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A scuola di democrazia

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: A scuola di democrazia

Messaggioda franz il 13/07/2010, 16:19

soniadf ha scritto:Non vorrei sembrare pedante, ma sono sinceramente dispiaciuta quando non riesco ad essere chiara in quello che scrivo.
“le diseguaglianze economiche sono esattamente sovrapponibili alla carenza di diritti democratici" dovrebbe costituire una misura direttamente proporzionale tra diseguaglianza e carenza di diritti.
Ma non voglio insistere e chiedo scusa per la fumosità dell’espressione.
Uno stato che pesa per il 52% del PIL è certamente abnorme e probabilmente complice di comitati d’affari, quando non artefice di un vero e proprio commercio di fondi pubblici (vedi la superfetazione di posti e stipendi della Regione Sicilia).
Un buon sussidio di disoccupazione per tutti, come in tutti i paesi civili, ci costerebbe molto meno degli LSU, delle collaborazioni finte, degli spazzini e dei vigili assunti a carrellate nelle amministrazioni locali. Ma, trattandosi di un diritto, non potrebbe più essere mercanteggiato come un favore dalla politica dei padrini.

E fin qui siamo tutti d'aaccordo, almeno spero. Per quello che leggo qui la pensiamo allo stesso modo.
soniadf ha scritto:La tua ricostruzione della crisi americana, poi, mi pare abbastanza surreale. Vorrei conoscere la banca costretta a concedere un prestito che non ritenga di accordare.

Non è la mia :-) non arrivo a tanto. È quello che da piu' fonti si trova in rete. Vuoi sapere i nomi delle banche? Fannie Mae e Freddy Mac (sempipubliche o ex pubbliche) che sono state salvate e Bear Stearns, New Century Financial Corporation. Mi pare che ci sia una lunga serie di banche fallite. Erano prestiti veri, fatti alle classi povere, che avevano in cambio una casa. Poi quello che ha fatto fallire diverse banche americane è il fatto che molti proprietari con mutuo hanno cominciato a smettere di pagare le rate preferendo così lasciare le case alle banche che hanno concesso il mutuo che in questo modo si sono trovate proprietarie di case di poco valore senza la restituzione dei soldi concessi.

Questa è la prima fase. Poi la seconda (parallela) riguarda la cartolarizzazione dei debiti spazzatura (una cosa di cui Tremonti è grande esperto) ad opera di banche d'affari (come Goldman Sachs). Come? È spiegato bene qui: http://www.noisefromamerika.org/index.php/articoli/1814
Comunque è evidente che i subprime esistevano, che erano ad alto rischio. Il maggior onere è stato prodoto da due banche (agenzie) che sono a parziale controllo statale Fannie Mae e Freddy Mac e che sono state graziate (da Bush).
Leggi la wiki-scheda sui subprime (non l'ho scritta io) mi pare equilibrata.

Franz

Vedere: http://it.wikipedia.org/wiki/Subprime
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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda pierodm il 13/07/2010, 17:45

Mettiamola sul semplice.
Preoccuparsi della democrazia economica non è roba da bolscevichi o da filosofi, ma è - o dovrebbe essere - un fattore costante per i difensori dell'impresa, compresi quei liberali che, a prenderli sul serio, regrediscono sempre ai rudimenti della libera intrapresa (i "capitani coraggiosi") di chi possiede una casetta, ha un negozietto o un chiosco di gelati che i filosofi gli vogliono sottrarre, anche quando si sta parlando di una delle sette sorelle, o di una concentrazione bancaria di dimensioni continentali.
Abbiamo detto di metterla sul semplice: quindi, mi chiedo soltanto se sia possibile una società democratica nella quale risorse finanziarie, normative di legge, potere reale, potere legale, possibilità d'intervento sul mercato siano così diseguali, e dove la "crazia" - fingendo di non intervenire - fa sì che le leggi stesse siano praticabili solo da chi ha uno strapotere economico.
Gli studiosi di ecosistemi sanno bene che, per sopravvivere e prosperare, un habitat non può contemplare la coesistenza di predatori sproporzionatamente grossi rispetto alle risorse disponibili.
Infatti non è stato Baffone a inventarsi l'antitrust, o altre simili pezze, ma il sistema liberale: ma si tratta pur sempre di una pezza, facilmente aggirabile anche in posti più seri dell'Italia.
Tra l'altro, democrazia significa anche che la legge è uguale per tutti: è la stessa cosa se io faccio falire un chiosco di gelati, o il sistema bancario americano, o la Fiat, coinvolgendo milioni e milioni di persone?
Un liberale (americano) di qualche decennio fa se la prendeva con i "capitani coraggiosi", che intascavano miliardi quando le cose andavano bene, ma erano prontissimi a invocare l'aiuto dello stato e ogni forma della più bieca "crazia" quando le loro evoluzioni al trapezio li mandavano a gambe all'aria.
Siamo, più o meno, tutti adulti e un po' consumati dall'et°: per favore, litighiamo pure, ma non su chi racconta la favola più paradossale.
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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda franz il 13/07/2010, 18:06

