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Rischio fallimento: Grecia e non solo Grecia

Discussioni su quanto avviene su questo piccolo-grande pianeta. Temi della guerra e della pace, dell'ambiente e dell'economia globale.

Rischio fallimento: Grecia e non solo Grecia

Messaggioda franz il 02/04/2010, 22:51

Il piano europeo di salvataggio della Grecia in caso di emergenza continua ad essere bocciato dai mercati. La sua mancanza di credibilità è testimoniata dai rendimenti dei titoli governativi decennali della repubblica ellenica, che dal 25 marzo sono saliti di 24 punti base, toccando mercoledì scorso il livello di 6,522%, ossia il massimo dell'ultimo mese. La differenza tra i rendimenti dei titoli tedeschi e di quelli greci si è allargata a 347 punti base, ai massimi dallo scorso 25 febbraio. Sono aumentati pure i premi da pagare contro il rischio di insolvenza delle obbligazioni statali greche. Ciò dimostra che nessuno crede a questo accordo.

L'obiettivo del piano europeo era quello di spingere al ribasso i tassi di interesse che il Governo di Atene è costretto a pagare per rifinanziarsi. Le rassicurazioni europee di un intervento per evitare l'insolvenza della Grecia non hanno avuto alcun effetto. Le ragioni sono semplici. Innanzitutto il piano è stato concepito in modo tale da non poter mai essere varato, poiché occorre ottenere l'unanimità dei Paesi europei e accertare che la Grecia abbia esaurito tutte le possibilità alternative di raccogliere dei fondi.

Ora in un'economia di mercato le difficoltà di rifinanziamento non si traducono in una chiusura dell'accesso al mercato dei capitali, ma in un aumento dei tassi di interesse richiesti. Ma l'aumento del costo greco di rifinanziamento non è stato contemplato nell'accordo europeo, sebbene Atene debba raccogliere nei prossimi due mesi circa 20 miliardi di euro ed entro la fine dell'anno una cinquantina di miliardi. L'asta avvenuta lunedì scorso ha messo in luce che il Governo greco è riuscito a raccogliere 5 miliardi di euro ad un tasso del 5,9%.

A questi tassi la Grecia è destinata a diventare un buco nero o ad essere la versione statale dei cittadini americani di modeste condizioni che avevano acceso le famose ipoteche subprime. Infatti se il tasso di crescita di un'economia è inferiore ai rendimenti dei suoi titoli statali, il rapporto tra il suo debito e il PIL aumenta. Se questo divario si prolunga nel tempo, il debitore non riesce più ad uscire dalla trappola del debito in cui si è infilato. Questa appare la situazione attuale della Grecia dopo aver accertato che il piano europeo di salvataggio non è riuscito a fermare l'aumento dei tassi sui titoli statali greci, rendendo disperata la situazione di Atene.

A complicarla ulteriormente ha contribuito pure la decisione dell'agenzia di rating Moody's di abbassare la valutazione delle cinque maggiori banche greche, con la motivazione che la situazione economica del Paese si sta deteriorando e che quindi questi istituti dovranno far fronte a un aumento delle insolvenze sui crediti. L'effetto è semplice: l'aumento del costo di rifinanziarsi sui mercati accentuerà ulteriormente la dipendenza delle banche greche dai finanziamenti della Banca centrale europea, che nel primo trimestre di quest'anno sono già aumentati da 40 a 65 miliardi di euro. Ma al peggio non vi è limite. Moody's ha infatti abbassato anche il rating su circa 20 miliardi di prodotti strutturati emessi dalle banche greche, chiedendo un aumento della dotazione di capitale per la copertura di questi rischi.

Il risultato è che tali istituti dovranno raccogliere fondi aggiuntivi. La crisi greca è dunque ben lungi dall'essere risolta e continua a pesare anche sul tasso di cambio dell'euro, che ieri ha toccato un nuovo minimo storico nei confronti del franco svizzero. Sulla moneta europea non pe sano unicamente la crisi greca e il peggioramento delle condizioni di salute di Portogallo e di Spagna, ma anche il costo enorme che dovrà sostenere lo Stato irlandese per risanare le sue banche. Dublino ha infatti annunciato che dovrà stanziare la maggior parte dei 32 miliardi di euro necessari per ricapitalizzare i suoi istituti di credito.

Questa cifra corrisponde al 20% del PIL irlandese ed è molto superiore alle previsioni che circolavano fino a poco tempo fa. Questa voragine è emersa dopo che Dublino ha creato una «bad bank» con lo scopo di rilevare i prestiti in sofferenza (soprattutto nel settore immobiliare) e i diversi tipi di titoli tossici detenuti dalle banche del Paese. Queste attività sono state comprate a prezzi di mercato dalla «bad bank», che si chiama National Asset Management Agency, creando un buco di 32 mi liardi di euro nei bilanci delle banche private, che ora verranno ricapitalizzate dallo Stato irlandese il quale ne diventerà l'azionista di maggioranza.

L'entità di queste cifre indica le proporzioni dei buchi che sono ancora nascosti nei bilanci delle banche europee ed americane e soprattutto dà un'idea delle sorprese che giungeranno dalle banche spagnole alle prese con un crollo del mercato immobiliare di proporzioni ben maggiori di quello irlandese.
In conclusione, la crisi greca non è stata alleviata dal piano europeo. Anzi, di giorno in giorno diventa sempre più grave. E Atene è in realtà solo il pesce pilota che ci sta indicando quanto è destinato ad emergere in Portogallo, Irlanda e Spagna. La crisi dell'euro è dunque lungi dall'essere terminata.
Alfonso Tuor / http://www.cdt.ch
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LA VIA D'USCITA SARÀ L'IPERINFLAZIONE

Messaggioda franz il 09/04/2010, 7:30

Alcuni commentatori sono convinti che la crisi economica internazionale sfocerà in deflazione, e portano come esempio l'esperienza della Grande depressione americana degli anni '30 o gli ultimi vent'anni del Giappone. Non sono di quest'opinione.

