da pierodm il 12/07/2010, 13:19
Ora io non credo nelle divisioni manichee e dicotomiche in santi e farabutti, fessi e furbi ... e via dicendo.
In realtà le cose sono molto piu' complesse e le divisioni possono essere non solo in due gruppi ma in tre, quattro (come quella degli stupidi , intelligenti, banditi e sprovveduti), sette, quattordici.
Il problema sta nel fatto che la politica non è stata inventata paer rappresentare i sette vizi capitali o le virtù teologali, e invce noi - da tempo, molto tempo - parliamo solo di questo, e la gente stessa parla della politica in questo modo.Ovviamente non si viene a capo di niente.
In realtà la situazione più complessa di cui all'inizio è quella della vita, della società, della grande varietà delle condizioni umane, non della politica: se così non fosse, cosa succederebbe? Avremmo il partito dei fessi, quello dei santi, quello dei farabutti, quello degli sprovveduti ...?
Però, poiché la gente - come abbiamo detto - parla di politica con criterio moralistico, di banditi, di sprovveduti, di farabutti e di santi si sente parlare, e mai di argomenti politici - a parte, eventualmente, il condono della veranda abusiva del quale qualcuno ha fatto cenno.
In ogni caso, è vero: la divisione manichea tra buoni e cattivi - sia in senso moralistico, sia in quello politico - è insufficiente.
Però l'abbiamo voluta, come una panacea: il bipolarismo, meglio ancora il bipartitismo. I quali, essendo concetti politici e non moralistici, hanno come conseguenza di ammassare dentro ciascuna parte farabutti e coglioni, sprovveduti e intelligenti, in modo da giustificare pienamente il chiacchiericcio della gente sul fatto che "sono tutti uguali", perché più o meno simile appare la varietà e la coesistenza di buoni e di cattivi in entrambe le parti.
Molto cattolicamente, la gente - quando parla di questa strana forma di politica - è perfettamente convinta di parlare sempre degli altri, sopecialmente se si tratta di coglioneria e di sprovvedutezza. Parla di classi dirigenti come se parlasse di un clero, e non della classe dirigente di una democrazia, ossia della società stessa, ossia in definitiva di parlare di sé.