pierodm ha scritto:A questo punto della discussione mi sembra evidente che ci siano due punti di vista - che non riguardano soltanto questo argomento, ma il modo stesso di affrontare molti temi socio-politici.
Da una parte il metodo-Franz, che prende in esame un fenomeno in via astratta e ideologica: la meritocrazia adesso, il liberalismo ieri, etc.
Franz ne analizza e ne illustra con dovizia di esempi e immagini i presupposti teorici, o quelli "idealizzati", sforzandosi di convincere questa platea della bontà di quei valori e dell'utilità di quei fenomeni, che per altro nessuno contesta su quel piano teorico e idealizzato - o almeno, nessuno contesta al punto, nihilistico, da giustificare un tale spiegamento di forze da parte del "razionalismo" franziforme.
Dall'altra i ragionamenti di chi - dando per scontata la conoscenza dei lati positivi di un certo fenomeno o valore - ne esamina alcune patologie, un eventuale livello di degrado, una distorsione che ne viene fatta da parte di forze sociali o da parte di meccanismi politici o economici, etc.
Due impostazioni che potrebbero anche incontrarsi, utilmente, in alcune occasioni: ma questo non avviene praticamente mai.
Da un lato Franz minimizza, spesso fino al ridicolo, le critiche e le obiezioni che incrinerebbero la perfezione adamantina delle sua rappresentazioni idealizzate di un certo fenomeno.
Dall'altra i critici si irritano - prima o poi si irritano, anche quando cominciano con la più pacifica buona volontà - nel vedere che viene ostinatamente elusa la ragione stessa per cui hanno sollevato un argomento o una critica: difficile infatti che, oggi, 2010, si vada a parlare dei fondamenti teorici del liberalismo o si discuta della definizione di "merito" in astratto, o almeno è difficile pensare che lo facciano persone minimamente dotate di uno straccio di cultura e di buon senso.
Chiaramente l'unica ragione che spinge a riflettere su molti fenomeni o valori è la presenza di patologie e distorsioni: lo stesso motivo per cui si parla dei mali, dei limiti, delle nefandezze della "prima repubblica", o magari dello statalismo, del centralismo, della corruzione, della cattica amministrazione, etc, senza voler per questo risalire ad una trattazione sul concetto di res pubblica, o ad una contestazione radicale della necessità di una P.A..
E’ bellissimo questo intervento di moderazione di pierodm, e coglie nel segno. Sono stato tentato di confermarlo e basta, ma in questo modo avrei dovuto rinunciare ad una parte del mio pensiero. Come scrive piedorm, ciò che unisce me, lui ed altri interlocutori è la critica ad una cattiva messa in pratica della meritocrazia, ad una sua traduzione in criteri operativi e metodi tali da rendere il rimedio peggiore del male. E questo era il senso prevalente del mio interloquire: evidenziare come nel pubblico impiego si sia aggiunto bubbone a bubbone, e non si sia minimamente intaccato il primo dei due tumori, ovvero clientelismo ecc…, per il quale l’introduzione di criteri meritocratici avrebbe dovuto essere una alternativa ed una cura.
Ma il mio dire (o farneticare) non si esaurisce qui. Io oso coltivare anche una debole, remota speranza di mettere in dubbio, ed eventualmente in discussione, la meritocrazia come valore.
E’ un inno alla meritocrazia come valore il lungo post di Franz, che fa apparire l’opzione meritocratica inevitabile per chi non voglia contraddire il buon senso.
Ma Franz fa una “furbata” delle sue. Per dirimere la controversia e dimostrare la propria tesi chiama ad arbitrare lo scontro nientemeno che “Wikipedia” !!!!!! Non è corretto, non è nemmeno decente. E’ come se io volessi sostenere una tesi storica basandomi sui manuali di Indro Montanelli. Per le definizioni di certi termini di lingua italiana io consiglierei di ricorrere a vocabolari ed enciclopedie tradizionali, cartacei, come lo “Zingarelli”. Ma se vogliamo rimanere “on line”, con il vantaggio quindi del controllo immediato, invito chi legge a dare un’occhiata al dizionario di Virgilio (De Agostini), dove la meritocrazia è definita. “sistema di distribuzione di riconoscimenti e compensi basato esclusivamente sui meriti individuali” (
http://www.sapere.it/sapere/dizionari/d ... ritocrazia)
Faccio mia questa definizione. Ora, tutti colgono a prima vista come l’avverbio “esclusivamente” sia indigeribile per noi che condividiamo, sia pure a grandi linee, una certa piattaforma politica, ed una certa mentalità collettiva, ossia i valori dell” “Ulivo”. Se si deve dare un compenso o riconoscimento esclusivamente al merito non si tiene più alcun conto del “bisogno”, e questo è liberismo sfrenato.
Tutti coloro che seguono questo dibattito sono inoltre abbastanza intelligenti e smaliziati da capire a prima vista come, prendendo a fondamento la definizione appena citata, io potrei costruire un castello di argomentazioni altrettanto ricco ed articolato, ed altrettanto convincente quanto quello di Franz. Vi risparmio quindi il castello “antimeritocratico”. La chiusa di Franz è degna dell’autore: “Il fatto che passare da un'organizzazione clientelare, lobbistica, nepotistica ad una meritocratIca comporti disagio e stress per qualcuno (verosimile e vero) non è un alibi per gridare contro la meritocrazia definendola "bubbone".”. Chi ha parlato mai di disagio e di stress? E chi è il “qualcuno” che ne soffrirebbe? A scanso di equivoci, il sottoscritto è considerato da tutti, nel suo luogo di lavoro, un lavoratore eccellente ed è pronosticato dalla maggior parte dei colleghi come uno dei primi assegnatari del “premio-brunetta” se mai questo “gettone” vedrà la luce. Al sottoscritto fu assegnato un premio-pilota di produzione, istituito in forma sperimentale per i dipendenti statali, ed egli lo rifiutò, pur essendo povero. Perché la meritocrazia gli faceva schifo.