Il sistema monetario attuale confonde moneta e credito finanziario. Da qui nasce sia il rischio di deflazione, sia quello di inflazione. Si considerino 1.000 franchi in monete o banconote depositati su un conto bancario: questi possono a loro volta essere prestati a terzi (per esempio per un credito ipotecario), benché il risparmiatore creda di avere sempre 1.000 franchi a disposizione. In effetti, egli può spendere questi soldi con carte di pagamento, e pure ritirarli in contanti quando vuole. Ammettendo per semplicità il 5% di riserve obbligatorie (in realtà sono ancor meno), la banca presta 950 franchi e ne tiene 50 come riserve. Solo in questo primo passaggio creditizio la moneta complessiva (cioè la somma di tutti i conti correnti) passa da 1.000 a 1.950 franchi.

Questo meccanismo, chiamato tecnicamente moltiplicatore monetario, aumenta artificialmente la disponibilità di credito. Progetti non finanziabili con i semplici risparmi privati diventano per miracolo possibili. Poste le riserve al 5%, i 1.000 franchi del nostro esempio ne generano complessivamente 20.000 (cioè 1.000/5%) che se fatti circolare spingono al rialzo i prezzi. In una situazione del genere tuttavia, prima o poi, alcuni investitori necessariamente si scontreranno con il duro muro della realtà e non riusciranno a concludere i propri progetti. Il loro fallimento porterà in senso inverso alla distruzione della catena creditizia di cui so pra, da cui la sparizione di moneta (nel caso limite si torna da 20.000 franchi agli iniziali 1.000) e la famosa deflazione da contrazione di debito: sono gli anni '30 negli USA (la massa monetaria si dimezzò dal '29 al '33).

Questa è l'essenza della teoria austriaca del ciclo congiunturale, sviluppata da Mises, poi da Hayek e Rothbard, capace di spiegare sia il boom inflazionistico sia lo scoppio deflazionistico. I keynesiani amano invece credere che la recessione avvenga per repentini cambi di umore degli investitori (i famosi animal spirits), mentre i nipotini di Milton Friedman (come Ben Bernanke, capo della FED) sostengono che, se la banca centrale garantisse l'erogazione di credito creato dal nulla, l'economia riuscirebbe, come Kenneth Lester di Capitan Futuro, ad attraversare pure il muro della realtà e continuare il viaggio nel Bengodi.

Nel suo libro The holy grail of macroeconomics, Richard C. Koo ha recentemente spiegato le dinamiche di quella che chiama una recessione di bilancio, nella quale le aziende usano tutti i loro ricavi netti per ridurre i propri alti debiti. È il caso attuale, quello giapponese e quello degli anni '30. Tutto ciò ci porterebbe effettivamente a sostenere la tesi del grave rischio di deflazione. Tuttavia, ed ecco la novità, riconoscendo il rischio sistemico legato all'idea del too big to fail, gli Stati occidentali stanno inghiottendo tutti i cibi tossici che avrebbero coerentemente fatto fallire banche ed assicurazioni. Lo Stato, ci insegnano, non può fallire.

Ma se è vero che la realtà delle cose rimane determinante, questo calmiere potrà solo avere effetti temporanei. Lo Stato può accollare ad altre persone i costi dello scoppio di bolle finan ziarie, può incassare lui il colpo, ma non può impedire il danno. A furia di inghiottire pillole velenose e di dilapidare risorse nell'insaziabile welfare state, presto anche gli Stati occidentali potrebbero fallire. La realtà non conosce partito. Qualora il rischio di fallimento sovrano diventi manifesto, si presenterebbero due possibilità. Nel primo caso lo Stato fallirebbe: chiunque possedesse titoli di Stato incasserebbe il colpo, se caso fallendo e causando fallimenti a cascata che distruggono moneta contabile come sopra descritto. Avremmo la maggior deflazione mai vista.

È il motivo per cui non si vuole il fallimento di Grecia, Portogallo, Spagna, Italia o Irlanda, che affonderebbero le banche commerciali (svizzere, tedesche, inglesi,…) che possiedono i buoni del tesoro di quei Paesi disastrati. Oppure, disponendo lui solo del diritto di emettere moneta, uno Stato sull'orlo del fallimento ripagherebbe i propri debiti con soldi freschi di stampa (la cosa vale anche per l'area euro). Come insegna Peter Bernholz dell'Università di Basilea in Monetary Regimes and Inflation, storicamente è proprio quanto successo per finanziare i debiti di Luigi XVI e della Rivoluzione francese (assignats), o quelli della prima guerra mondiale (iperinflazione sotto Weimar), solo per citare due eminenti esempi. In sostanza, l'ora del giudizio arriverà quando le attuali tensioni sfoceranno nei fallimenti dei debiti sovrani. La via d'uscita storica sarà allora l'iperinflazione, non la deflazione. Come per la Grecia, la colpa sarà data agli speculatori selvaggi.
PAOLO PAMINI
Economista, ETHZ e Liberales Institut
www.cdt.ch 08.04.2010
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"I titoli greci sono spazzatura"

Messaggioda franz il 27/04/2010, 21:10

Grecia declassata a livello "spazzatura"
Portogallo trema sotto il peso del debito

Standard & Poor's porta il rating ellenico a "junk" e taglia di due livelli quello portoghese. Riflessi immediati sulle Borse europee, che chiudono bruciando 160 miliardi. Trichet: "fuori questione" ipotesi default. Vertice straordinario Eurozona entro il 10 maggio. Moody's rassicura l'Italia. Domani giornata cruciale per le decisioni della Germania


ATENE - Standard & Poor's taglia il rating della Grecia a livello "junk" (spazzatura). L'agenzia internazionale ha declassato il rating a lungo termine ellenico a BB+ da BBB+ con outlook negativo e quello nel breve termine a B da A-2. Il governo di Atene non ci sta e reagisce affermando che il declassamento "non riflette i dati reali dell'economia greca" né i progressi per contenere il deficit. In una dichiarazione il ministero delle Finanze assicura che un accordo con Ue e Fmi sull'attivazione degli aiuti "è questione di giorni" e che subito dopo saranno messi a disposizione i fondi che consentiranno alla Grecia di continuare a far fronte senza problemi alle sue necessità finanziarie. Dal canto suo, il Fondo monetario internazionale fa presente che la situazione greca è "insostenibile" senza aiuti.

