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Il lavoro

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Re: Il lavoro

Messaggioda pierodm il 17/08/2010, 13:51

Insomma non me lo sto inventando io che le aziende scappano.
La germania riprende a tirare e noi invece siamo messi così


Diceva Russell che spesso si commettono stravaganti connessioni cercando la concatenazione tra cause ed effetti.
A me sembra che questa considerazione si possa applicare al discorso di Franz.

Una volta accertato che le aziende scappano dall'Italia, ma non dalla Germania, la ragione può essere indicata in una qualunque tra le differenze tra l'una e l'altra: la lingua, la statura media degli operai, il clima, o anche la politica, la velocità della giustizia civile, il credito bancario, la presenza di un tessuto produttivo di più alta qualità.
Franz preferisce trovare la ragione nello Statuto.

Ci sarebbe da chiedersi, per altro, perché mai i lavoratori tedeschi non scappano in Italia, dove c'è tutto questo bengodi di illicenziabilità e di tutele: forse perché in Germania guadagnano tre volte di più?
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Re: Il lavoro

Messaggioda chango il 17/08/2010, 13:54

franz ha scritto:Considerazioni giuste e che si applicano non solo all'albergo di roma o all'industria manifatturiera di Biella ma anche a quelle di tutta europa. Eppure non si capisce perché proprio da noi ci sia proporzionalmente piu' micro che nel resto dell'europa. Ovvero, io lo capisco e ne trovo una ragione che tu non condividi. La realtà rimane quella: abbiamo il doppio di micro e piccole della germania. Anche da loro nascono piccole e poi crescono. Da noi nascono piccole e ci rimangono.
Vero che le cause sono molteplici ma negare che l'art 18 abbia un influsso rilevante (anche solo psicologico) è veramente singolare.


come non si capisce?
le imprese italiane sono storicamente sottocapitalizzate, si sono specilizzate in produzioni di basso valore aggiunto che non richiedono conoscenze e dimensioni particolari, c'è una diversa struttura produttiva, una vasta area deindustrilizzata che in qualche modo deve sopravvivere, una tendenza patologica al controllo familiare dell'impresa, una cultura diffusa del "piccolo è bello", una totale assenza di politica industriale. oltre a tutta una serie di ostacoli che limitano la crescita economica.
ti bastano come spiegazioni aventi un influsso rilevante sulla dimensione aziendale, maggiore dell'articolo 18?

come poi possa avere un influsso rilevante, anche solo psicologico, una norma che prevede regole diverse a secondo se si supera o meno la soglia dei 15 dipendenti, quando il 95% delle nostre imprese mediamente ha 3 dipendenti è veramente strano.
a meno che non si voglia sostenere che un imprenditre per non superare la soglia dei 15 dipendenti decida di non avere più di 3 dipendenti nella sua azienda.

franz ha scritto:La risposta alla prima domanda va posta all'azienda, caso per caso.
È comunque noto che in Italia licenziare è piu' difficile che in altri paesi. O vogliamo negare anche questo?
Ora se l'azienda licenzia perché diminuisce l'organico, capisco che ci sia un costo a carico del sistema (inevitabile e come spiego dopo, giusto) ma se licenzia pippo per assumere giovanni, a livello aggregato non c'è costo, assumendo che giovanni fosse a carico della disoccupazione (quella di tipo europea). Ora se invece di essere a carico del sistema fosse a carico dell'azienda, essa avrebbe perdite che potrebbero essere non sopportabili, potrebbero metterla fuori mercato (per eccesso di costi o debiti) e farla fallire. Coinvolgendo gli altri lavoratori. meglio che sia quindi il sistema di tutele, a carico del mondo del lavoro e non della fiscalità, a prendersi carico di quella parte di forza lavoro che non trova impiego.
Cosi' hanno scelto di fare tutti i paesi occidentali, sia quelli piu' socieldemocratici (svezia) sia i piu' liberisti (UK, CH, USA).


dato che l'obbligo di reintegro è previsto nei casi di licenziamento individuale illegittimo, ossia l'impresa non aveva motivi validi per licenziare il lavoratore, perchè l'impresa dovrebbe andare incontro a costi insopportabili tali da mettere in difficoltà l'esistenza dell'impresa stessa?
quanto può essere ampio il numero di licenziamenti di questo tipo che gravano sulla stessa impresa nello stesso momento?
per es.il reintegro di un lavoratore in un impresa con 100 dipendenti è suffciente per metterla in crisi?

