pianogrande ha scritto:Domanda (ritengo provocatoria) di Franz.
"Perché non riusciamo a competere ..... ?
Dal punto di vista lavorativo io sono nato con la mitica Montecatini-Edison.
Si facevano prodotti che sapevamo e/o potevamo fare solo noi.
Il problema tecnico principale era non fermare mai gli impianti (meno possibile) perché era perdita secca di vendita.
La ME faceva ricerca.
Nella mia fabbrica c'era un centro ricerche dove lavoravano 300 persone.
La ME si prendeva il Nobel della Chimica (Natta).
Ora , la ricerca non si fa quasi più.
E' diventata un costo.
A quei tempi era fonte di ricchezza.
Per altri paesi (Franz parla, tra l'altro, della Germania) la ricerca è ancora fonte di ricchezza.
Faccio anche io una domanda: perché per noi invece è un costo?
Trovo questo intervento di Piano molto interessante, ed un ottimo indicatore della situazione italiana.
Ai tempi di Natta e della "mitica" Montecatini-Edison in Italia c'erano ottime università, e grosse industrie che facevano e stimolavano la ricerca: eravamo tra i primi nella chimica e nella fisica, ed anche per il resto andavamo abbastanza bene.
Poi, lentamente e progressivamente, c'è stata la decadenza.
Facile prendersela con la globalizzazione o col '68: questi due fenomeni non hanno toccato e non toccano solo il nostro paese, sono un fenomeno globale, e come tutti i grossi cambiamenti hanno lati positivi ed altri rischiosi.
La domanda è: perché altri paesi europei occidentali (non parliamo di quelli emergenti che hanno tutto da guadagnare) hanno saputo sfruttare questi eventi per crescere, mentre noi no?
Perché da noi, e solo da noi, la ricerca industriale si è spenta e le università sono in piena decadenza?
Penso che questo sia il fenomeno da analizzare, ed io tento la mia risposta, basata anche sulla mia esperienza di vita nel mondo dell'università e della ricerca, durata per circa mezzo secolo.
Quando ho cominciato io, negli anni sessanta, ancora era possibile far ricerca con pochi soldi basandosi sull'intuito e sulla cultura dei singoli, ma questo mondo stava finendo.
Ora la ricerca vera ed avanzata è un "business" molto costoso, richiede strumentazioni all'avanguardia molto costose e che bisogna continuamente rinnovare ed aggiornare, come va continuamente rinnovata la preparazione di chi queste strumentazioni deve usarle. Non solo, ma la ricerca nel mondo progredisce ad un ritmo cui un singolo difficilmente può tener dietro, ed infatti la ricerca ormai si fa in gruppi ampi ed affiatati, spesso composti da ricercatori di diverse parti del mondo.
A questo punto l'Italia entra in crisi.
Molto credo sia dovuto alla struttura dell'industria italiana, composta per lo più dalle famigerate "piccole e medie imprese". Le PMI non hanno né i soldi né le competenze per fare ricerca: la ricerca infatti richiede grossi investimenti, e le PMI non se la possono permettere, e nemmeno desiderano poterlo fare, non ne hanno le competenze.
Le PMI quindi non fanno ricerca, non la finanziano, e non desiderano nemmeno assumere personale altamente qualificato e portatore di innovazioni che che le PMI non hanno i soldi e la capacità di gestire.
Di conseguenza, non solo l'impresa italiana non fa ricerca (o ne fa molto poca), ma non stimola nemmeno le Università, cui chiede al massimo tecnici di buon livello. Questo porta le università a diventare sempre più autoreferenziali, con la ricerca fatta sempre più a puro scopo di carriera dentro le università stesse, con sempre meno stimoli e interazioni col resto del mondo scientifico e con la classe imprenditoriale e produttiva del paese.
Ovviamente sto estremizzando: isole felici ce ne sono, ma sono sempre meno e la situazione va sempre peggio.
Se i giovani qualificati non trovano posti adeguati alle loro qualifiche, ovvio che lo studio (quindi la scuola e le università) perdono di fascino. Il livello degli insegnanti peggiora, e in un circolo vizioso, la nostra lungimirante "classe dirigente" trova opportuno tagliare le spese e gli investimenti proprio in quel settore.
Come se ne esce? Questo è il problema.
La Fiata è diventata una multinazionale, e se decide di investire in Italia questo può essere un bel passo sulla buona strada. Bisogna però vedere se la richiesta di Marchionne di "riduzione dei diritti" corrisponde davvero ad un rilancio dell'industria avanzata nel nostro paese, e non solo ad una richiesta di mano d'opera a basso costo.
annalu