Dopo il declassamento del rating, Standard & Poor's, in teleconferenza, afferma che la Bce dovrebbe comunque continuare ad accettare i titoli greci come collaterale a fronte dei prestiti. La Banca centrale europea attualmente accetta bond con rating BBB-, prima della crisi il livello di merito minimo richiesto era A-.

L'agenzia di rating mette nel mirino anche il Portogallo, rating sovrano giù di due livelli, da A+ ad A-, appena al di sopra del livello "spazzatura", mantenendo le prospettive negative. Secondo S&P, il deficit di Lisbona potrebbe toccare quest'anno l'8,5% del Pil. Tagliato anche il rating nel breve termine ad A-2 da A-1. La decisione dell'agenzia sul Portogallo è il risultato del modo insoddisfacente in cui vengono gestiti l'elevato debito pubblico e la debolezza dell'economia. In particolare, Lisbona "avrà difficoltà a stabilizzare il suo rapporto debito/Pil" nell'orizzonte di previsione che guarda al 2013 e "le finanze pubbliche rimangono deboli, nonostante le riforme messe in campo dal governo negli ultimi anni", spiega l'agenzia internazionale di rating.


La mossa di S&P è la conferma di come il Portogallo potrebbe essere il prossimo Paese dell'eurozona, dopo la Grecia, che rischia di finire schiacciato dalla crisi. Sulla situazione italiana, arrivano invece le rassicurazioni di Moody's: nessun pericolo di downgrade per l'Italia "il cui outlook (a livello AA2, ndr) è stabile e non ha nessuna review in corso", spiega l'agenzia.

Le notizie hanno immediati riflessi sui mercati. Mentre il presidente della Bce Jean Claude Trichet dichiara di considerare "fuori questione" un default sui titoli di stato della Grecia o di un altro Paese dell'eurozona, la Borsa di Atene perde oltre il 6% e Lisbona il 5,36%. Negativi anche tutti gli altri listini europei che "bruciano" circa 160 miliardi di euro. Poco dopo la chiusura delle Borse è stato annunciato un vertice straordinario dell'area euro, che si terrà al più tardi il 10 maggio, per sbloccare il prestito da 30 miliardi a favore della Grecia.

La situazione della Grecia, intanto, è resa sempre più difficile dalle proteste interne per le durissime misure finanziarie adottate dal governo e dalla diffidenza dei partner europei, ancora divisi sulla questione degli aiuti finanziari. Ma senza gli aiuti dell'Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale, ha detto oggi il ministro delle Finanze di Atene, Georges Papaconstantinou, Atene ormai non può più accedere ai mercati finanziari per ottenere i fondi necessari a ripagare il debito in scadenza il 19 maggio. A causa delle difficoltà finanziarie della Grecia il differenziale di rendimento tra i decennali greci e gli analoghi titoli tedeschi, è volato a 700,2 punti base, il massimo da 12 anni.

La Banca centrale di Atene, che contava su una contrazione del Pil del 2% nel 2010, ritiene che la recessione possa essere maggiore del previsto. Una riduzione del Prodotto interno lordo superiore a quella calcolata "è molto probabile alle condizioni attuali, caratterizzate da un alto livello di incertezza", ha affermato il governatore della Banca di Grecia, Georges Provopoulos, spiegando che il calo del Pil è avvenuto principalmente "a causa del forte crollo degli investimenti, ma anche dei consumi privati e delle esportazioni". Il deficit della Grecia potrebbe inoltre salire al 14% per il 2009, sostiene Papacostantinou. Il deficit greco era stimato al 12,9% per l'anno scorso, ma qualche giorno fa Eurostat ha corretto al rialzo la stima portandolo al 13,6%.

I negoziati fra il ministero delle Finanze e funzionari della Commissione europea, Bce e Fmi per definire le condizioni finanziarie ed economiche per l'attivazione del meccanismo di sostegno sono cominciati a metà della settimana scorsa. Il principale ostacolo per la concessione degli aiuti rimane la Germania: tra l'altro oggi un sondaggio effettuato tra i tedeschi ha confermato che le perplessità del governo di Berlino sono condivise dalla popolazione, il 57% degli intervistati si oppone a un possibile prestito di emergenza di 45 miliardi di euro alla Grecia da parte del Fondo Monetario Internazionale e l'Unione europea, mentre solo il 33% ritiene che sia una misura appropriata. La Germania dovrebbe contribuire con 8,4 miliardi di euro. Domani la cancelliera tedesca Angela Merkel sarà impegnata in una serie di incontri sulla questione. E il ministero delle Finanze sta lavorando "in modo febbrile" a un disegno di legge per la prevista partecipazione della Germania al piano di aiuti.

Intanto il primo ministro greco George Papandreou ha lanciato un appello al Paese e in particolare ai sindacati, dal momento che da giorni sono in atto proteste dei lavoratori contro le misure anticrisi assunte dal governo: "L'ora della verità è arrivata, il governo deve affrontare la più grave crisi che il Paese abbia conosciuto dopo il ritorno della democrazia nel 1974", ha detto il premier, sottolineando come sia un "dovere patriottico" salvare la Grecia dalla bancarotta. Papandreou ha assicurato che verrà condotta "una lotta di liberazione per uscire dalla tutela dell'Ue e dell'Fmi", ma intanto gli aiuti sono necessari. I sindacati contestano invece la gestione della crisi da parte del governo: un nuovo sciopero generale è stato convocato dai sindacati greci del settore privato Gsee e pubblico Adedy contro le misure di austerità per il prossimo 5 maggio.