se l'impresa andasse in difficoltà,comunque, è prevista la possibilità di ridurre il personale. in questo caso il costo deve essere giustamente a carico del sistema.

franz ha scritto:Forse perché, nel confronto internazionale, si nota che da noi, a causa delle leggi (ed i giudici a quella si rifanno) esistono interpretazioni piu' rigide e restrittive rispetto ad altre realtà. Quindi vanno anche cambiate le leggi, oltre ad avere i sussidi di disoccupazione di tipo europeo, universali per tutti i dipendenti, indipendentemente dal settore e dal numero di dipendenti. Lo scambio si rende necessario perché un sussidio di disoccupazione costa (le aziende devono pagarlo) e quindi occorre ridurre altri costi, come quelli legali legati ai conflitti sulla perdita di lavoro. Non dico di eliminarli del tutto (una certa conflittualità è presente ovunque) ma di portarla su livelli standard, possibilmente con tempi piu' ragionavoli nella determinazione della causa. Innegabile che tutti questi fattori pesino sul sistema italia e rendano sempre piu' difficile trovare lavoro in Italia. Quando un'azienda decide di trasferirsi lo fa esaminando un mucchio di variabili, non solo quelle fiscali e del costo lordo del lavoro. Tra le variabili oltre alla qualificazione della manodopera (che da noi è un grave problema) e gli aspetti logistici, ci sono anche le considerazioni sui conflitti legali in merito al lavoro, la flessibilità in ingresso ed uscita. Insomma non me lo sto inventando io che le aziende scappano.
La germania riprende a tirare e noi invece siamo messi così

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Franz


si possono ridurre i costi e i tempi delle cause.
però questo che c'entra con il reintegro obbligatorio e l'articolo 18 in generale?
l'unico modo per cui l'articolo 18 non generi costi è abolire la possibilità di ricorrere contro il licenziamento individuale ritenuto illegittimo.
se però guardiamo i dati relativi ai contenziosi legali in merito al lavoro, quelli riconducibili ad esso sono poche migliaia.
bastano davvero questi pochi processi all'anno a generare dei costi che scoraggino le imprese?
sono quei 2-3.000 contenziosi l'anno ad ostacolare la realizzazione di ammortizzatori sociali europei?

certo che le imprese italiane scappano.
però si guardano bene dallo scappare in massa in Germania o Francia, paesi con ammotizzatori sociali europei e sistemi legali e infrastrutturali più efifcienti dei nostri.
scappano in paesi che consentono una concorrenza basata esclusivamente sulla riduzione dei costi (legali, del lavoro, della burocrazia, ecc).
se poi, come la Fiat in Serbia, ti riempiono di incentivi e aiuti statali ancora meglio.

qui però mi viene un dubbio. per trattenere le nostre imprese in Italia che cosa dobbiamo fare?
davvero i modelli sono la Germania e la Francia?
oppure come penso abbiano ampiamente fatto capire molti imprenditori italiani, i modelli sono la Polonia e la Serbia?

entrambe le opzioni possiedono gradi di minore rigidità dell'Italia, ma la loro desiderabilità sociale non è proprio la stessa.
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Re: Il lavoro

Messaggioda franz il 17/08/2010, 22:21

chango ha scritto:come non si capisce?
le imprese italiane sono storicamente sottocapitalizzate, si sono specilizzate in produzioni di basso valore aggiunto che non richiedono conoscenze e dimensioni particolari, c'è una diversa struttura produttiva, una vasta area deindustrilizzata che in qualche modo deve sopravvivere, una tendenza patologica al controllo familiare dell'impresa, una cultura diffusa del "piccolo è bello", una totale assenza di politica industriale. oltre a tutta una serie di ostacoli che limitano la crescita economica.
ti bastano come spiegazioni aventi un influsso rilevante sulla dimensione aziendale, maggiore dell'articolo 18?

come poi possa avere un influsso rilevante, anche solo psicologico, una norma che prevede regole diverse a secondo se si supera o meno la soglia dei 15 dipendenti, quando il 95% delle nostre imprese mediamente ha 3 dipendenti è veramente strano.
a meno che non si voglia sostenere che un imprenditre per non superare la soglia dei 15 dipendenti decida di non avere più di 3 dipendenti nella sua azienda.

