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I pastori con le greggi invadono Roma

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I pastori con le greggi invadono Roma

Messaggioda franz il 06/09/2010, 15:02

I pastori con le greggi invadono Roma
"Perfino dallo Stato concorrenza sleale"

Manifestazione davanti al ministero per un colloquio con il ministro. "Un'azienda di proprietà pubblica italiana produce pecorino in Romania e lo esporta negli Usa", denuncia la Coldiretti

ROMA - Sono un migliaio i pastori giunti a Roma dalla Sardegna, Lazio, Toscana, Sicilia, Umbria per manifestare davanti del ministero delle Politiche agricole a sostegno della piattaforma della Coldiretti. L'iniziativa nella capitale è necessaria per ''fronteggiare la grave crisi della pastorizia, con iniziative sul piano politico-istituzionale e su quello del mercato, dove il latte viene sottopagato dalle industrie a livelli insostenibili per gli allevatori''. Nel pomeriggio è previsto l'incontro fra i vertici della Regione sarda (vi saranno il presidente Cappellacci e l'assessore Prato) e le Organizzazioni di categoria (sono presenti il presidente nazionale della Coldiretti Sergio Marini e tutti i dirigenti regionali della principale organizzazione degli imprenditori agricoli) con il ministro Galan per affrontare i problemi della agro-zootecnia.

Tra questi uno dei più importanti è quello della contraffazione. E' stato anche allestito un tavolo di denuncia sul falso pecorino italiano venduto all'estero dove toglie spazio di mercato al prodotto originale. In particolare, la Coldiretti ha denunciato un fatto sorprendente: ''Speriamo che il governo saprà spiegarci come mai un'azienda romena, di proprietà dello Stato italiano, vende negli Stati Uniti formaggio che porta l'etichetta di pecorino romano, perché non riusciamo a capirlo. Come non sappiamo spiegarci perché lo Stato dovrebbe con una mano togliere risorse alla produzione nazionale e con l'altra foraggiare aziende estere che fanno concorrenza sleale ai pastori italiani''.

La protesta -riferisce la Coldiretti - punta a sostenere la piattaforma dell'organizzazione per fronteggiare la grave crisi della pastorizia, con iniziative sul piano politico-istituzionale e su quello del mercato, dove il latte viene sottopagato dalle industrie a livelli insostenibili per gli allevatori. Un litro di latte al giorno viene pagato fino a 60 centesimi al litro con un calo del 25% rispetto a due anni fa e ben al di sotto dei costi di allevamento che si avvicinano all'euro. E non va meglio per la lana con i costi di tosatura e di smaltimento che superano notevolmente i ricavi o per la carne quando solo a Pasqua quella venduta dall'allevatore a circa 4 euro al chilo viene rivenduta dal negoziante a 10-12 euro al chilo.

I pastori hanno portato tutti i differenti tipi di pecorino prodotto nelle diverse regioni italiane, da quello romano a quello siciliano, e sono accompagnati da una ''rappresentanza'' dei sette milioni di pecore allevate nel nostro paese. Gli allevamenti di pecore negli ultimi dieci anni sono calati del 30 per cento in Italia dove la crisi in atto rischia di decimare irrimediabilmente i circa 70mila allevamenti rimasti che svolgono un ruolo insostituibile per l'ambiente, l'economia, il turismo e la stabilità sociale del territorio, è l'allarme lanciato dai pastori. Nell'ultimo quinquennio la produzione nazionale di latte ovicaprino ha evidenziato una tendenza al calo a causa di una progressiva perdita di redditività degli allevamenti con la remunerazione del latte che ha seguito un trend negativo negli ultimi cinque anni. L'allevamento ovicaprino - sottolinea la Coldiretti - è un'attività che, concentrata nelle zone svantaggiate, è ad alta intensità di manodopera. Il settore ha registrato un incremento dei costi, determinando un'ulteriore pressione sul settore che già versa in una situazione critica sul piano della competitività. Preoccupante è la flessione costante dei consumi nazionali dei prodotti ovicaprini.