(27 aprile 2010)
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Re: Rischio fallimento: Grecia e non solo Grecia

Messaggioda franz il 28/04/2010, 18:46

Crisi greca: dietro il crollo corruzione, debito ed evasione

Evasione fiscale, debito pubblico, disuguaglianze profonde nascoste tra le pieghe di un sistema inestricabile. Sono queste le radici del dissesto finanziario greco


ATENE - Una corruzione che viene da lontano, una grande economia sommersa che alimenta un'enorme evasione fiscale, un debito pubblico cresciuto ai ritmi delle clientele politiche, disuguaglianze profonde nascoste tra le pieghe di un sistema inestricabile: queste sono le radici del dissesto finanziario greco che il premier Giorgio Papandreou si é impegnato a estirpare per poter sanare e ricostruire.

Il dissesto finanziario è emerso alla fine del 2009 in seguito alla manipolazione dei dati macroeconomici da parte del precedente governo di centrodestra del premier Costas Karamanlis. In poco più di un anno il deficit è passato dal 6% del Pil al 13,6% e toccherà o supererà, secondo le ultime previsioni ufficiali, il 14%. La rivelazione di questo gigantesco 'buco' ha provocato una profonda crisi di credibilità spaventando i mercati. E l'impreparazione e indeterminatezza con cui l'Europa ha risposto alla sfida, insieme alle incertezze di Atene, hanno incoraggiato una gigantesca speculazione che ha causato una crisi mai vista in un paese della zona euro. Crisi resa possibile dalle antiche debolezze e contraddizioni del 'Sistema Grecia'.

"Dobbiamo costruire, con l'aiuto di tutti i cittadini, un paese nuovo, moderno e più giusto" ha detto e ripetuto Papandreou annunciando una "guerra senza quartiere" alla corruzione, una vera e propria "rivoluzione" fiscale, per lottare contro l'evasione e ridistribuire la ricchezza, un drastico ridimensionamento delle spese statali, cominciando dalla burocrazia, e aprendo il dibattito sulla riforma pensionistica.

La corruzione costa alla Grecia l'8% del Pil, ovvero 20 miliardi di euro l'anno, ha denunciato il premier. Un fenomeno fatto di grandi tangenti, come quelle degli scandali Siemens o immobiliare del Monte Athos, ma anche di una rete capillare di complicità individuali. Secondo Transparency International, nel 2009 le famiglie hanno pagato 'bustarelle' per un valore di 1355 euro ciascuna.

L'economia sommersa in Grecia, secondo L'Ocse è superiore al 25% del Pil ed è proporzionalmente la più vasta dell'Europa occidentale. A paragone quella dell'Italia è intorno al 20%, quelle di Francia, Germania e Gran Bretagna fra il 13% e il 16%. Di tale sommerso si nutre l'evasione fiscale.

L'evasione fiscale è ampia e si calcola che un quarto delle tasse dovute non vengano pagate in virtù della corruzione dei funzionari delle imposte. I proventi della tassazione sui redditi girano intorno al 4,7% contro un dato medio europeo dell'8%. Si calcola che il fenomeno costi 15 miliardi di euro, la metà del bilancio statale. Meno di 5000 contribuenti, su 11 milioni di abitanti, dichiarano redditi superiori a 100.000 euro e solo 2000 denunciano più di 250.000 euro. E mentre i proventi della tasse sono scesi in Grecia negli ultimi anni, le spese dello stato sono aumentate gonfiando il debito pubblico.

Il debito pubblico in rapporto alla crescita e" il più grande dell'Ue: supera il 120% del Pil. Malgrado il piano di stabilità, è destinato a crescere, secondo quanto ha detto il governatore della Banca di Grecia Giorgio Provopoulos, per raggiungere il 130% nei prossimi anni. Un debito servito anche ad alimentare le clientele nel settore pubblico. Un sistema che a causa della crisi non riesce più a nascondere profonde disuguaglianze sociali che possono destabilizzare gli stessi sforzi per sanare il dissesto con profondi tagli della spesa e riforme.

Disuguaglianze sociali sono caratterizzate dall'estrema ricchezza di un'elite da una parte e dall'altra dal resto della popolazione il cui reddito per capita è statisticamente alto, a 29.000 dollari, ma con un 20% dei Greci che vive sotto la soglia della povertà o in gran numero con salari e pensioni poco più della metà della media europea. Diseguaglianze e discrepanze rese evidenti dai disordini sociali esplosi a fine 2008 in seguito all'uccisione di un quindicenne da parte della polizia. E ora approfondite da un disastro finanziario che collassa una situazione economica il cui braccio produttivo è fatto eminentemente di servizi, commercio e costruzioni, settori tutti duramente feriti dalla crisi globale.

ATS
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Re: Rischio fallimento: Grecia e non solo Grecia

Messaggioda franz il 28/04/2010, 18:48

Ieri il declassamento di Grecia e Portogallo. Oggi quello della Spagna.
Il SUD dell'europa è in crisi?


Papandreou all'Europa: «L'Ue agisca per fermare l'incendio»
Grecia, l'appello di Trichet:
«La Germania decida in fretta»

Il governatore della Bce a Berlino per sbloccare il prestito ad Atene. Intanto S&P abbassa il rating della Spagna

MILANO - Pressing di Ue e Bce su Berlino per gli aiuti alla Grecia: il presidente della Commissione Ue, Jose Manuel Barroso, assicura che l'Unione europea e la Banca centrale europea sono «determinate a garantire la stabilità» dell'Eurozona e quindi gli aiuti alla Grecia arriveranno. Il governatore della Bce, Jean-Claude Trichet, invita la Germania a «decidere in fretta». Trichet è volato a Berlino insieme al direttore generale dell'Fmi Dominique Strauss-Kahn. «Sono pienamente fiducioso che avremo una buona conclusione e che tutte le decisioni saranno prese», ha aggiunto Trichet, secondo il quale «i negoziati ad Atene saranno conclusi in pochi giorni. E quel negoziato è la chiave di tutto». «Ogni giorno perso è un giorno in cui la situazione peggiora e peggiora» ha detto invece Strauss-Khan per il quale «è in gioco la fiducia nell'eurozona».