pierodm ha scritto:Mettiamola sul semplice.
...
Gli studiosi di ecosistemi sanno bene che, per sopravvivere e prosperare, un habitat non può contemplare la coesistenza di predatori sproporzionatamente grossi rispetto alle risorse disponibili.

Verissimo ed infatti la natura non lo permette, senza inventare alcuna forma di governo, senza bisogno di politiche economiche e leggi antitrust. Si viene a creare un equilibrio natarurale tra prede e predatori; un equilibrio instabile ed oscillante, ma un equilibrio. Credo che quando i liberali classici si riferivano al mercato ed alla mano invisibile pensavano a questo. Mi pare che il tuo esempio non sia adatto a giustificare una attività di regolazione diretta. Ce ne sono altri migliori.
pierodm ha scritto:Infatti non è stato Baffone a inventarsi l'antitrust, o altre simili pezze, ma il sistema liberale: ma si tratta pur sempre di una pezza, facilmente aggirabile anche in posti più seri dell'Italia.
Tra l'altro, democrazia significa anche che la legge è uguale per tutti: è la stessa cosa se io faccio falire un chiosco di gelati, o il sistema bancario americano, o la Fiat, coinvolgendo milioni e milioni di persone?

Non ha "inventato" solo quello ma non vorrei fare la figura di quello che spiega ai ....
Sui fallimenti bisognerebbe aprire un thread a parte. perché fallisce un chiosco? perché una fabbrica di automobili?
pierodm ha scritto:Un liberale (americano) di qualche decennio fa se la prendeva con i "capitani coraggiosi", che intascavano miliardi quando le cose andavano bene, ma erano prontissimi a invocare l'aiuto dello stato e ogni forma della più bieca "crazia" quando le loro evoluzioni al trapezio li mandavano a gambe all'aria.

Se tirende felice me la prendo anche io ma devi comprendere che quanto un soggetto (lo stato) amministra il 52% della ricchezza nazionale, tutti fanno la fila per mungere la vacca. I soldi sono li' e si fa a gara per prenderli. Mi pare del tutto naturale. E non solo gli industriali, naturalmente.

Franz
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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda pierodm il 13/07/2010, 23:50

Nonostante non ci sia nulla che lo giustifichi, vedo che esiste e persiste un equivoco: che io (o Sonia) abbiamo voluto farci sostenitori di una regolazione diretta.
Un equivoco che, da parte mia, trovo assai difficile da giustificare, se non riferendomi ad un pregiudizio che scatta inesorabile simile a quello che ha fatto considerare Sonia una bolscevica solo perché ha evocato il concetto di disuguaglianza.
Anzi, direi che da molti segni sarebbe stato abbastanza facile capire che il rapporto tra democrazia politica e democrazia economica, o meglio tra democrazia e disuguaglianza, era trattato in un ambito esclusivamente o prevalentemente sociale.
Tanto per rimanere in tema, il problema non era tanto quello delle "crazie", ma dei meccanismi, delle degenerazioni, delle fenomenologie che si creano spontaneamente in un determinato sistema.
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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda franz il 14/07/2010, 8:57

pierodm ha scritto:Nonostante non ci sia nulla che lo giustifichi, vedo che esiste e persiste un equivoco: che io (o Sonia) abbiamo voluto farci sostenitori di una regolazione diretta.
Un equivoco che, da parte mia, trovo assai difficile da giustificare, se non riferendomi ad un pregiudizio che scatta inesorabile simile a quello che ha fatto considerare Sonia una bolscevica solo perché ha evocato il concetto di disuguaglianza.
Anzi, direi che da molti segni sarebbe stato abbastanza facile capire che il rapporto tra democrazia politica e democrazia economica, o meglio tra democrazia e disuguaglianza, era trattato in un ambito esclusivamente o prevalentemente sociale.
Tanto per rimanere in tema, il problema non era tanto quello delle "crazie", ma dei meccanismi, delle degenerazioni, delle fenomenologie che si creano spontaneamente in un determinato sistema.

