Perdere la Turchia per sostenere Israele? Obama al bivioPerdere la Turchia per sostenere Israele? In una impasse la politica mediorientale di Obama.
Sul Washington Post analisi in prima “La relazione Usa-Israele era già complicata, lo diventa ancora di più”.
Stretto sentiero per Obama tra la volontà di “engage” Netanyahu (nella foto), tenendolo agganciato nel dialogo, e quella di spezzare l’embargo israeliano su Gaza come condizione per rilanciare il processo di pace.
Ma una crisi Washington-Ankara era nell’aria già da tempo: l’iniziativa turca per offrire all’Iran un accordo sul trasferimento dell’uranio fu giudicata quasi alla stregua di un tradimento da parte della diplomazia americana. Quella mediazione turca (appoggiata anche dal Brasile) intervenne a ritardare e complicare l’azione degli Usa per il varo delle sanzioni contro il programma nucleare iraniano.
http://rampini.blogautore.repubblica.it ... -al-bivio/Obama tra Israele e TurchiaLa tragedia di Gaza turba le relazioni bilaterali israelo-americane che già attaversavano una delle fasi più critiche della loro storia. Con una complicazione aggiuntiva: in prima linea nel condannare Israele c’è la Turchia, altro partner essenziale per gli Stati Uniti. (nella foto il Consiglio di sicurezza Onu convocato ieri su richiesta della Turchia)
Era proprio per ricucire la tradizionale alleanza con Israele, superare le tensioni recenti, e rilanciare il processo di pace in Medio Oriente, che Obama aspettava Netanyahu oggi alla Casa Bianca. Un incontro programmato dal capo dello staff presidenziale, Rahm Emanuel, in occasione di una sua visita privata in Israele la scorsa settimana.
Ma ieri Netanyahu, che si trovava in Canada, ha chiamato Obama per annullare l’appuntamento. Una telefonata tesa, in cui il premier israeliano ha dato in prima persona la sua versione dei fatti: “I nostri soldati sono stati aggrediti, presi a mazzate, accoltellati, ci sono anche resoconti di spari. Dovevano difendersi”.
Obama ha espresso “comprensione per le ragioni che hanno spinto Netanyahu ad annullare la visita” e rientrare d’urgenza nel suo paese. Quindi Obama ha sottolineato “l’importanza di conoscere tutti i fatti e le circostanze di questo tragico incidente, il più presto possibile”.
Una reazione misurata, subito riecheggiata da quella del democratico John Kerry, presidente della commissione Esteri al Senato: “Al momento non è chiaro cosa sia accaduto, occorre una investigazione approfondita. L’incidente tragico sottolinea la necessità di risolvere il conflitto tra Israele e i palestinesi”. Sono toni ben diversi dalle reazioni europee, per non parlare di quelle della Turchia o del mondo arabo.
Non è solo una differenza dovuta a riflessi condizionati, alla relazione privilegiata con Israele, che da decenni è un punto fermo della politica estera americana. In realtà con Obama quella relazione ha traversato una tempesta, dopo “l’incidente” degli insediamenti di coloni autorizzati proprio nel bel mezzo di una visita del vicepresidente Joe Biden in Israele.
Ancora di recente il disagio nella relazione bilaterale ha avuto un prezzo per Israele. Al termine della conferenza Onu sulla revisione del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, pochi giorni fa l’America ha accettato che le conclusioni contenessero un riferimento esplicito a Israele, sulla necessità che aderisca a quel trattato (Israele non ha mai confermato di avere cento testate nucleari, come ritengono la maggior parte degli esperti internazionali).
Ma Obama si era accorto che la freddezza non stava conducendo da nessuna parte. La situazione in Medio Oriente è in pieno stallo, se non peggio. Questo penalizza Washington nelle sue relazioni con tutto il mondo arabo, e naturalmente rende più complicata la gestione del dossier nucleare iraniano.
Perciò la voglia di ripartire voltando pagina era forte. La tragedia di Gaza ha isolato Netanyahu ma è stata anche percepita come una nefasta battuta d’arresto per il rilancio del ruolo di mediazione di Obama in Medio Oriente.
Adesso il presidente americano vedrà per primo il leader palestinese Mahmoud Abbas, alla Casa Bianca il 9 giugno. Ma alla Casa Bianca preme non perdere il suo effetto-leva sul governo Netanyahu. Anche per non scoprire il fianco a nuove accuse dalla destra repubblicana, pronta a imbastire un processo ai presunti fallimenti di Obama nella sua politica del dialogo con il mondo islamico.
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“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)