CONTRIBUTI FMI - Il Fondo monetario internazionale potrebbe erogare ad Atene contributi supplementari per 10 miliardi di euro, sotto forma di un prestito triennale, nel timore che il pacchetto da 45 miliardi già deliberato non riesca a riportare sotto controllo la situazione del debito pubblico di Atene . Lo scrive il 'Financial Times' riportando fonti ufficiali e bancarie di Washington e Atene. Il contributo supplementare andrebbe ad aggiungersi ai 15 miliardi di euro che il Fondo si è già impegnato ad erogare.

BOCCIATA ANCHE LA SPAGNA - Ad aggravare il clima di incertezza nei Paesi dell'euro, arriva però la notizia che Standard & Poor's ha tagliato il merito di credito della Spagna portandolo ad 'AA' dal precedente 'AA+'. Lo comunica in una nota l'agenzia di rating. Le prospettive sul rating spagnolo - aggiunge S&P - sono «negative». Martedì era già stato declassato il Portogallo. Si rinforza insomma la paura di contagio.

FRONTE POLITICO- Le attenzioni, al momento, sono concentrate soprattutto sulla crisi greca. Anche il presidente americano, Barack Obama, sta monitorando la situazione, dopo aver espresso «forte preoccupazione». Sul fronte politico l'ostacolo più grosso a un rapido intervento di ristrutturazione del debito greco attraverso prestiti a tassi più bassi di quelli di mercato da parte dei paesi della zona euro e dell'Fmi, rimane la posizione della Germania, contraria a finanziare Atene senza ulteriori, pesanti impegni sul fronte della spesa pubblica oltre al pacchetto di misure già votato dal Parlamento greco. Misure però che, secondo molti analisti, rischiano di deprimere ulteriormente la già fragile economia ellenica. La Germania si trova però ad affrontare le elezioni ed ha un'opinione pubblica in larga parte contraria a finanziare il debito greco. Così una riunione dell'Eurozona è stata fissata solo per il 10 maggio, il giorno dopo le elezioni tedesche. Ma occorre far presto, visto che il 19 maggio vanno a scadenza titoli greci per 9 miliardi di euro. Berlino però, dopo il colloquio con Trichet e Strauss-Khan, sembra pronta a dare una mano. Se i negoziati con Atene avranno successo, il governo tedesco è pronto ad adottare un disegno di legge per autorizzare la partecipazione della Germania al piano di aiuti. Lo ha detto a Berlino il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble. Secondo l'agenzia Dow Jones il governo tedesco chiederà al parlamento l'approvazione di aiuti alla Grecia fino a 8,4 miliardi nel 2010 e per un ulteriore ammontare non specificato nel 2011 e nel 2012. I dettagli del progetto di legge, compresi gli importi, saranno definiti domenica quando la Grecia dovrebbe terminare i negoziati col Fmi e la Commissione Europea sul piano triennale di riduzione dell'indebitamento. Il ministro Shaeuble ha spiegato che venerdì i gruppi parlamentari discuteranno la bozza di legge e lunedì il provvedimento dovrebbe essere pronto per l'apoprovazione. Nel frattempo ad Atene Fmi, Bce e commissione Ue dovranno ultimare i dettagli dell'intesa sul programma di aiuti con il governo greco.

IL PUNTO SULLA CRISI ELLENICA - La crisi greca continua però ad aggravarsi. Per la prima volta da quando esiste l'euro oggi il rendimento dei tassi dei titoli di Stato di un paese dell'Eurozona ha superato l'11%. Si tratta dei titoli di stato greci a 10 anni che, tra l'altro, hanno fatto registrare oggi un differenziale rispetto ai titoli di stato tedeschi fino a 847 punti base dai 690 di martedì, livello massimo dal 1996. Nel frattempo il rendimento del biennale ellenico è schizzato al 24,2% (15% nella vigilia), segnando un differenziale rispetto al titolo tedesco di 2.340 punti base (con un incremento di oltre 1.400 punti base rispetto alla chiusura). Il Cds (la sigla sta per credit default swap ed è un accordo tra un acquirente ed un venditore per mezzo del quale il compratore paga un premio periodico a fronte di un pagamento da parte del venditore in occasione di un evento relativo ad un credito, come ad esempio il fallimento del debitore, cui il contratto è riferito) sui cinque anni della Grecia si è allargato a 865,4 punti base dagli 823,8 di martedì sempre rispetto all'equivalente tedesco. Un valore che, spiegano gli esperti, riconosce ormai al 50,3% la probabilità di un fallimento della Grecia. Per contrastare possibili speculazioni la Consob greca ha vietato per due mesi le vendite allo scoperto alla Borsa di Atene. La decisione fa seguito al declassamento deciso martedì dall'agenzia di rating S&P che ha tagliato il rating della Grecia a «junk» (spazzatura). La vendita allo scoperto è un'operazione finanziaria che consiste nella vendita, effettuata nei confronti di uno o più soggetti, di titoli non direttamente posseduti dal venditore.

PAPANDREOU
- Il premier Giorgio Papandreou ha quindi invitato l'Europa ad assumersi «le sue responsabilità» per evitare che «l'incendio si propaghi». Parlando al consiglio dei ministri il premier ha assicurato che per quanto la riguarda, la Grecia «si è assunta la sua parte di responsabilità storica per sè e per l'Europa».