Vorrei approfondire questa parte, tralasciando il resto (il tempo è tiranno).
Vero che le aziende italiane sono sottocapitalizzate ma allora perché costituirne il doppio rispetto alla locomotiva germanica?
Continui ad insistere con la storia della media. La media nelle microaziende è 2, non tre (dato Eurostat) ed è in sintonia con la media eu-27 (2.1). Tuttavia la media, a parte le battute di Trilussa sui polli, ci dice qualche cosa. Se il numero di imprese è quasi doppio e la media è la stessa, vuol dire che è anche quasi doppio il numero di lavoratori.
Ebbene SI: nelle UE-27 (che comprende il dato abnorme italiano) il 29% del totale dei lavoratori è impiegato in imprese con meno di 10 dipendenti. E in Italia? Il 47%. Quindi se in Europa meno di 1/3 della manopopera è nelle micro, da noi quasi la metà. La media quindi è la stessa ma i volumi quasi doppi dovrebbero farci pensare. Ripeto. se il problema fosse la sottocapitalizzazione, perché costituire il doppio di imprese (che costa molto di piu' in termini di impiego di capitale, di costi fissi) ed impiegare il doppio di manodopera? Ok, dici che c'è una "diversa struttura produttiva" e sono anche d'accordo. Ma perché? Non è che la diversa struttura produttiva è figlia di una legge che da 40 anni ha scoraggiato i piccoli a crescere? Anche fosse vero che non si osserva un effetto tappo attorno alla soglia, è chiaro che aziende che sanno di poter crescere anche tumultuosamente e non vogliono farlo si organizzano prima, dividendo l'azienda quando ancora ne ha 8 o 10, creando nuove aziende e passandogli un certa dote di personale. Ma il risultato è netto: quasi la metà della manodopera lavora nelle micro e questo è un dato che, tra i grandi del G8, è solo italiano.

La diversa struttura produttiva è figlia, come dici, di tutta una serie di ostacoli che limitano la crescita economica.
Sono perfettamente d'accordo ma chiarisco: questi ostacoli sono di natura regolatoria (statale, per intenderci) e nei paesi piu' "free" come UK le micro sono sempre tante (87%) ma meno che da noi (Ita = 95%) e soprattutto impiegano solo il 20-21% della manodopera. Le microimprese sono l'83% delle imprese tedesche (quindi anche li se vogliamo "piccolo è bello") ma impiegano solo il 19% della manodopera. Da noi il 47%, come dicevo. Troppo abnorme per avere solo le cause che descrivi.
Allora si arriva al dunque. Cosa impedisce alle nostre piccole imprese di crescere come numero di dipendenti ma le spinge anche a raddoppiare di numero e raddoppiare la mole di lavoratori impiegati? Sembrerebbe che ci sia una molla che fa crescere il tutto come dipendenti e come aziende mantenendo pero' basso il numero di dipendenti per azienda.

Mi pare che tu insisti a spiegare questi dati anomali con una situazione di sottosviluppo e non è che io non sia d'accordo ma ti faccio notare che esaminando quei numeri la polonia è messa meglio di noi e per trovare dati simili in Europa dobbiamo arrivare alla Grecia, con cui tra l'altro condividiamo anche altri record, sul debito pubblico e il lavoro sommerso.

Tu vuoi sostenenere che la nostra situazione (o struttura) produttiva è a livello di grecia e polonia?
Non mi pare: non saremmo nel G8 e non avremmo il nostro pur rispettabile reddito procapite. Tuttavia la nostra struttura procede a fatica proprio perché cerca di aggirare tutta una serie di ostacoli e lo si vede anche nel numero enorme di lavoratori (quasi la metà) impiegati in un numero notevole di microaziende. Un paese simile al nostro, come latinità e reddito medio, la Spagna, vede il 92% di microimprese (ita=95%) ma il 37% di lavoratori addetti, contro il nostro 47%.
C'è un 10% di lavoratori in piu' che da noi si addensa nelle micro rispetto alla spagna, quasi il 20% in piu' rispetto alla media europea ed a paesi coome Germania, Francia e Regno Unito.

