevale una logica tesa a strutturarsi scegliendo elementi che ampliano la qualità della politica espressa, ne seguirà una legislazione che anche all'interno della PA rifletterà questa visione; se al contrario - come avviene in Italia - i partiti o gran parte di essi costituiscono una commistione di interessi e di potentati autoreferenziali, la PA non potrà che riflettere questo dettato.
Per chiudere: penso che il dramma di un giovane che si toglie la vita quando sta per affacciarsi ad essa, alla sua fase più piena e densa, al momento dell'autorealizzazione, meriti una riflessione più complessa di quanto si è fatto finora, fermo restando che il ruolo delle storterie del sistema italiano è innegabile in questo vissuto di disperazione profonda.


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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda franz il 25/09/2010, 9:57

pierodm ha scritto:Il premio. I soldi. La promozione. Il riconoscimento.
La soddisafazione. La coscienza di aver fatto bene qualcosa. La sfida con se stessi.
Sono due categorie diverse, due filoni di pensiero e di valore diversi, e nemmeno alternativi tra loro: possono coesistere - spesso coesistono - nella medesima persona.
Tu prendi in considerazione esclusivamente il "merito premiato da terzi", in particolare nell'ambito strettamente economico-funzionale.
E nei tuoi discorsi non risulta importante il merito, ma l'utile che questo comporta per la struttura produttiva nella quale esso viene manifestato: lecito che tu lo faccia, ma sarebbe meglio chiamare le cose con il loro nome, senza salti di senso dall'uno all'altro punto di vista.

La discussione serve proprio a questo. Se ci si impegna (anche con un po' di competizione) si producono i manifesti.
Lieto di averti stimolato in tal senso.
È vero il riassunto fatto qui sopra. Partiamo dal fatto che nessuno nega il merito ma si contesta un'organizzazione che premia il merito. perché lo fa? Lo fa perché capisce che questo porta soldi (fatturato, utili) e prodotti/servizi di maggiore qualità. Quindi soldi ma non solo soldi. In azienda questo è la regola, piaccia o non piaccia.

Si, io prendo in considerazione solo il merito premiato da terzi. E allora?
Sostengo, ricapitolando che visto che ogni organizzazione (privata e anche pubblica) ha organigrammi e una "crazia", bisogna scegliere il metro di misura per premiare qualcuno, per promuovere, per dare una retribuzione basata su alcune qualità. Mi pare che per ora non ci sia nulla di meglio del merito (quando ci sarà tanto meglio) ma che ci sia moltissimo peggio (raccomandazioni, nepotismi e tutto quello di cui abbiamo già parlato).

Tra l'altro, visto che stiamo qui per ragionare, potremmo chiedrci come considerare il caso di chi sia bravo-bravissimo a fare una cosa che non ha mercato, o ne ha pochissimo: che ruolo assegnargli, che posto ha nel quadro dei meriti?
Non è un caso raro, anzi diciamo pure che la storia, la cronaca, la vita è piena di casi del genere.

Francamente non lo so, Uno che sa fare bene una cosa inutile per la società (e quindi non ha mercato) è destinato a vivere del sostegno degli altri. Possibile che non possa imparare a fare in modo ordinario, qualche cosa di utile? Questo è cio' che uno, entrando nella maturità, impara da solo. Cosa faro' da grande. Non sono decisioni facili. Tuttavia il caso non mi pare per nulla frequente come sostieni (fammi qualche esempio cosi' posso ragionarci). La società è complessa e non tutti siamo uguali. Quello che è inutile per te e per me, potrebbe essere molto utile e bello per un miliardario. Basta entrare nelle loro case per vedere una quantità enorme di oggetti sulla cui utilià stenderei un velo pietoso. Quindi se il mercato funziona (ogni compratore conosce chi produce cosa) puo' darsi che ci sia spazio anche per i casi che descrivi. Se è veramente bravo, anche la cosa che non ha mercato, in migliaia di copie, potrebbe avere un grande valore in copia singola per un ricco magnate. Poi come spesso accade a distanza di secoli si valuta diversamente il merito di qualcuno (se è entrato nella storia) e come sappiamo molti artisti la cui produzione oggi ha un valore inestimabile sono morti nella miseria. Questo già secoli fa. Non è un problema legato all'attuale meritocrazia.

Io so - se non altro perché l'hai detto e ripetuto diverse volte - che la tua tesi, molto pragmatica, è che occuparsi dell'efficienza economica del sistema significa mettersi in grado di provvedere più facilmente ai bisogni e ai drammi personali: una tesi che, in linea teorica, è condivisibile, fatte salve le diverse vocazioni di ciascuno di noi a vedere un aspetto o l'altro dei problemi.
Ma in pratica troppe volte a me sembra che le tue tesi (che non sono solo tue, beninteso) si fermino al primo gradino, ossia al perseguimento dell'efficienza in sé, o alle sue proiezioni aziendalistiche, dimenticandone o minimizzandone le ricadute sul piano personale, umano, che dovrebbe essere il principio e il fine ultimo delle attività economiche, e anche politiche.

Se ribadisco il primo gradino è perché a me pare che quel primo gradino sia fortemente contestato.
Se non lo è, se il primo gradino è ben solido, allora possiamo passare al secondo senza cadere.