COMMISSIONE UE - Intanto da Tokyo parla il presidente della Commissione Ue Barroso secondo il quale gli Stati dell'Ue, la Commissione europea e la Bce sono «determinati a garantire la stabilità della zona euro». «Al momento non vediamo rischi di contagio»: ha detto invece il portavoce del commissario Ue agli Affari Economici e Monetari, Olli Rehn, a proposito delle preoccupazione che la crisi greca possa diffondersi all'interno di Eurolandia. «Non si può assolutamente paragonare - ha sottolineato il portavoce - la situazione della Grecia con quella di altri Paesi della zona Euro». In particolare, il portavoce ha evidenziato la differenza tra la situazione greca e quella del Portogallo, spiegando come Lisbona abbia presentato un programma di risanamento dei conti «concreto, ambizioso e realizzabile» dicendosi anche disposto a valutare il varo eventuale di nuove misure correttive. «Nessun ritardo o rinvio. Anzi, al contrario, stiamo accelerando»: aveva detto in precedenza Rehn, a proposito dei tempi per attivare il piano di aiuti in favore della Grecia. «Il lavoro va avanti - aveva spiegato il portavoce - e dall'ultimo venerdì la sequenza che ci porterà all'attivazione del meccanismo di aiuti ha subito un'accelerazione. Non c'è nessuno che sta aspettando niente, e il lavoro sarà finalizzato nei prossimi giorni».

Redazione online
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Re: Rischio fallimento: Grecia e non solo Grecia

Messaggioda franz il 29/04/2010, 8:22

Secondo la BRI (banca dei regolamenti internazionali) il debito greco è soprattutto in carico a Francia (75 miliardi di dollari) e Germania (45 miliardi di dollari). Sono quindi le banche ed i cittadini di questi due paesi a soffrire in caso di fallimento. L'Italia è esposta per 7,8 miliardi di dollari e la Svizzera per 3,6. In precedenza (dic 2009) la Svizzera risultava esposta per una sessantina di milardi. Secondo informazioni fornite all'agenzia Reuters da ambienti finanziari, la ragione della drastica contrazione dell'esposizione svizzera va ricercata nel trasferimento nel Lussemburgo alla fine dell'anno passato della sede della holding greca EFG Group. Tale società, che fa capo all'armatore e finanziere greco Spiros Latsis, controlla la banca ellenica EFG; visto che la holding aveva sede a Ginevra, i crediti di tale istituto figuravano nella statistica sulla Svizzera. Complessivamente l'esposizione delle banche europee sul debito della Grecia è di 235,346 miliardi di dollari. Le Banche Usa sono esposte per altri 14,125 miliardi dollari.

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E ora gli speculatori puntano sul fallimento dei PIGS

Messaggioda franz il 29/04/2010, 10:50

L'ANALISI
E ora gli speculatori di Wall Street
puntano sul fallimento dei "Pigs"

Le banche d'affari soffiano sul fuoco dell'euro-panico: "Quei paesi sono come la Lehman". Il ministero della Giustizia Usa: gli hedge fund hanno concordato un attacco all'euro. Obama in contatto con i governi europei: "Siamo preoccupati"
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE FEDERICO RAMPINI

E ora gli speculatori di Wall Street puntano sul fallimento dei "Pigs"
NEW YORK - Il contagio della crisi greca all'intera eurozona "preoccupa il presidente Obama". La Casa Bianca "segue gli sviluppi da vicino e si tiene in stretto contatto con i governi europei". Non è solo la frana dell'euro che preoccupa Obama. Washington osserva con nervosismo il ritorno dei "soliti noti", i giganti della speculazione che da Wall Street muovono all'attacco dell'eurozona.

È un copione sinistro, che alla Casa Bianca ricorda le tappe del collasso finanziario del 2008-2009. Sono cambiati i bersagli, stavolta sono gli Stati sovrani invece delle banche. Ma i metodi, gli strumenti, i registi della grande offensiva anti-euro sono figure fin troppo familiari. Ci sono le stesse agenzie di rating che nell'ultima crisi ebbero un ruolo perverso. Furono Standard & Poor's, Moody's e Fitch ad incollare le etichette prestigiose "Aaa" sui titoli tossici legati ai mutui subprime. Incompetenza, conflitto d'interessi, la loro reputazione ne uscì distrutta. Quegli scandali non hanno impedito che Standard & Poor's sia all'origine dell'ultima crisi di sfiducia, per il declassamento della Spagna (colpa delle regole europee: la Bce può acquistare titoli del debito pubblico solo se raggiungono un rating minimo).

Soffiano sul fuoco dell'euro-panico le grandi banche di Wall Street, noncuranti delle indagini avviate contro di loro dal Congresso, dalla Sec e dalla Federal Reserve. Gli economisti di Goldman Sachs e JP Morgan Chase ieri hanno lanciato in perfetta concordia un annuncio tremendo: altro che i 45 miliardi di euro inizialmente previsti per il salvataggio della Grecia, "ora gli aiuti necessari per arrestare il contagio in altri paesi mediterranei sono di almeno 600 miliardi di euro". Si tratta, sottolineano i due colossi bancari di Wall Street, di "una cifra superiore al fondo Tarp (700 miliardi di dollari) varato nell'autunno 2008 dall'allora segretario al Tesoro Usa, Hank Paulson, per salvare il sistema finanziario da un collasso mortale". L'economista Philip Lane vede nella Grecia, nel Portogallo e nella Spagna "gli equivalenti odierni di Bear Stearns e Lehman Brothers", le due banche fallite nel 2008. Il paragone fa paura perché i due istituti individualmente avevano dimensioni "gestibili", ma il contagio della paura rischiò di travolgere tutti gli altri. Tornano in primo piano i titoli derivati chiamati "credit default swaps" (Cds). In apparenza sono contratti assicurativi, per proteggersi dal rischio del fallimento di un debitore. In realtà hanno assunto vita propria come formidabili strumenti speculativi, consentono di scommettere sulle bancarotte per guadagnarci. Hanno un effetto moltiplicatore, che si vede all'opera in queste ore. "Occhio alle banche europee - avverte JP Morgan - perché gli istituti tedeschi, francesi, olandesi e belgi più esposti verso l'Europa mediterranea possono a loro volta essere coinvolti nelle perdite, quindi diventare meno solidi".