Ti chiedi perché mai una azienda non dovrebbe superare quella soglia solo per il problema del licenziamento. Non mi pare che sia solo per quello. La dissuasione alla crescita sul livello 15, leggo, riguarda anche l'istituzione delle Rappresentanze Sindacali Aziendali, i vincoli a rispettare alcuni standard di sicurezza sul lavoro, gli obblighi ad assumere lavoratori disabili e svantaggiati. Insomma passare quella soglia, anzi solo esserne vicini, puo' essere sentito come un problema da molti imprenditori. Che quindi se ne tengono lontani, anche perché il metodo di caclolo è comlicato, come tutte le cose in Italia.

Infine sul reintegro. Ammettiamo in via dialettica che hai ragione. È un diritto. Ma non lo è in Italia per il 47% di lavoratori dipendenti nelle micro imprese (fino a 10) ed immagino che che ne siano parecchi anche nella parte da 10 a 15.
Ma allora che diritto è? Come mai metà della forza lavoro ha un diritto al reintegro e l'altra metà solo all'indennizzo?
Tu mi puoi dire: colpa della "diversa struttura produttiva" ma qui nel campo del diritto ti dico che è colpa della legge.
Ha creato lavoratori di seria A e B ed in Italia, stranamente, quelli di serie B sono oltre la metà.

Come puoi sostenere che lo statuto dei lavoratori non c'entra?

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Re: Il lavoro

Messaggioda pierodm il 18/08/2010, 1:11

Ti chiedi perché mai una azienda non dovrebbe superare quella soglia solo per il problema del licenziamento. Non mi pare che sia solo per quello. La dissuasione alla crescita sul livello 15, leggo, riguarda anche l'istituzione delle Rappresentanze Sindacali Aziendali, i vincoli a rispettare alcuni standard di sicurezza sul lavoro, gli obblighi ad assumere lavoratori disabili e svantaggiati. Insomma passare quella soglia, anzi solo esserne vicini, puo' essere sentito come un problema da molti imprenditori.

Sicuramente il superamento della soglia viene "sentito come un problema" da molti imprenditori: rispettare regole, per molti dei nostri imprenditori, è sempre sentito come un problema.
Può anche darsi che qualcuna di queste regole sia eccessiva. Ma da questo a farne il problema in assoluto più determinate in tema di imprendtorialità e di lavoro ce ne corre.
Io credo che non è tanto la piccolezza in se stessa a caratterizzare certe aziendine, ma il loro carattere assai poco imprenditoriale dei gestori, che "sentono come un problema" un po' troppe cose, non solo il superamento della soglia dimensionale: si tratta di piccole imprese avviate e condotte con una logica familiare e personalistica, nella quale si riversa la stessa dose di opportunismo, di clientelismo e di vocazione protezionistica dei singoli individui che ricercano il voto di scambio o la raccomandazione dell'assessore. Un atteggiamento che porta poi alla corruzione spicciola, alla ricerca di vie traverse per sgraffignare qualche appalto e roba del genere: nella ricerca di benemerenze utili, alla categoria dei politicanti si aggiunge in questo caso anche quella dei direttori di banca, in grado di garantire uno straccio di fido in più o un ricorso più facile allo sforamento.
Una serie di pratiche, queste, che possiamo facilmente stigmatizzare come penose ed inique, ma che io farei rientrare tra i problemi del lavoro più che tra quelli della "impresa": cittadini che "si mettono in proprio", per mancanza di alternative, ma che non hanno né lo spirito, né la capacità, né il capitale, né le competenze che ne facciano degli "imprenditori".
E allora, l'unica forma di imprenditorialità che sono capaci di esprimere è quella del massimo contenimento dei costi e il rastrellamento ai limiti del possibile degl'incassi: i "costi", cioè il fisco, gli stipendi, l'affitto, il saldo fatture a 60, 90, 120, 180 giorni, e la bassissima richiesta di qualità nei servizi professionali accessori, dall'amministrazione al design all'informatica alla pubblicità, con tutti i danni collaterali che ciò comporta nell'indotto, formato anch'esso da micro-aziende.

