Il piano europeo di salvataggio della Grecia in caso di emergenza continua ad essere bocciato dai mercati. La sua mancanza di credibilità è testimoniata dai rendimenti dei titoli governativi decennali della repubblica ellenica, che dal 25 marzo sono saliti di 24 punti base, toccando mercoledì scorso il livello di 6,522%, ossia il massimo dell'ultimo mese. La differenza tra i rendimenti dei titoli tedeschi e di quelli greci si è allargata a 347 punti base, ai massimi dallo scorso 25 febbraio. Sono aumentati pure i premi da pagare contro il rischio di insolvenza delle obbligazioni statali greche. Ciò dimostra che nessuno crede a questo accordo.
L'obiettivo del piano europeo era quello di spingere al ribasso i tassi di interesse che il Governo di Atene è costretto a pagare per rifinanziarsi. Le rassicurazioni europee di un intervento per evitare l'insolvenza della Grecia non hanno avuto alcun effetto. Le ragioni sono semplici. Innanzitutto il piano è stato concepito in modo tale da non poter mai essere varato, poiché occorre ottenere l'unanimità dei Paesi europei e accertare che la Grecia abbia esaurito tutte le possibilità alternative di raccogliere dei fondi.
Ora in un'economia di mercato le difficoltà di rifinanziamento non si traducono in una chiusura dell'accesso al mercato dei capitali, ma in un aumento dei tassi di interesse richiesti. Ma l'aumento del costo greco di rifinanziamento non è stato contemplato nell'accordo europeo, sebbene Atene debba raccogliere nei prossimi due mesi circa 20 miliardi di euro ed entro la fine dell'anno una cinquantina di miliardi. L'asta avvenuta lunedì scorso ha messo in luce che il Governo greco è riuscito a raccogliere 5 miliardi di euro ad un tasso del 5,9%.
A questi tassi la Grecia è destinata a diventare un buco nero o ad essere la versione statale dei cittadini americani di modeste condizioni che avevano acceso le famose ipoteche subprime. Infatti se il tasso di crescita di un'economia è inferiore ai rendimenti dei suoi titoli statali, il rapporto tra il suo debito e il PIL aumenta. Se questo divario si prolunga nel tempo, il debitore non riesce più ad uscire dalla trappola del debito in cui si è infilato. Questa appare la situazione attuale della Grecia dopo aver accertato che il piano europeo di salvataggio non è riuscito a fermare l'aumento dei tassi sui titoli statali greci, rendendo disperata la situazione di Atene.
A complicarla ulteriormente ha contribuito pure la decisione dell'agenzia di rating Moody's di abbassare la valutazione delle cinque maggiori banche greche, con la motivazione che la situazione economica del Paese si sta deteriorando e che quindi questi istituti dovranno far fronte a un aumento delle insolvenze sui crediti. L'effetto è semplice: l'aumento del costo di rifinanziarsi sui mercati accentuerà ulteriormente la dipendenza delle banche greche dai finanziamenti della Banca centrale europea, che nel primo trimestre di quest'anno sono già aumentati da 40 a 65 miliardi di euro. Ma al peggio non vi è limite. Moody's ha infatti abbassato anche il rating su circa 20 miliardi di prodotti strutturati emessi dalle banche greche, chiedendo un aumento della dotazione di capitale per la copertura di questi rischi.
Il risultato è che tali istituti dovranno raccogliere fondi aggiuntivi. La crisi greca è dunque ben lungi dall'essere risolta e continua a pesare anche sul tasso di cambio dell'euro, che ieri ha toccato un nuovo minimo storico nei confronti del franco svizzero. Sulla moneta europea non pe sano unicamente la crisi greca e il peggioramento delle condizioni di salute di Portogallo e di Spagna, ma anche il costo enorme che dovrà sostenere lo Stato irlandese per risanare le sue banche. Dublino ha infatti annunciato che dovrà stanziare la maggior parte dei 32 miliardi di euro necessari per ricapitalizzare i suoi istituti di credito.
Questa cifra corrisponde al 20% del PIL irlandese ed è molto superiore alle previsioni che circolavano fino a poco tempo fa. Questa voragine è emersa dopo che Dublino ha creato una «bad bank» con lo scopo di rilevare i prestiti in sofferenza (soprattutto nel settore immobiliare) e i diversi tipi di titoli tossici detenuti dalle banche del Paese. Queste attività sono state comprate a prezzi di mercato dalla «bad bank», che si chiama National Asset Management Agency, creando un buco di 32 mi liardi di euro nei bilanci delle banche private, che ora verranno ricapitalizzate dallo Stato irlandese il quale ne diventerà l'azionista di maggioranza.
L'entità di queste cifre indica le proporzioni dei buchi che sono ancora nascosti nei bilanci delle banche europee ed americane e soprattutto dà un'idea delle sorprese che giungeranno dalle banche spagnole alle prese con un crollo del mercato immobiliare di proporzioni ben maggiori di quello irlandese.
In conclusione, la crisi greca non è stata alleviata dal piano europeo. Anzi, di giorno in giorno diventa sempre più grave. E Atene è in realtà solo il pesce pilota che ci sta indicando quanto è destinato ad emergere in Portogallo, Irlanda e Spagna. La crisi dell'euro è dunque lungi dall'essere terminata.
Alfonso Tuor / http://www.cdt.ch