Probabilmente nella comunicazione umana le parole (non mi pare sia una grande scoperta) hanno un peso rilevante.
Sentir parlare di "democrazia economica", termine per me nuovo (sicuramente a causa della mia ignoranza) ma che comunque qui non era mai stato usato, mi ha indotto a ragionare sul termine appena introdotto ed a cercare su Internet se per caso il termine avesse un significato a se' stante, oltre a quello desumibile dalle due singole parole. Ragionando sul termine mi è sembrato del tutto ovvio che come la democrazia politica è il governo della Polis da parte del popolo, cosi' la democrazia economica si configura come un governo dell'economia da parte del popolo. Se per Polis si intende "il tutto" l'estensione della economia è inutile, in quanto già compresa. Se per Polis invece si intende il governo politico degli affari pubblici (escludendo quelli privati) è chiaro che l'economia è esclusa. In questo caso la democrazia economica sarebbe una estensione di dominio rispetto alla tradizionale democrazia politica. Infatti a parte le regole di base (il codice civile e penale che regolano la proprietà ed i contratti che vengono usati nel mercato) e le normative antitrust, la Polis liberale non regola direttamente l'economia. Cercando su Internet ho potuto constatare inoltre che il termine è usato dai suoi sostenitori proprio nel senso di un controllo diretto dell'economia, di un suo governo al fine di otterenere alcuni risultati. Si fa riferimento (nella scheda che illustra la democrazia economica) ad una forma di socialismo e la cosa non stupisce affatto, visto che differentemente dai liberali, è la visione socialista e piu' particolarmente comunista (o bolscevica, come preferisci chiamarla) che prevede una gestione diretta del'ecconomia. Spiegato questo è del tuttto ovvio, almeno per me, che se si introduce un termine inadatto a spiegare quello che si vuole veramente dire, chi legge puo' capire altro.

Se quindi approdiamo ad un concetto di intervento democratico per migliorare le cose che non ci piacciono (degenerazioni) nella società (principalmente le diseguaglianze o le disparità) la discussione è assai piu' interessante.

Ripartendo dall'articolo proposto, penso sia meglio presentarlo, cosi' si discute sulle parole scritte da lui.

Qual è la conseguenza della diseguaglianza? Questa domanda, le implicazioni che se ne potrebbero trarre, dovrebbe salire di importanza nelle discussioni di queste settimane sulla migliore politica economica da seguire. In estrema sintesi, al momento si fronteggiano due posizioni. Una è quella degli Stati Uniti, della Francia e di economisti come Paul Krugman di Princeton. Si sostiene che sia importante continuare a sostenere la spesa pubblica per consolidare la ripresa ed evitare che vi sia una seconda recessione. La seconda posizione, seguita da Germania, Regno Unito e da economisti come Alberto Alesina di Harvard, crede al contrario che sia ormai tempo di cominciare a ridurre il deficit per evitare che alla crisi economica faccia seguito una ben più grave crisi del debito pubblico. Alcuni Paesi come l’Italia non hanno praticamente scelta. Con un debito pubblico che supera largamente il 100% del Pil, l’aggiustamento dei conti pubblici è inevitabile. Quel che non è inevitabile, tuttavia, è il modo in cui avviene questo aggiustamento, le spese che si decidono di tagliare, e le riforme che si accompagnano - o, come nel caso della manovra di Tremonti, non si accompagnano - al taglio della spesa.
Tuttavia, credo si stia largamente sottovalutando l’effetto che, sia la crisi, sia i tagli, stanno avendo sulla distribuzione del reddito. Gli scorsi quindici anni hanno visto la disuguaglianza emergere con gran forza in molte delle nostre società, ora continuerà certamente ad aumentare. Le ragioni sono evidenti: la crisi colpisce soprattutto chi perde il lavoro; questi ultimi tendono ad essere i lavoratori meno qualificati e quindi già meno benestanti; i tagli tendono ad essere regressivi e colpire maggiormente chi usa i servizi pubblici. Oltre alle cause della diseguaglianza, tuttavia, sarebbe importante riflettere sulle sue conseguenze. Gli ultimi venti anni di studi politici infatti hanno mostrato come la crescita del reddito sia una condizione fondamentale per il consolidamento dei regimi democratici. I classici del pensiero politico mettono la crescita economica e un livello non eccessivo di disuguaglianza al centro dei fattori di sostegno a una democrazia.
Al contrario, negli ultimi quindici anni, la mobilità sociale si è ridotta, non solo in Italia dove ormai è quasi assente, soprattutto negli Stati che hanno aumentato maggiormente i loro tassi di disuguaglianza. La legittimità delle nostre democrazie non si è mai poggiata solamente sul dato procedurale, sul diritto di voto e sul rispetto della legalità, ma è sempre stata sostenuta anche da risultati considerati, certo migliorabili, ma nel complesso equi. Quanta disuguaglianza sia tollerabile dalle nostre democrazie è una domanda a cui è preferibile non cercare una risposta empirica.