Questa, almeno, la realtà che mi risulta nel centro-sud.
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Re: Il lavoro

Messaggioda Robyn il 18/08/2010, 6:51

Il licenziamento per giusta causa comprende un'ampia gamma di casi quindi non si capisce molto bene il problema.Potrebbe essere l'interpretazione che se ne fà ,ma non è neanche questo perche le aziende la conoscono bene l'interpretazione.Quasi sempre si licenzia senza giusta causa e in tutti i casi il magistrato del lavoro condanna l'azienda alle sei mensilità e intima il reintegro.Nel caso delle piccole aziende il reintegro può essere intimato ma non è obbligatorio e il lavoratore può rinunciare al reintegro perchè evidentemente ritiene che non ha trovato l'azienda giusta.Questo licenziare senza giusta causa e il normale reintegro dà alla lunga la percezione che in Italia non si possa licenziare per giusta causa,quando non è così.Evidentemente non c'è un problema di interpretazione ma si cerca solo di cambiare il potere contrattuale.Ma allo stesso tempo non si capisce che scopo abbia ciò dal momento che si può licenziare per giusta causa.Le cause possono essere il retroterra culturale arretrato della destra berlusconiana ,oppure siamo in presenza di un'attacco alla democrazia ,di conseguenza alla costituzione alle leggi che ad essa fanno riferimento e quindi alla legalita Ciao Robyn
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Re: Il lavoro

Messaggioda Loredana Poncini il 18/08/2010, 7:15

La flexsecurity portata avanti da Pietro Ichino può aiutarci nel far emergere alla luce del sole il nero profondo che affossa la legalità nel lavoro, in Italia ?
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Re: Il lavoro

Messaggioda franz il 18/08/2010, 9:05

Loredana Poncini ha scritto:La flexsecurity portata avanti da Pietro Ichino può aiutarci nel far emergere alla luce del sole il nero profondo che affossa la legalità nel lavoro, in Italia ?

http://www.pietroichino.it/?p=1079
http://www.pietroichino.it/?p=4896
Ho letto solo alcuni articoli; per leggerli tutti ci vuole parecchio tempo. Vedremo in settimana.
Ci sono indubbi miglioramenti ma ancora troppe regole non universali, che continuano a dividere in due certi diritti e prestazioni a seconda della soglia dello stabilimento (16) e dell'azienda (61). Il contratto di ricollocazione (Articolo 2120) poi è assurdo, perché pesa sull'azienda in caso di carenza di programmi statali o assicurazioni. È ben lontano dagli standard europei sul finanziamento di questi programmi e vale solo per le aziende che superano una certa dimensione (non è universale). Diciamo che se un'azienda licenzia il 20% delle maestranze per difficoltà economiche e assurdo che debba pagare lei per tre anni la disoccupazione delle persone licenziate. A questo punto finisce per fallire e manda a casa tutti i lavoratori, non solo il 20%. Di positivo c'è che sparisce il reintegro nei casi di licenziamento per motivi economici, tecnico od organizzativo (art 2119) ed esiste solo il pagamento di un indennizzo (decisamente elevato) che si aggiunge al contratto di ricollocazione ed al TFR/fondodiprevideza (nelle aziende medie o grandi). Il tutto pero' rimane un collage di norme che non sono universali per cui alcuni lavoratori ne avranno diritto ed altri no.
Di fatto il limite si sposta verso i 60 dipendenti (se ha tanti piccoli stabilimenti) e rimane 15 se tutti in uno stabilimento. Sappiamo quindi già che oltre la metà dei lavoratori italiani non sarà coperta dal contratto di ricollocazione e visto che l'onere di quel contratto pesa sull'azienda stessa e non su forme assicurative coollettive come in Europa, permangono forti limiti alla crescita dimensionale delle imprese italiane.
In sintesi un esercizio volonteroso ma sempre sulla scia di eccessiva regolamentazione per settori dimensionali e con poca o nulla universalità.
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Re: Il lavoro

Messaggioda franz il 18/08/2010, 9:15

pierodm ha scritto:Sicuramente il superamento della soglia viene "sentito come un problema" da molti imprenditori: rispettare regole, per molti dei nostri imprenditori, è sempre sentito come un problema.
Può anche darsi che qualcuna di queste regole sia eccessiva. Ma da questo a farne il problema in assoluto più determinate in tema di imprendtorialità e di lavoro ce ne corre.

