pierodm ha scritto:Il premio. I soldi. La promozione. Il riconoscimento.
La soddisafazione. La coscienza di aver fatto bene qualcosa. La sfida con se stessi.
Sono due categorie diverse, due filoni di pensiero e di valore diversi, e nemmeno alternativi tra loro: possono coesistere - spesso coesistono - nella medesima persona.
Tu prendi in considerazione esclusivamente il "merito premiato da terzi", in particolare nell'ambito strettamente economico-funzionale.
E nei tuoi discorsi non risulta importante il merito, ma l'utile che questo comporta per la struttura produttiva nella quale esso viene manifestato: lecito che tu lo faccia, ma sarebbe meglio chiamare le cose con il loro nome, senza salti di senso dall'uno all'altro punto di vista.
La discussione serve proprio a questo. Se ci si impegna (anche con un po' di competizione) si producono i manifesti.
Lieto di averti stimolato in tal senso.
È vero il riassunto fatto qui sopra. Partiamo dal fatto che nessuno nega il merito ma si contesta un'organizzazione che premia il merito. perché lo fa? Lo fa perché capisce che questo porta soldi (fatturato, utili) e prodotti/servizi di maggiore qualità. Quindi soldi ma non solo soldi. In azienda questo è la regola, piaccia o non piaccia.
Si, io prendo in considerazione solo il merito premiato da terzi. E allora?
Sostengo, ricapitolando che visto che ogni organizzazione (privata e anche pubblica) ha organigrammi e una "crazia", bisogna scegliere il
metro di misura per premiare qualcuno, per promuovere, per dare una retribuzione basata su alcune qualità. Mi pare che per ora non ci sia nulla di meglio del merito (quando ci sarà tanto meglio) ma che ci sia moltissimo peggio (raccomandazioni, nepotismi e tutto quello di cui abbiamo già parlato).
Tra l'altro, visto che stiamo qui per ragionare, potremmo chiedrci come considerare il caso di chi sia bravo-bravissimo a fare una cosa che non ha mercato, o ne ha pochissimo: che ruolo assegnargli, che posto ha nel quadro dei meriti?
Non è un caso raro, anzi diciamo pure che la storia, la cronaca, la vita è piena di casi del genere.
Francamente non lo so, Uno che sa fare bene una cosa inutile per la società (e quindi non ha mercato) è destinato a vivere del sostegno degli altri. Possibile che non possa imparare a fare in modo ordinario, qualche cosa di utile? Questo è cio' che uno, entrando nella maturità, impara da solo. Cosa faro' da grande. Non sono decisioni facili. Tuttavia il caso non mi pare per nulla frequente come sostieni (fammi qualche esempio cosi' posso ragionarci). La società è complessa e non tutti siamo uguali. Quello che è inutile per te e per me, potrebbe essere molto utile e bello per un miliardario. Basta entrare nelle loro case per vedere una quantità enorme di oggetti sulla cui utilià stenderei un velo pietoso. Quindi se il mercato funziona (ogni compratore conosce chi produce cosa) puo' darsi che ci sia spazio anche per i casi che descrivi. Se è veramente bravo, anche la cosa che non ha mercato, in migliaia di copie, potrebbe avere un grande valore in copia singola per un ricco magnate. Poi come spesso accade a distanza di secoli si valuta diversamente il merito di qualcuno (se è entrato nella storia) e come sappiamo molti artisti la cui produzione oggi ha un valore inestimabile sono morti nella miseria. Questo già secoli fa. Non è un problema legato all'attuale meritocrazia.
Io so - se non altro perché l'hai detto e ripetuto diverse volte - che la tua tesi, molto pragmatica, è che occuparsi dell'efficienza economica del sistema significa mettersi in grado di provvedere più facilmente ai bisogni e ai drammi personali: una tesi che, in linea teorica, è condivisibile, fatte salve le diverse vocazioni di ciascuno di noi a vedere un aspetto o l'altro dei problemi.
Ma in pratica troppe volte a me sembra che le tue tesi (che non sono solo tue, beninteso) si fermino al primo gradino, ossia al perseguimento dell'efficienza in sé, o alle sue proiezioni aziendalistiche, dimenticandone o minimizzandone le ricadute sul piano personale, umano, che dovrebbe essere il principio e il fine ultimo delle attività economiche, e anche politiche.
Se ribadisco il primo gradino è perché a me pare che quel primo gradino sia fortemente contestato.
Se non lo è, se il primo gradino è ben solido, allora possiamo passare al secondo senza cadere.
Sulle ricadute sul piano personale umano ... il concetto è cosi' vago che non posso trattarlo.
Di fatto le attività economiche non hanno un principio e un fine ultimo.
Sono gli individui ad averli e non sono tutti sincronizzati, omogenei.
Gli individui, sul piano economico, massimizzano la qualità del lavoro che fanno e cercano di essere piu' economici nei loro prezzi, per battere la concorenza nel rapporto qualità prezzo. Questo tipo di obbiettivo non presenta, mi pare gravi ricadute personali ed umane. Di sicuro pero' la competizione vede per forza qualcuno vincere e qualcuno rimaere indietro, costretto a rimboccarsi le maniche . Questo genere di ricadute sul piano individuale di solito è, con la nascita dello stato moderno, gestito dal piano politico, grazie alle risorse economiche che il livello produttivo riesce a mettere a disposizione. I due livelli (economia e politica) quindi non hanno e non possono avere lo stesso principio o fine ultimo.
Un organismo è fatto di parti, di componenti, ognuno con un suo scopo, obbiettivo, fine e principio di funzionamento.
L'economia fa una cosa, la cultura un'altra, la politica un'altra ancora. L'insieme lo chiamiamo "società" ed è la risultante di tutto, senza un suo principio e il fine ultimo (a meno di non idealizzare la società in senso religioso, perché si presuppone l'esistenza di un Dio che infonda ovunque un comune principio ispiratore).
Franz
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
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