Sulle ricadute sul piano personale umano ... il concetto è cosi' vago che non posso trattarlo.
Di fatto le attività economiche non hanno un principio e un fine ultimo.
Sono gli individui ad averli e non sono tutti sincronizzati, omogenei.
Gli individui, sul piano economico, massimizzano la qualità del lavoro che fanno e cercano di essere piu' economici nei loro prezzi, per battere la concorenza nel rapporto qualità prezzo. Questo tipo di obbiettivo non presenta, mi pare gravi ricadute personali ed umane. Di sicuro pero' la competizione vede per forza qualcuno vincere e qualcuno rimaere indietro, costretto a rimboccarsi le maniche . Questo genere di ricadute sul piano individuale di solito è, con la nascita dello stato moderno, gestito dal piano politico, grazie alle risorse economiche che il livello produttivo riesce a mettere a disposizione. I due livelli (economia e politica) quindi non hanno e non possono avere lo stesso principio o fine ultimo.
Un organismo è fatto di parti, di componenti, ognuno con un suo scopo, obbiettivo, fine e principio di funzionamento.
L'economia fa una cosa, la cultura un'altra, la politica un'altra ancora. L'insieme lo chiamiamo "società" ed è la risultante di tutto, senza un suo principio e il fine ultimo (a meno di non idealizzare la società in senso religioso, perché si presuppone l'esistenza di un Dio che infonda ovunque un comune principio ispiratore).

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La parabola dei talenti

Messaggioda franz il 25/09/2010, 10:11

Se mi permettete una piccola provocazione, vorrei introdurre una parabola dal Vangelo.
Si dice che Gesu' sia stato il primo cimunista della storia, altri dicono che sia stato il primo liberale.
La parabola che segue sembra andare nella seconda direzione.
Gesu' premia alcuni meriti e punisce in modo molto aspro (e disumano) altre mancanze di meriti.
Mi chiedo il nostro amico bidellissimo, che si dichiara religioso e cattolico (cosa che apprezzo e rispetto) dica di questa parabola in relazione dal discorso di premiare il merito e di punire chi non mette a frutto i propri "talenti".
Chiaramente anche altri possono dire la loro: non è una discussione solo con bidellissimo.
Franz
Matteo, 25,14 ha scritto: Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.

A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì.

Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.

Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.

Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.

Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda Iafran il 25/09/2010, 10:23

franz ha scritto:Se mi permettete una piccola provocazione, vorrei introdurre una parabola dal Vangelo.
Si dice che Gesu' sia stato il primo cimunista della storia, altri dicono che sia stato il primo liberale.

Non tutti ritengono il Vangelo ... "Vangelo".
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda pierodm il 25/09/2010, 10:58

Lo fa perché capisce che questo porta soldi (fatturato, utili) e prodotti/servizi di maggiore qualità. Quindi soldi ma non solo soldi. In azienda questo è la regola, piaccia o non piaccia.

Certo l'azienda.
Chi dubitava mai che tu avessi in mente l'azienda, solo l'azienda?
Non ci schiodiamo da qui.
Io avrei da confutare anche questo assioma riferito all'azienda, ma sono disposto a concederti - per esaurimento - che sia vero e sacrosanto quello che sostieni sul punto. vada per l'azienda, per ciò che compete all'azienda.
Ma il resto? - il resto del mondo, della vita, dell'essere umano, della società?
Mi pare che su questo tutto ciò che hai da dire sia: francamente non lo so, Uno che sa fare bene una cosa inutile per la società (e quindi non ha mercato) è destinato a vivere del sostegno degli altri. Possibile che non possa imparare a fare in modo ordinario, qualche cosa di utile?.
Mi sembra poco, o meglio mi sembra meno di niente, e mi sembra davvero strano che tu sia capace di diffonderti con tanta abbondanza su dolori e virtù "dell'azienda", e di partorire tanto poco sul resto del mondo - tanto peggio poi se ciò fosse dovuto al fatto che il "resto del mondo" tu non lo consideri affatto, o lo consideri del tutto subordinato "all'azienda".
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda franz il 25/09/2010, 13:56

pierodm ha scritto:Ma il resto? - il resto del mondo, della vita, dell'essere umano, della società?

Il resto sono cose private, che riguardano la vita in famiglia, il mio essere individuale ed il tuo.
Non rigardano la polis. La politica non è (e non deve essere) invadente e fare come quei preti che venivano a controllere se si mangiava pesce il venerdi'. Il resto del mondo soddisfa i suoi bisogni PRIVATAMENTE grazie all'attività degli altri: medici, pompierI, famacisti, falegnami, informatici, scrittori di libri e compositori di musica, giornalisti .... le professioni sono migliaia. La polis non entra (non dovrebbe entrare) nel merito di tutto questo, se le attivià sono lecite.
La polis si occupa dell'educazione iniziale e di stabilire alcune regole, di proteggere i cittadini, di costruire strutture comuni.
Nel farlo (nella sua attività come polis) anche qui va premiato il merito, non certo il demerito o altre cose.

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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda franz il 25/09/2010, 14:09

Iafran ha scritto:Non tutti ritengono il Vangelo ... "Vangelo".

Già, ma le parabole, per definizione, ci raccontano una storia ed una morale.
"La parabola è un racconto breve il cui scopo è spiegare un concetto difficile con uno più semplice o dare un insegnamento morale". Che sia "Vangelo" oppure no, quella parabole fanno ormai parte della nostra cultura.
Alcune piu' di altre. Quella del seminatore per esempio mi sembra tra le meno note, eppure anche qui il concetto è che lo stesso seme dà frutti diversi a seconda del terreno in cui viene seminato e che stesse parole ottengono risultati (frutti) diversi a seconda dell'animo di chi le ascolta.

Da notare che mondo latino
# Il talento è l'inclinazione naturale di una persona a far bene una certa attività.
# Talento è un'antica unità di misura
# Parabola dei Talenti è una parabola di Gesù

Franz
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