A dire il vero il rispetto delle regole è un problema per tutti i nostri beneamati cittadini, non solo per i titolari di imprese, piccole o grandi. E lo è da secoli, visto che il Guicciardini scriveva "Italia, terra di leggi draconiane, temperate dalla generale inosservanza". Il Italia poi le leggi sono troppe, spesso contorte e di difficile interpretazione, hanno generato una burocrazia parassitaria ed un costo fiscale eccessivo. Tutte cose che limitano le imprese ed il lavoro. Particolarmente limitanti poi sono quelle leggi che si applicano sulla base di soglie numeriche o di categorie. Ecco perché si cerca di scantonarle. La fantasia italica è proverbiale e se fosse impiegata per fare impresa invece che cercare di evitare i mille ostacoli che lo stato mette loro davanti il lavoro sarebbe meno latitante. Chiaramente sarebbe compito dello stato rimuovere gli ostacoli, non metterne altri. Poi è facile fare ironia sulle furbizie e sui sotterfugi che tutti devono fare per sopravvivere (non solo le aziende) ma ricordiamoci che il "peccato originale" causa della mancanza di lavoro è sempre dovuto a leggi sbagliate e troppe leggi.
Sono quelli - secondo me - gli ostacoli a cui si riferisce l'Art 3 della nostra Costituzione.
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Re: Il lavoro

Messaggioda chango il 18/08/2010, 12:03

franz ha scritto:Vorrei approfondire questa parte, tralasciando il resto (il tempo è tiranno).
Vero che le aziende italiane sono sottocapitalizzate ma allora perché costituirne il doppio rispetto alla locomotiva germanica?
Continui ad insistere con la storia della media. La media nelle microaziende è 2, non tre (dato Eurostat) ed è in sintonia con la media eu-27 (2.1). Tuttavia la media, a parte le battute di Trilussa sui polli, ci dice qualche cosa. Se il numero di imprese è quasi doppio e la media è la stessa, vuol dire che è anche quasi doppio il numero di lavoratori.
Ebbene SI: nelle UE-27 (che comprende il dato abnorme italiano) il 29% del totale dei lavoratori è impiegato in imprese con meno di 10 dipendenti. E in Italia? Il 47%. Quindi se in Europa meno di 1/3 della manopopera è nelle micro, da noi quasi la metà. La media quindi è la stessa ma i volumi quasi doppi dovrebbero farci pensare. Ripeto. se il problema fosse la sottocapitalizzazione, perché costituire il doppio di imprese (che costa molto di piu' in termini di impiego di capitale, di costi fissi) ed impiegare il doppio di manodopera? Ok, dici che c'è una "diversa struttura produttiva" e sono anche d'accordo. Ma perché? Non è che la diversa struttura produttiva è figlia di una legge che da 40 anni ha scoraggiato i piccoli a crescere? Anche fosse vero che non si osserva un effetto tappo attorno alla soglia, è chiaro che aziende che sanno di poter crescere anche tumultuosamente e non vogliono farlo si organizzano prima, dividendo l'azienda quando ancora ne ha 8 o 10, creando nuove aziende e passandogli un certa dote di personale. Ma il risultato è netto: quasi la metà della manodopera lavora nelle micro e questo è un dato che, tra i grandi del G8, è solo italiano.


avere il doppio delle imprese costa di più? forse al sistema Italia, non certo al singolo imprenditore, visto che di solito è titolare di una sola impresa.

non è che un impresa può decidere liberamente la sua dimensione, se vuole avere successo.
la dimensione dipende dal settore in cui decidi di investire,il tipo di prodotto che decidi di produrre e il mercato di riferimento.
non puoi frazionare un processo produttivo a piacimento, soprattutto nell'ambito manifatturiero: non è detto che due stabilimenti di 6 persone producano quanto uno stabilimento di 12.
il bene che produci e il mercato di riferimento influenzano anche loro la dimensioen dell'azienda.
ripeto quanto già detto: un azienda di mobili può vivere anche con 10 dipendenti e avere come riferimento il mercato regionale, un impresa che fa cellulari per sopravvivere deve lavorare su scale di produzioni e dimensioni degli impianti e del mercato di riferimento decisamente superiori. e non li puoi frazionare.

se si guardano i dati della dimensione aziendale per i grandi settori, si nota come la quota di micro imprese sia più contenuta nel settore dell'industria in senso stretto e vi sia una maggiore diffusione neglia altri settori.