''Dal ministro dell'Agricoltura, Giancarlo Galan, ci aspettiamo che ci dica sì su tutta la piattaforma che gli presenteremo, altrimenti la nostra protesta andrà avanti'', ha affermato Marini.''Sappiamo che la nostra è una piattaforma sostenibile - ha sottolineato - come tutte quelle che abbiamo presentato in passato. Governo e Regioni sono nelle condizioni di poterla realizzare perché, ad esempio, non prevede lo stanziamento di nuove risorse ma il riorientamento di quelle già esistenti''.

Il consumo di un solo mezzo chilo di vero pecorino italiano in più a famiglia nell'arco di un anno sarebbe sufficiente per salvare la pastorizia italiana e il valore culturale, ambientale ed economico che rappresenta, sostiene la Coldiretti in uno studio presentato nel corso della mobilitazione. I pastori hanno portato con sé tutti i differenti tipi di pecorino realizzati in Italia dove - sottolinea la Coldiretti - sono stati prodotti nel 2009 oltre 61 milioni di chili di pecorini dei quali oltre la metà a denominazione di origine (Dop).

All'esportazione sono andati ben 16 milioni di chili nel 2009, secondo lo studio della Coldiretti che evidenzia peraltro un calo del 10 per cento nell'export di pecorino, nei primi cinque mesi del 2010, dovuto anche alla diffusione sui mercati esteri di prodotti di imitazione concorrenti (ad esempio il Romano cheese venduto in Usa) che sfruttano impropriamente l'immagine del Made in Italy. Un fenomeno che sta facendo sentire i suoi effetti anche sul mercato nazionale dove si registra invece il preoccupante aumento delle importazioni di prodotti a basso costo e qualità da spacciare come italiani, che cominciano ad assumere volumi significativi e sono addirittura quintuplicate (+403 per cento) rispetto allo scorso anno.

Nella produzione Made in Italy a denominazione di origine, che è calata nel 2009 del 10 per cento, a fare la parte del leone - continua la Coldiretti - è il pecorino romano Dop che copre l'80 per cento, ma hanno ottenuto la protezione comunitaria come denominazioni di origine anche il pecorino Sardo, il Siciliano e il Toscano e quello di Filiano oltre al Fiore Sardo ed al Canestrato Pugliese.

"No pecore no party, senza la pastorizia la Sardegna muore", "Industriali come lupi strangolano pastori", "Allevamenti ko: il prezzo non è giusto" e "Subito l'etichetta di origine" sono alcuni degli slogan scritti negli striscioni che sono sostenuti dai manifestanti della Coldiretti che hanno adottato come mascotte un piccolo agnellino ed offerto gustoso pecorino, frutto del proprio lavoro, ai passanti.

Il pecorino - spiega la Coldiretti - è uno dei formaggi italiani più antichi che veniva prodotto già nella Roma imperiale e faceva parte delle derrate dei legionari, ma è probabile che le sue origini siano da ricercare ancora più anticamente, vista la diffusione delle pecore sul nostro territorio. In Italia è diffuso soprattutto nelle regioni centro-meridionali e nelle isole dove si possono trovare tutte le varietà con diversi gradi di stagionatura: dalle più giovani e dolci a quelle più piccanti a mano a mano che procede l'invecchiamento. Si mangia volentieri da solo, per finire un pasto, ma è anche un ingrediente essenziale di molti piatti regionali.