Da parte mia avevo già introdotto il tema qui: viewtopic.php?p=25840#p25840 e qui: viewtopic.php?p=25861#p25861
Sono due stimoli miei al dibattito fatti in contemporanea con l'articolo di Simoni (che non conoscevo) e che nascono dal fatto che in quei giorni si parlava intensamente delle risposte pubbliche da dare alla crisi.

In giornata se ho tempo aggiungo altro ma per ora mi fermerei qui.
Franz
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Disuguaglianza e mobilità sociale

Messaggioda franz il 14/07/2010, 10:57

Citando Missoni: “Gli scorsi quindici anni hanno visto la disuguaglianza emergere con gran forza in molte delle nostre società, ora continuerà certamente ad aumentare. Le ragioni sono evidenti: la crisi colpisce soprattutto chi perde il lavoro; .... Al contrario, negli ultimi quindici anni, la mobilità sociale si è ridotta, non solo in Italia dove ormai è quasi assente, soprattutto negli Stati che hanno aumentato maggiormente i loro tassi di disuguaglianza.”

Il bello dello scrivere articoli sui giornali è che non si devono dimostrare le tesi proposte e nememno citare le fonti. Chi legge tende a prendere le cose per oro colato. Indipendentemente dalla fonte giornalistica invece il sottoscritto tende a valutare criticamente cio' che legge e verificare, se possibile, la veridicità delle affermazioni. Soprattutto quelle quantitative, che sono oggettivamente calcolabili.

La disugualianza nel mondo e paese per paese (anche regione per regione) viene calcolata da tempo tramite l'indice di Gini (un matematico italiano) e ci sono studi e grafici che mostrano l'andamento nel tempo di questo indice. Devo dire che non si trova riscontro nelle affermazioni di Missoni. Se date un'occhiata qui: http://it.wikipedia.org/wiki/Coefficien ... _nel_mondo trovate mappe e grafici. Non esiste alcuna tendenza netta. In alcuni è stabile, in altri è in leggera crescita, in altri scende. Vedere il grafico http://it.wikipedia.org/wiki/File:Gini_since_WWII.svg
Il grosso dei paesi occidentali (e anche qualche emergente) è nella fascia tra .25 e .40 che è considerata ottimale. Prendendo in esame l'ultimo aggiornamento viewtopic.php?p=25840#p25840 vedrete che i dati sono sostanzialmente dove erano 10 o 20 anni fa. Sicuramente la crisi del 2008 e 2009 ha prodotto un impoverimento generale ma parliamo degli ultimi due anni, non 15. Si sono impoverito i lavoratori ma anche i capitalisti (chi in borsa ha perso il 50% del suo capitalee, perde anche la metà della sua fonte di reddito) per cui non escludo che l'indice di Gini sia sostanzialmente immutato. Tenendo conto del fatto che molti paesi di nuova costituzione hanno una sola misura e che per loro non ci sono riferimenti precedenti e che l'indice non viene calcolato ogni anno ma in media ogni 7 (spesso con criteri non omogenei) ho verificato che la disuguaglianza nel mondo è aumentata del 4% in 50 paesi e diminuita dell'8% in 57. Il risultato è stabile attorno al valore .40 con oscillazioni complessive (indice mondiale) dell'1% in 7 anni. Sono pochissimi i paesi che forniscono dati relativi al 2008 o 2009. Sul piano oggettivo quindi questo “emergere con forza” della disuguaglianza non si osserva. Casi mai si osserva emergere con forza la crescita del reddito procapite nel mondo. Si puo' benissimo contestare il PIL come indicatore di base del benessere ma per ora altri indicatori di benessere diversi (che usano formazione, salute ecc) hanno prodotto graduatorie che sono decisamente correlati e comparabili a quelle del PIL per cui tanto vale usarlo (vedere qui la trattazione dell'argomento: http://www.noisefromamerika.org/index.php/articoli/1701 ).