franz ha scritto:La diversa struttura produttiva è figlia, come dici, di tutta una serie di ostacoli che limitano la crescita economica.
Sono perfettamente d'accordo ma chiarisco: questi ostacoli sono di natura regolatoria (statale, per intenderci) e nei paesi piu' "free" come UK le micro sono sempre tante (87%) ma meno che da noi (Ita = 95%) e soprattutto impiegano solo il 20-21% della manodopera. Le microimprese sono l'83% delle imprese tedesche (quindi anche li se vogliamo "piccolo è bello") ma impiegano solo il 19% della manodopera. Da noi il 47%, come dicevo. Troppo abnorme per avere solo le cause che descrivi.
Allora si arriva al dunque. Cosa impedisce alle nostre piccole imprese di crescere come numero di dipendenti ma le spinge anche a raddoppiare di numero e raddoppiare la mole di lavoratori impiegati? Sembrerebbe che ci sia una molla che fa crescere il tutto come dipendenti e come aziende mantenendo pero' basso il numero di dipendenti per azienda.


ti faccio presente che per te LA causa della dimensione delle aziende italiane era lo Statuto dei lavoratori.
se trovi il dato abnorme per ricondurlo solo alle cause da me elencate, diventa ancora più abnorme rispetto a quanto hai sostenuto fino adesso.

cosa impedisce alle nostre imprese di crescere?
la sottocapitalizzazione, le caratteristiche deii settori economici in cui operano, una politica industriale che sostanzialemente non scoraggia l'esistenza di piccole dimensioni,il capitalismo familiare, ecc.



franz ha scritto:Mi pare che tu insisti a spiegare questi dati anomali con una situazione di sottosviluppo e non è che io non sia d'accordo ma ti faccio notare che esaminando quei numeri la polonia è messa meglio di noi e per trovare dati simili in Europa dobbiamo arrivare alla Grecia, con cui tra l'altro condividiamo anche altri record, sul debito pubblico e il lavoro sommerso.

Tu vuoi sostenenere che la nostra situazione (o struttura) produttiva è a livello di grecia e polonia?
Non mi pare: non saremmo nel G8 e non avremmo il nostro pur rispettabile reddito procapite. Tuttavia la nostra struttura procede a fatica proprio perché cerca di aggirare tutta una serie di ostacoli e lo si vede anche nel numero enorme di lavoratori (quasi la metà) impiegati in un numero notevole di microaziende. Un paese simile al nostro, come latinità e reddito medio, la Spagna, vede il 92% di microimprese (ita=95%) ma il 37% di lavoratori addetti, contro il nostro 47%.
C'è un 10% di lavoratori in piu' che da noi si addensa nelle micro rispetto alla spagna, quasi il 20% in piu' rispetto alla media europea ed a paesi coome Germania, Francia e Regno Unito.


non siamo allo stesso livello di ricchezza di Polonia e Grecia, ma il sistema produttivo ha caratteristiche simili: specializzazioni industriali di basso livello e ruolo importante di settori (questo con la Grecia) come quello turistico e commerciale in cui è più facile la micro impresa.
aggiungi che tutti i paesi da te citati non presentano delle differenze territoriali abnormi come quelle presenti in Italia e non hanno un area consistente in via di sottosviluppo come il nostro Meridione.


franz ha scritto:Ti chiedi perché mai una azienda non dovrebbe superare quella soglia solo per il problema del licenziamento. Non mi pare che sia solo per quello. La dissuasione alla crescita sul livello 15, leggo, riguarda anche l'istituzione delle Rappresentanze Sindacali Aziendali, i vincoli a rispettare alcuni standard di sicurezza sul lavoro, gli obblighi ad assumere lavoratori disabili e svantaggiati. Insomma passare quella soglia, anzi solo esserne vicini, puo' essere sentito come un problema da molti imprenditori. Che quindi se ne tengono lontani, anche perché il metodo di caclolo è comlicato, come tutte le cose in Italia.


gli standard di sicurezza sul lavoro e l'obbligo di assumenre i lavoraotri svantaggiati non rientrano nello Statuto dei Lavoratori.
la crescita dimensionale implica, ad un certo punto, un aumento della regolamentazione che può scoraggiare alcuni imprenditori ad andare oltre? ovviamente.