(06 settembre 2010) www.repubblica.it
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Re: I pastori con le greggi invadono Roma

Messaggioda franz il 06/09/2010, 15:31

Ecco il pecorino prodotto in Romania sotto l'egida dello stato italiano:

Un altro prodotto taroccato - La ricotta «Toscanella Gura de rai» è un altro prodotto finto italiano commercializzato sui mercati europeo e statunitense, prodotto in Romania con latte romeno e ungherese. Ma, come accusa la Coldiretti, la società Lactitalia che lo produce è proprietà dello «Stato italiano, attraverso la Simest» e contribuisce a «uccidere con la concorrenza sleale i pastori italiani». La Simest, infatti, come viene specificato sul proprio sito internet, è la finanziaria di sviluppo e promozione delle imprese italiane all'estero ed è controllata per il 76% dal governo italiano ed è partecipata da banche, associazioni imprenditoriali e di categoria (Ansa/Coldiretti)

http://www.corriere.it/foto_del_giorno/ ... aabe.shtml
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Re: I pastori con le greggi invadono Roma

Messaggioda franz il 06/09/2010, 16:58

Coldiretti ha scritto:Il consumo di un solo mezzo chilo di vero pecorino italiano in più a famiglia nell'arco di un anno sarebbe sufficiente per salvare la pastorizia italiana e il valore culturale, ambientale ed economico che rappresenta, sostiene la Coldiretti in uno studio presentato nel corso della mobilitazione.

Non so se sia vero. Quantititativamente forse si' ma bisognerebbe anche salvare i san marzano e centinaia di altre produzioni agricole e di allevamento. Il fatto è che il settore agrigolo è uno di piu' sussidiati e sovvenzionati al mondo e questo rende difficile l'esportazione di chi sovvenzionato lo è meno o per nulla. In questi casi chi la fa da padrone sono i contadini ricchi, come quelli americani ed europei (il 34% del bilancio europeo è dedicato all'agricoltura).
Chi invece langue sono i contadini poveri, in Africa e nelle zone rurali discoste come la Sardegna.

Tra le varie cose trovate in rete, leggo:



Cancelliamo i sussidi agricoli, non il debito

L’Africa non deve vivere di elemosina. Ma delle proprie esportazioni. Che sono soprattutto agricole.
di marco arnone

La questione del debito estero dei Paesi più poveri e dell’Africa in particolare, è un problema reale. Troppo spesso, però, la comunità internazionale tende a trattarlo in modo ideologico e, soprattutto, inefficace. E’ il caso sia delle iniziative di organizzazioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e la Banca Mondiale, che delle proposte di organizzazioni non governative come Jubilee.

La verità è che Ue e Usa non integrano queste iniziative con politiche di aiuto alla crescita tramite accesso al commercio internazionale, cosa che ad esempio lo European Development Fund non fa. Anzi. Negli anni novanta, i paesi ricchi hanno addirittura ottenuto una liberalizzazione a senso unico: la gran parte dei paesi poveri apriva i propri mercati a merci e servizi occidentali, senza offrire un giusto sbocco ai prodotti – specialmente agricoli – dei paesi poveri.
Tre giorni di marcia per una riunione

La maggiore iniziativa di riduzione del debito estero dei Paesi più poveri è stata lanciata nel 1996 da FMI e BM su richiesta del G7. In questo modo i paesi più ricchi riconoscono la necessità di ridurre l’onere del debito dei paesi più poveri a fronte di un processo macchinoso ed estremamente lungo di aggiustamenti economici e istituzionali. L’obiettivo dichiarato era di raggiungere la sostenibilità del debito estero di questi paesi; la Heavily Indebted Poor Countries (HIPC) Initiative – il Programma per i Paesi poveri fortemente indebitati – coinvolge 41 paesi, principalmente in Africa, e circa 600 milioni di persone. Il debito di questi Paesi al 2000 era di circa 200 miliardi di dollari, circa il 10% del debito estero totale di tutti i Paesi in via di sviluppo (PVS). Il tutto con un’aspettativa di vita di ben 7 anni inferiore alla media dei PVS.