In buona sostanza l'aspetto che colpisce maggiormente è l'aumento del reddito dei paesi emergenti e la sostanziale tenuta della disugualianza. In fondo come dicevo un paese povero è sostanzialmente omogeneo (ha un basso indice di gini) e se riesce a far crescere il reddito procapite mantenendo quell'indice è già un successo. Per vedere come ricchezza e reddito si sono evoluti nel mondo c'è questa interessante trattazione http://www.noisefromamerika.org/index.php/articoli/1752 con grafici e le relative fonti ed approfondimenti.
Per quanto riguarda la mobilità sociale non conosco francamente studi a proposito (e come calcolarla oggettivamente) ma posso essere intuitivamente d'accordo sul fatto che ci sia relazione tra essa e la disuguaglianza. Mi pare pero' che a livello mondiale (fuori dal nostro italico ombelico) il solo emergere nell'area industrializzata di paesi come India, Brasile, Cina e Russia comporti uno sviluppo delle nuove professioni ed il passaggio da una società contadina ad una industriale avanzata, con sistemi scolastici adeguati ed una sostanzialmente accresciuta mobilità sociale.

Preso atto di questo piu' tardi inserisco alcune mie idee su come la Polis puo' intervenire per mantenere la disugualianza su limiti accettabili. Oggi tale limite è inteso tra .25 (Svezia) e .40 (USA) e se da noi (Italia= 0.32) ci siamo ci sono larghe fette del mondo (USA, CINA) troppo vicine al limite superiore cosi' come molti paesi oltre lo 0.50 (africa e sud america).

Infine si puo' affrontare il tema cardine, che è quello della scelta tra politiche di spesa o di rigore.

Franz
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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda pierodm il 14/07/2010, 16:20

In poche parole: Franz si era sbagliato, non aveva capito un tubo, ci ha spieegato il perché, ma finalmente "siamo" approdati.
Rimane in sospeso la domanda iniziale - quella che chi era approdato con il sandalino a remi aveva già tentato di affrontare - ma è inutile proseguire: l'argomento è inesorabilmente insabbiato.
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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda franz il 14/07/2010, 16:34

pierodm ha scritto:In poche parole: Franz si era sbagliato, non aveva capito un tubo, ci ha spieegato il perché, ma finalmente "siamo" approdati.
Rimane in sospeso la domanda iniziale - quella che chi era approdato con il sandalino a remi aveva già tentato di affrontare - ma è inutile proseguire: l'argomento è inesorabilmente insabbiato.

Non credo di aver detto di essermi sbagliato (piuttosto di essere stato disorientato da un termine improprio) ma se cosi' fosse sarebbe comunque un evento :-)
Se tu non vuoi proseguire, liberissimo. L'argomento "democrazia economica" in quanto tale non mi interessa e si insabbia da solo, quello del welfare e delle scelte della Polis per diminuire le disparità economiche mi interessa e lo proseguo con chi ci sta.
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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda franz il 14/07/2010, 19:38

Discutendo di disuguaglianza e povertà in questi forum avevo già presentato i risultati di alcuni studi tesi universitari tesi a capirne le origini ed i meccanisimi. Mi riferisco a questa discussione, che tra l'altro vedeva presenti gli interlocutori di oggi: viewtopic.php?p=4245#p4245