rimangono solo due cose da chiarire:

a)se questa fosse LA motivazione la classe imprenditoriale italiana non farebbe certametne una bella figura: pur di non garantire certi standard di sicurezza sul lavoro, per es., rinucia a crescere. questo evidenzia il livello infimo di una classe imprenditoriale che non ricerca un sistema di poche regole che le permetta di competere nel migliore dei modi con i suoi concorrentie steri, ma un sistema di regole che le consenta esclusivamente di competre attraverso la compressione del cmosto del lavoro.

b) se il problema non è solo il licenziamento ma anche le altre "rigidità" legislative, perchè non si chiede di rinunciare anche al resto? perchè non privare i lavoratori anche delle Reappresentanza Sindacali Aziendali? e di certe nonrme sulla sicurezza sul lavoro?

Tutto ciò porterebbe una crescita dimensionale delle nostre imprese?
e anche una aumento della ricchezza? ( quale sarebbe poi il nesso tra ricchezza e crescita dimensionale dell'impresa?)
ma di chi?
perchè un aumento della ricchezza della nazione sinceramente non vuol dire nulla, se non si guarda come tale ricchezza viene redistribuita.
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Re: Il lavoro

Messaggioda franz il 18/08/2010, 12:43

chango ha scritto:gli standard di sicurezza sul lavoro e l'obbligo di assumenre i lavoraotri svantaggiati non rientrano nello Statuto dei Lavoratori.
la crescita dimensionale implica, ad un certo punto, un aumento della regolamentazione che può scoraggiare alcuni imprenditori ad andare oltre? ovviamente.

rimangono solo due cose da chiarire:

a)se questa fosse LA motivazione la classe imprenditoriale italiana non farebbe certametne una bella figura: pur di non garantire certi standard di sicurezza sul lavoro, per es., rinucia a crescere. questo evidenzia il livello infimo di una classe imprenditoriale che non ricerca un sistema di poche regole che le permetta di competere nel migliore dei modi con i suoi concorrentie steri, ma un sistema di regole che le consenta esclusivamente di competre attraverso la compressione del cmosto del lavoro.

b) se il problema non è solo il licenziamento ma anche le altre "rigidità" legislative, perchè non si chiede di rinunciare anche al resto? perchè non privare i lavoratori anche delle Reappresentanza Sindacali Aziendali? e di certe nonrme sulla sicurezza sul lavoro?

Tutto ciò porterebbe una crescita dimensionale delle nostre imprese?
e anche una aumento della ricchezza? ( quale sarebbe poi il nesso tra ricchezza e crescita dimensionale dell'impresa?)
ma di chi?
perchè un aumento della ricchezza della nazione sinceramente non vuol dire nulla, se non si guarda come tale ricchezza viene redistribuita.

Una volta che è stata stabilita una soglia (15 dip) anche altre leggi si sono accodate usandola. E peggiorando la situazione.
Il problema non è tanto accettare o meno gli standard di sicurezza (che per me dovrebbero essere universali, visto che un lavoratore in un'azienda di 5 dip non è sub-umano ma dovrebbe essere come gli altri) ma i costi collegati, che ovviamente possono disincentivare il passagio dimensionale, se evitable.

Ribadisco che i diritti (anche sulle rappresentanze sindacali) e leggi sulla sicurezza devono essere universali, non scattare sulla base di soglie. Metti soglie e vincoli ed è chiaro che alleverai, premiandola, una classe imprenditoriele nanerottola ed infima, che cercherà scappatoie ovunque, anche comprimendo il costo del lavoro (che lordo è tra i piu' elevati OECD, in termini PPP). Per quando riguarda la "ricchezza nazionale" prima creiamola, facedo lavorare e crescere le imprese, e POI si puo' parlare di ridistrribuire. Ho l'impressione che molti statalisti della casta, che già sguazzano in quel 52% che lo stato sottrae alla crescita privata dando in cambio servizi di infimo ordine, pensino alla ridistribuzione (per loro è importante, per garantirsi il voto) e non alla crescita. Cosa tipica di un ragionamento parassitario. Se la ricchezza non si crea (ed in Italia non la si crea abbastanza) c'è ben poco da ridistribuire.
Per produrre ricchezza e lavoro bisogna eliminare le leggi, liberalizzare, togliere vincoli ai mercati.
Quali, come e quando è il problema di dettaglio ma basta essere d'accordo e si puo' discutere.

Franz
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