Il programma HIPC consiste in un percorso di aggiustamento macroeconomico e di lotta alla povertà, con l’assistenza delle istituzioni multilaterali: i Paesi devono definire una strategia di lotta alla povertà e di strumenti di tutela delle fasce più deboli della popolazione, nel quadro di un programma di riequilibrio macroeconomico orientato alla crescita. Tale strategia viene definita in un processo di consultazione molto complesso fra la società civile e il governo, che può richiedere grandi sforzi logistici in paesi dove mancano le strade e i mezzi di trasporto: partecipare ad una riunione può richiedere tre giorni di cammino. Inoltre, i fondi dei donatori multilaterali e bilaterali sono a tassi di interesse estremamente bassi (0.5%), con tempi di rimborso decennali. Infine, questo tipo di programma dovrebbe essere orientato alla crescita.
La “trappola” monetaria

Oggi 27 dei 41 Paesi HIPC hanno raggiunto il cosiddetto completion point: il loro debito estero si è ridotto da 77 a 26 miliardi di dollari. La spesa pubblica specificamente orientata alla lotta alla povertà è aumentata da 6 miliardi di dollari nel 1999 a 10 quest’anno e si prevede arrivi a 12 nel 2005, a fronte di una riduzione del servizio annuale del debito da 3 a circa 2 miliardi.

Riguardo la stabilizzazione macroeconomica, i programmi multilaterali hanno chiaramente ottenuto un grande successo nel controllo dell’inflazione, e anche sulla crescita i dati sono positivi, ma un problema rimane: la forte riduzione dell’inflazione ha fatto aumentare i tassi di interesse reali con un possibile impatto di freno alla crescita, che avrebbe potuto essere più sostenuta, almeno nei paesi africani. Insomma, il programma di aggiustamento potrebbe essere in parte vittima del proprio successo in campo monetario, rendendo la crescita insufficiente a garantire la sostenibilità del debito estero. La conclusione che l’attuale programma HIPC vada ampliato è ormai assodata.

Il nodo restano i sussidi all’agricoltura
A fronte di questi programmi molte organizzazioni non governative chiedono la cancellazione totale del debito, o perchè inesigibile, o perchè insostenibile, o perchè pagare il debito sottrae risorse da investire nello sviluppo dei vari paesi. Si tratta di una soluzione un pò troppo semplice: l’aggiustamento macroeconomico va comunque perseguito, così come la strategia di tutela dei gruppi più deboli. In paesi che consumano solo per la sopravvivenza fisica più di quanto non producano, il debito comincerebbe ad accumularsi già l’anno successivo alla ipotetica cancellazione: anche così non sarebbe sostenibile.

Occorre, invece, che i Paesi ricchi, in particolare USA e UE, tengano fede agli impegni di aumentare i fondi per l’assistenza ai paesi poveri; oggi danno lo 0.25% del PIL contro una promessa dello 0.7%. Peraltro, anche questi fondi sono spesso strumenti strategici piuttosto che veri aiuti umanitari: la gran parte dei fondi di USAID vanno a Egitto e Israele. Ma gli aiuti non sono sufficienti: occorre dare la possibilità di crescita economica.

L’Unione Europea spende cifre da capogiro per la Politica Agricola Comune (PAC) impedendo ai paesi poveri di avere accesso al mercato europeo. La Ue dovrebbe aprire gradualmente i propri mercati agricoli dando accesso ai prodotti di questi paesi. Questo permetterebbe ai paesi HIPC di crescere esportando e di vivere delle proprie risorse, non d’elemosina. Non solo. Così facendo, i consumatori europei potrebbero pagare molto meno i prodotti agricoli e le materie prime, contribuendo ad aumentare sia il loro potere d’acquisto che quello dei paesi poveri.