Un'inchiesta del Department of Justice accusa i più importanti hedge fund (Soros, Paulson, Grenlight, Sac capital) di aver concordato un attacco simultaneo all'euro, in una cena segreta l'8 febbraio a Wall Street. Il giorno dopo, 9 febbraio, al Chicago Mercantile Exchange i contratti futures che scommettevano su un tracollo dell'euro erano schizzati oltre 54.000, un record storico. Con Goldman Sachs e Barclays in buona vista nelle cronache su quelle grandi manovre. Il club dei grandi banchieri, anche se accusati di frode dalla Sec come il chief executive di Goldman Lloyd Blankfein, continua ad avere un potere d'influenza. Indica la tendenza, si trascina dietro il mercato. Il fondo Pimco, il più grande investitore privato del mondo in titoli di Stato, ha sospeso ogni acquisto di titoli greci e sta considerando "l'abbandono di tutta l'Europa periferica". Colossi industriali tradizionali come la Coca Cola, corrono a proteggersi contro una frana dell'euro, e così facendo usano gli stessi strumenti speculativi con cui gli hedge fund accelerano quella caduta. Payden & Rygel, gestore di 50 miliardi di fondi pensione californiani, ha svenduto titoli di Stato europei e comprato derivati per lucrare sulla svalutazione dell'euro.

Perfino i piccoli risparmiatori sono trascinati in questo tsunami: è aumentato del 57% il numero di clienti individuali che acquistano "option" valutarie per puntare contro l'euro. Il colpo finale, secondo il Wall Street Journal, "è quello che verrà se le stesse banche centrali cominciano a mollare l'euro per limitare le perdite". Se la Fed, la banca centrale cinese e giapponese dovessero ridurre le loro riserve in euro "il prossimo scivolone sarà a quota 1,20 sul dollaro". E' lo scenario che ha in mente l'Ocse quando avverte: "Siamo ben oltre il pericolo del contagio. Il contagio c'è già stato. Questo è il virus Ebola. Quando ce l'hai non ti resta che amputarti una gamba per sopravvivere". L'amputazione, in questo caso, è l'uscita dall'Eurozona dei paesi più deboli. Uno scenario che a Wall Street ha molti fautori.

(29 aprile 2010)
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Re: E ora gli speculatori puntano sul fallimento dei PIGS

Messaggioda franz il 29/04/2010, 11:10

In apparenza sono contratti assicurativi, per proteggersi dal rischio del fallimento di un debitore. In realtà hanno assunto vita propria come formidabili strumenti speculativi, consentono di scommettere sulle bancarotte per guadagnarci. Hanno un effetto moltiplicatore, che si vede all'opera in queste ore.

Vorrei sentire il parere di Trilogy, che di questi temi se ne intende molto piu' di me ma intanto dico la mia.
Il possessore di titoli tossici o di titoli spazzatura dovrebbe avere la naturale tendenza a vendere questa roba fintanto che ha un valore. Ma oltre un certo limite non puo' piu' farlo, perché nessuno compra la spazzatura. Ecco che nell'impossibilità di vendere, l'unica alternativa è assicurarsi contro il rischio del fallimento (della banca, dell'azienda, del fondo sovrano) ed è ovvio che ci sia una certa corsa all'accaparramento di queste assicurazioni ("credit default swaps") perché il loro costo aumenta con il rischio di fallimento del fondo. Questo innesca tuttavia una sorta di profezia che si autoavvera.

La responsabilità principale tuttavia è di chi porta la propria impresa (banca o nazione) al fallimento, arrivando al punto di non ritorno in cui la situazione precipita rapidamente. Chi ha comprato titoli greci (e portoghesi, spagnoli, italiani) cerca di tutelarsi e se puo' farlo solo scommettendo contro è perché in questo modo perde meno soldi di quanti ne perderebbe senza tutelarsi. Chi ricorda il dafault dell'Argentina (2 gennaio 2002) ed i Tango Bonds? Si parla di 142 miliardi di dollari. Chi ha aderito alla ristrutturazione del debito, prenderà massimo il 30% entro il 2038.

Insomma, non dimentichiamo che la responsabilità di un fallimento è di chi gestisce quella attività, management o governo che sia. Nel caso di una azienda quando i debiti superano la metà del capitale si portano i libri in tribunale.
Questo per evitare che il fallimento di un soggetto provochi il fallimento a catena dei debitori e da li' parta una crisi.
Per le regole di sana economia lo stesso concetto vale anche per gli stati, ed infatti si è stabilito un limite del 60% per il rapporto tra debiti accumulati e prodotto interno lordo. Ricordiamoci che la Grecia ha il 120%! È colpa dei greci o degli speculatori? Anche noi abbiamo un rapporto debito PIL prossimo a quello greco come anche il portogallo e la spagna sono in rapida salita verso quota 100. Altri grossi paesi europei come Germania e Francia sono prossimi a quota 80%.

E' evidente che l'aumentare dl rischio di fallimenti a catena dei fondi sovrani destabilizza l'Euro ed è chiaro che una tendenza potrebbe essere quella di lasciar crescere l'inflazione, per pagare con carta senza valore i debiti arretrati.
Ma questo sarebbe per caso piu' corretto ed etico (bruciando i risparmi di tutti) rispetto a chi si assicura contro i fallimenti?

Franz
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Re: Rischio fallimento: Grecia e non solo Grecia

Messaggioda franz il 04/05/2010, 17:20

Mentre i greci dimostrano scioperando che non hanno capito la situazione e che sono molto lontani dalle vette di pensiero razionale e speculativo di 2500 anni fa, le borse di tutto mondo sono sotto pressione e l'auro si indebolisce sempre di più.
Ecco un'interessante analisi, sul principale quotidiano ticinese.
Franz


EUROLANDIA SULL'ORLO DELLA CRISI
DI ALFONSO TUOR
Un costoso cerotto che permette di guadagnare tempo, ma che non risolve nulla. È questa la lettura dell'imponente piano dell'Europa e del Fondo monetario internazionale approvato domenica scorsa dall'Eurogruppo. Il vero obiettivo dei 110 miliardi di euro, che verranno dati ad Atene nell'arco di tre anni, non è infatti la soluzione dei problemi fiscali della Grecia. Gli scopi sono altri: salvare l'euro, cercando di limitare il contagio della crisi greca agli altri Paesi, e salvare i grandi gruppi bancari europei fortemente esposti nei confronti dell'economia ellenica.