Riassumendo è stato dimostrato (in modo scientifico, tramite modelli computerizzati) che anche partendo da condizioni di massima uguaglianza, stesse abilità e stesse condizioni di partenza, qualsiasi sistema economico che si sviluppi tramite il commercio tra soggetti che producono beni (sulla base della divisione del lavoro) accumulando le risorse che poi servono per nuovi investimenti, finisce per produrre disugualianze economiche. Tutti uguali all'inizio - metti un milione di euro ciascuno - tutti diversi dopo un “tot” di tempo. La considerazione emersa è che non esiste alcun sistema economico di sviluppo che non generi disugualienaze economiche. Questo per evitare la facile scorciatoia e la perdita di tempo della ricerca di un sistema economico che non generi disuguaglianze. Prendendo atto di questo occorre capire como lo stesso sistema puo' trovare soluzioni correttive al suo interno.

Deve per forza essere solo la Polis ad intervenire, tramite risorse fiscali, per correggere le disparità? Esiste solo la mitica “ridistribuzione dei redditi”?

La causa principale delle disparità è data dal rischio negli investimenti e nella vita quotidiana. Pur partendo da una teorica parità di abilità e ricchezza, uno puo' farsi male e perdere la capacità lavorativa oppure puo' perdere la nave con il carico di grano in una tempesta, puo' perdere il raccolto con una grandinata, la fabbrica in un incendiio. Le possibilità che un evento procuri danno al singolo (lavoratore o imprenditore) sono migliaia ma colpiranno statisticamente solo alcuni di tantoin tanto. Per questo motivo pur partendo da una omogenea distribuzione della ricchezza e della capacità di fare reddito dopo alcuni anni, decenni, secoli, otterremo una crescente disparita nella distribuzione di risorse economiche. Chi non viene colpito cresce, chi è colpito subisce il colpo e rimane indietro. Se viene copito all'inizio (quando perde una nave su due) subisce un colpo piu' grave rispetto allo statto fatto 10 anni dopo (perdere una nave su dieci). In un sistema in crescita è quindi importante vedere in quale momento il danno si manifesta.

A questo problema la società ha da tempo trovato la soluzione: le assicurazioni.
http://it.wikipedia.org/wiki/Assicurazioni

Tramite un contratto di assicurazione ci si garantisce contro il verificarsi di un evento futuro e incerto (rischio), generalmente dannoso per la propria salute o patrimonio. L'assicurazione ha lo scopo precipuo di "trasformare il rischio in una spesa". Infatti attraverso la stipula di un contratto, l'assicurando "quantifica" il danno patrimoniale che esso avrebbe se l'evento garantito (il rischio) si verificasse.


Dove questo funziona bene abbiamo gli indici di Gini piu' bassi del mondo (Svezia, Norvegia, Danimarca sono nazioni non solo a lunga tradizione socieldemocratica ma anche fortemente sovra-assicurate). In pratica nel mondo ci si assicura sia contro i rischi di furto ed incendio, il commercio marittimo, la perdita di guadagno, la vita, la salute, gli infortuni, la perdita di lavoro, la pensione (anche le pensioni sono assicurazioni).

La Polis in questo caso interviene dettando le regole contrattuali delle assicurazioni (esistono da un migliaio di anni, ben prima della nascita dello stato moderno) e fornendo un sistema giuridico di giustizia per le contestazioni e le frodi. In determinati casi la Polis interviene imponendo l'obbligatorietà di certe assicurazioni (auto, pensioni, disoccupazione, infortuni sul lavoro, casa, terremoti) dando facoltà di scelta della compagnia oppure imponendo un'unica compagnia di stato. In quel caso si parla di assicurazioni sociali. Anche il sistema sanitario tedesco e di buona parte dell'europa centrale è basato su assicurazioni sociali obbligatorie. In quasi tutto il mondo, salvo rare eccezioni, il rischio di rimanere disoccupato è coperto da una assicurazione obbligatoria pagata in parti uguali dal lavoratore e dal datore di lavoro. In molti casi gli stati stessi si assicurano, cosi' che il costo per la distruzione di un'opera civile a causa di danni della natura non incida fortemente sul budget.