Penso che con meno (o zero) sussidi possiamo salvare pecorino ed anche molto di piu'.
Franz
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Re: I pastori con le greggi invadono Roma

Messaggioda franz il 12/09/2010, 9:41

MENTRE PROTESTANO PASTORI E ALLEVATORI Il pecorino sardo si fa concorrenza da solo Dietro i romeni due imprenditori isolani I fratelli Pinna, primi produttori caseari della Sardegna, controllano il 70,5% di Lactitalia. Il resto è della Simest Le proteste dei pastori sardi a Roma

Capitale, azionisti, mission: dalla Camera di commercio di Bucarest affiorano tutti gli ingredienti di un business fratricida. Se non nei fermenti lattici (romeni) almeno negli investimenti, il pecorino dell’Est concorrente del Dop è rigorosamente italiano. Mentre pastori e allevatori, schiacciati dalla crisi dei vari comparti, manifestano con sit in e proteste locali (dalla Sardegna alla Sicilia) dai registri di Bucarest, spunta l’identikit della concorrenza. Lactitalia, società «cu raspundere limitata», specializzata in allevamento di bovini da latte, ovini, caprini, prodotti caseari e alimentari vari (ma anche investimenti e amministrazione d’immobili) che esporta latticini romeni con nome cinematografico - «La Dolce Vita» - è un mix inatteso di capitale privato e pubblico.

La prima sorpresa la riservano gli investitori privati,ossia la Roinvest srl. Se il nome è oscuro, la proprietà è illustre: l’impresa, con sede a Sassari, appartiene infatti ai primi produttori caseari della Sardegna: Andrea e Pierluigi Pinna. Nomi prestigiosi con un ruolo strategico proprio nella difesa del made in Italy. Il primo, Andrea, è vice presidente del Consorzio di Tutela del Pecorino sardo. Suo fratello, Pierluigi è consigliere dell’organismo che certifica il controllo di qualità dello stesso formaggio nostrano. L’uno e l’altro dovrebbero difendere il prodotto dai falsi, come si legge sul sito: «Il consorzio svolge sia nel territorio di produzione che in quello di commercializzazione, funzioni di tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e salvaguardia degli interessi relativi alla denominazione, contro ogni e qualsiasi abuso, atto di concorrenza sleale e contraffazione».

Con una quota azionaria pari al 70,5% i Pinna sono i principali azionisti di Lactitalia
. Quanto all’altra fetta di azionariato, il 29,5% del capitale residuo, appartiene alla pubblica Simest, controllata dal ministero dello Sviluppo economico. Sul «pecorino di stato» tuona Coldiretti: «Ci auguriamo che il ministero ritiri la quota di partecipazione a un’impresa che imita il made in Italy e fa concorrenza sleale ai nostri imprenditori» dice Sergio Marini, presidente di Coldiretti. Insomma qui non è più la lotta al Chianti californiano, al pesto della Pennsylvania o al pomodoro cinese: il piccolo faro occupazionale rappresentato dallo stabilimento Lactitalia di Recas a 20 chilometri da Timisoara, rappresenta un affronto per pastori, e allevatori che producono a costi sempre più elevati e con margini sempre più incerti. A parte la bile per i soci dei consorzi nello scoprire che i propri rappresentanti nominati per tutelarli investono nell’impresa concorrente (beneficiando di sovvenzioni pubbliche, di solito regionali), c’è quell’investimento pubblico in Lactitalia che, secondo i calcoli di Coldiretti, è pari a «862mila euro».

Mica poco. Intanto fratelli Pinna, interpellati in proposito, non rispondono. Vuoi per gli impegni aziendali, vuoi per altri locali: «Mi spiace ma non sono in sede, partecipano alla festa patronale della Madonna di Seuni» spiegano con gentilezza dalla direzione. Irritazione per la vicenda Lactitalia filtra anche dal ministero dell’Agricoltura: «Abbiamo istituito un gruppo di lavoro che si occupa di contraffazioni dei prodotti agricoli italiani in genere. Quanto a Lactitalia, la responsabilità non è nostra ma di chi ha gestito e gestisce il ministero dello Sviluppo. Si conferma comunque che abbiamo ragione promuovere la battaglia sull’etichettatura e insistere con l’Europa affinchè vigili sui prodotti di origine controllata e sanzioni in caso di contraffazioni».

Ilaria Sacchettoni
12 settembre 2010
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