Cerchiamo di suffragare queste affermazioni. Il piano, che prevede anche uno stanziamento di 10 miliardi di euro a sostegno delle banche greche, si propone di rinviare di tre anni la dichiarazione di in­solvenza della Grecia e la conseguente ristrutturazione del suo debito pubblico, che può articolarsi in un forzoso allungamento delle scadenze delle ob­bligazioni greche già in circolazione e/o in una decurtazione del valore facciale delle stesse. Lo spettro da allontanare era appunto la ristrutturazione del debito greco, che avrebbe comportato un aumento dei tassi per i Paesi deboli dell'Europa (dato che si sarebbe diffusa l'aspettativa che anch'essi avrebbero dovuto prima o poi seguire la via indicata da Atene), pesanti perdite per le principali banche europee (che avrebbero dovuto contabilizzare la decurtazione del valore dei titoli statali greci), perdite consistenti anche della Banca centrale europea e infine molto probabilmente una crisi del sistema bancario greco. Vedendo quanto sarebbe potuto accadere, si è indotti a giungere alla conclusione: meno male che è stato varato questo piano da 110 miliardi di euro.

Ma la realtà è diversa. È altamente improbabile che questo megacerotto riesca ad evitare una crisi fiscale in Portogallo e in Spagna (anche se il debito pubblico di Madrid è nettamente inferiore), mentre è certo che rinvia soltanto la dichiarazione di insolvenza della Grecia. I motivi sono presto detti. Il piano prevede una riduzione del disavanzo pubblico greco dal 14 al 9% del PIL quest'anno e dal 9 al 5% l'anno prossimo. Questa terapia choc si tradurrà - a detta degli stessi esperti dell'UE e dell'FMI - in una contrazione dell'economia greca del 4% quest'anno e di un altro 1% l'anno prossimo (ma probabilmente la recessione sarà più profonda).

Questa cura da cavallo dovrebbe permettere alla Grecia di ridurre il deficit statale al 3% del PIL nel 2014 e di stabilizzare il livello del debito pubblico al 140/150% a partire dal 2013. Allora, dopo tre anni di lacrime e sangue e dopo aver esaurito i 110 miliardi di euro di aiuti, la Grecia si ritroverà ancora nella condizione di dover ristrutturare il proprio debito. Infatti se in questi tre anni la Grecia non riuscirà a ridurre in modo drastico prezzi e salari per essere più competitiva e ad aumentare il suo basso tasso di risparmio, continuare ad onorare un debito pubblico di tali dimensioni costringerebbe il Paese ad una lunga stagnazione economica e la popolazione a continui sacrifici.

Se la crisi greca è solo temporaneamente congelata, non è certo che lo sia anche quella di Portogallo e Spagna, i due Paesi che nelle ultime settimane hanno registrato un declassamento della valutazione del loro debito e soprattutto un aumento dei tassi richiesti dal mercato per rifinanziarsi. La prolungata stagnazione dell'economia portoghese e la recessione spagnola, che si combina con un crollo del mercato immobiliare, inducono a presumere che la tregua sia solo momentanea, anche perché questi Paesi soffrono di una pesante perdita di competitività. Del resto, i segnali di pericolo si moltiplicano. Ad esempio, le due grandi banche spagnole (Santander e BBVA) hanno aumentato i tassi sui risparmi per raccogliere capitali che costano sempre di più sul mercato interbancario e monetario.

Queste decisioni di solito precedono le tempe ste. Vi è un dato supplementare che complica la situazione: appare difficile che la Germania partecipi ad un'operazione di salvataggio di un altro Paese di Eurolandia, anche perché le somme necessarie sarebbero di dimensioni tali (è stato stimato che per salvare Portogallo, Spagna, Irlanda e Italia occorrerebbero più di 1.000 miliardi di euro) da rimettere in discussione la credibilità della stessa Germania. Dunque per Portogallo e Spagna il salvataggio della Grecia dà solo un sospiro di sollievo.
Altrettanto vale per i grandi gruppi bancari europei, nonostante il nuovo aiuto accordato dalla Banca centrale europea la quale ha annunciato che continuerà ad accettare come pegno i titoli statali greci sebbene questi ultimi siano valutati dalle agenzie di rating al rango di obbligazioni spazzatura. Continua pertanto ad essere assicurato l'accesso degli istituti europei ai finanziamenti della banca centrale.

Questa misura, che contraddice le regole della BCE, è un'altra conferma del precario stato di salute del sistema bancario europeo. Una debolezza emersa chiaramente negli scorsi giorni, quando si sono rivissuti i peggiori momenti della recente crisi finanziaria con una parziale chiusura del mercato interbancario, ossia con una sfiducia diffusa che ha indotto di nuovo le banche a non prestarsi più i soldi.

In conclusione, la crisi di Eurolandia è solo agli inizi. Il salvataggio della Grecia può essere paragonato a quello della Bear & Stearns effettuato dalla Federal Reserve insieme alla JP Morgan nella primavera del 2008. Allora si disse che il sistema finanziario aveva dimostrato di avere i mezzi per poter superare una grave crisi di una primaria banca di Wall Street. Come tutti sanno, queste professioni di ottimismo si erano rivelate totalmente infondate. Infatti nel settembre dello stesso anno, circa cinque mesi dopo, la crisi finanziaria raggiunse il suo apice con il fallimento della Lehman Brothers e con il collasso delle maggiori banche occidentali. Tutto induce a ritenere che la storia possa ripetersi.
http://www.cdt.ch 04.05.2010
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Re: Rischio fallimento: Grecia e non solo Grecia

Messaggioda pianogrande il 04/05/2010, 23:53

Spendere, truccare i conti, non combattere l'evasione fiscale.
La Grecia li ha tutti questi requisiti per fallire.
L'Italia ne ha, almeno, due.
E se dovessimo scoprire che ha anche il terzo?
Fotti il sistema. Studia.
pianogrande
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