Solitamente la Polis interviene con i suoi fondi (fiscalità generale diretta e indiretta) solo per l'assistenza sociale agli indigenti (chi è sottto la soglia di povertà). Con l'obiettivo pero' non di avere una classe di mantenuti a vita (a meno che non lo siano per problemi medici dalla nascita) ma di far uscire al piu' presto il cittadino dalla situazione di povertà. Sto facendo ovviamente un discorso generale, ... alcune di queste cose non ci sono in Italia ed infatti il nostro indice di disuguaglianza non è proprio “svedese”.

Diciamo che questo dovrebbe bastare a mantenere basse o accettabili le disparità economiche.

Il grosso del lavoro dello stato pero' a mio avviso è sul fronte delle condizioni iniziali di partenza. La formazione, l'educazione. Questi sono compiti che i privati svolgono nei confronti degli adulti (formazione continuam) ma a mio avviso solo lo stato puo' dare condizioni omogenee di partenza ai giovani, nella fase formativa iniziale.

Considerando che in Italia lo stato dell'educazione è quello che conosciamo (sia perché la DC ha usato il comparto come feudo clientelare ed elettorale, sfasciandolo, sia perché dalla scuola non è mai emerso uno straccio di proposta di riforma ma solo opposizioni alle rioforme proposte da qualsiasi governo) e che mancano tolalmente armortizzatri socliali degni di questo nome per chi perde il lavoro, non mi meraviglia affatto che da noi in tempo di crisi le famiglie facciano fatica ad arrivare alla fine del mese ed i lavoratori fatichino ad inventarsi nuovi scenari lavorativi.

Considerando tutto questo c'è da chiedersi come mai allora, visto che il nostro stato sociale non è “svedese” abbiamo spese statali pari al 52% ed un debito pubblico pari a 115% del PIL? Probabilmente la nostra Polis (clientelare e corrotta) ha deciso di spendere verso altri settori (pensioni di anzanità – mitiche quelle di 14 anni, sei mesi, un giorno -, opere incompiute, corruzione, malaffare). Eppure molte di queste decisioni della Polis sono state democratiche (volute da gilde di lavoratori come le pensioni di anzianità) o tollerate in attesa di poter usufruire, come il clientelismo, le finte pensioni di invalidità, l'assegnazione di appalti d'oro.

Ecco che allora arriviamo a dire che è vero: c'è un nesso tra crisi della politica (di una certa politica) e situazione sociale italiana. Ma è un fatto che i sindacati, per primi NON abbiamo mai voluto una tutela assicurativa ai disoccupati (e le industrie sono state ben liete di risparmiare la loro parte di onere assicurativo) e che abbiano difeso sempre le pensioni di anzianità, che appesantiscono di 1/3 tutto il sistema previdenziale italiano, distogliendo risorse dalla vera spesa sociale, quella che puo' abbattere le disparità economiche (fondi per l'abitazione primaria, fondi per la famiglia, assistenza, ...)

Insomma siamo quello che siamo per scelte (per me sbagliate) fatte anche sinistra, mica solo dai DC, dai socialisti, dai berlusconiani o dai biechi ed italici paperon de' paperoni. Questo Missoni non lo ha spiegato, eppure penso che sotto sotto lo sappia anche lui, non soltanto noi.

Saluti,
Franz
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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda pierodm il 15/07/2010, 0:15

La democrazia economica è un concetto politico, oltre che esistenziale, che difficilmente può essere ridotto a teorema, a grafico o a colonnine di numeri: per questo, probabilmente, non interessa.
Comunque, anche gli esempi citati secondo teorema - Africa e Sud America - in un modo estremamente sintetico, in fondo rispondono bene o male alla domanda: al di sopra di una certa soglia l'eccesso di disuguaglianza svuota di significato o cancella del tutto la democrazia.
Ma quelli sono casi particolari, rispetto al mondo occidentale.
Il problema si fa duro quando si tratta di toccare i nostri sistemi consolidati, dove il concetto di disuguaglianza, di povertà e di servitù hanno una storia più complessa, e dove le forme e i riti della democrazia politica riescono a conservare più a lungo l'apparenza di vitalità e di congruità con i principi liberali.
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