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Semipresidenzialismo alla francese

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Semipresidenzialismo alla francese

Messaggioda ranvit il 06/04/2010, 12:21

E SULLA GIUSTIZIA: «ELIMINARE L'OBBLIGATORIETÀ DELL'AZIONE PENALE»
«Semipresidenzialismo alla francese
e subito il taglio dei parlamentari»
Maroni: Bossi candidato sindaco a Milano. E facciamo un pensierino anche a Napoli...

http://www.corriere.it/politica/10_apri ... aabe.shtml

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Molto bene....
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Semipresidenzialismo alla francese

Messaggioda ranvit il 06/04/2010, 12:33

Oggi alla cena di Arcore si parlerà
anche del successore di Luca Zaia
UGO MAGRI
ROMA
Sulla premessa (vera o falsa non importa) che la Lega ha stravinto le elezioni al Nord, e il Pdl invece le ha straperse, Bossi getterà lo spadone sulla bilancia. In amicizia, per carità, perché lui e Berlusconi hanno giurato a vicenda di non litigare mai più. Però ci sono un paio di questioni in sospeso che riguardano il governo e la politica di qui al 2013. Due questioni su cui la Lega vuole parole chiare già stasera, quando Silvio e Umberto si siederanno a tavola.

Anzitutto, il ministero delle Politiche agricole. Chi vive in città non si rende conto di che peso abbia, e quanti voti muova, specie in Padania. Ora lì c’è Zaia, del Carroccio, che però è stato eletto governatore in Veneto. Dovrà mollarlo. E nel «do ut des» con il Piemonte, ceduto alla Lega, quel dicastero tornerà al Pdl. In teoria ci sarebbe Galan, spodestato proprio da Zaia. Ma Galan pensa di meritare ben altro. E poi la Lega gli rimprovera di avere sparso veleni, ha consegnato a Berlusconi un dossier di interviste e discorsi dove (tolta l’accusa di sbranare i bambini) Galan imputa al Carroccio la qualunque. Per cui, una volta accomodati a cena, Bossi dirà al premier: «Noi rinunciamo all’Agricoltura, d’accordo; ma chi dei vostri sarà ministro dopo Zaia, lo decidiamo noi». Quel «qualcuno» nella testa del Senatùr ha nome e cognome, si tratta di Enzo Ghigo che i leghisti considerano amico fedele. Se Berlusconi darà l’okay, al Nord passerà il messaggio che va avanti chi è gradito alla Lega, e chi non lo è viene punito duro.

Qui può nascere il mugugno, i dirigenti Pdl si sentiranno sacrificati, piangeranno calde lacrime col Capo, i finiani ne profitteranno per chiedere fermezza verso il Carroccio. Ma al dunque, fra il prendere e il lasciare, si può scommettere per cosa opteranno i «berluscones». Che spargono voci incontrollate, tipo quella di Bossi deciso a reclamare qui e subito la poltrona di vice-premier per Calderoli, in modo da sancire il diverso equilibrio nel centrodestra: ipotesi che Berlusconi aveva già soppesato un anno e mezzo fa ma poi dovette abbandonare perché i vice-premier sarebbero stati due, e nel Pdl si sarebbe scatenata la rissa tra i pretendenti.

Calderoli, tra parentesi, mira più in alto: vorrebbe tracciare la rotta sulle riforme istituzionali. Ed è l’altra questione che si toccherà stasera ad Arcore, politicamente insidiosa. Bossi ricorderà al Cavaliere che ministro delle riforme, fino a prova contraria, è ancora lui. E che sua intenzione sarebbe di esercitare la delega dando credito a Calderoli. Il quale, a quel punto, tirerà fuori di tasca dei fogli con su scritta la grande riforma targata Lega: federalismo, si capisce, bilanciato dal semi-presidenzialismo alla francese. In pratica, un Capo dello Stato coi vasti poteri di Sarkozy, poi si vedrà se eletto a turno unico o a doppio turno (sistema preferito dalla sinistra italiana). Calderoli spera in questo modo di agganciare il Pd e di mettere il federalismo in cassaforte. Berlusconi verrà lusingato: «Caro Silvio, con il sistema francese potrai salire al Colle dopo Napolitano...». Se il Cavaliere non le desse retta, la Lega sarebbe pronta a tutto. Perfino a presentare in modo autonomo la sua proposta. E non sarebbe un bel segnale per la tenuta del governo.

Anche qui, però: se il progetto Calderoli va avanti, il Pdl rischia di apparire l’ennesima volta a traino. Un vagone eternamente agganciato alla «locomotiva Lega». Ecco perché il gruppo dirigente berlusconiano sta lavorando a una «proposta complessiva» sulle riforme che verrà depositata in Parlamento la prossima settimana. Già domani (nell’attesa dell’incontro chiarificatore tra il Cavaliere e Fini che ancora risulta da fissare) si riunirà l’ufficio di presidenza. Che batterà un colpo sulle riforme per dire: oltre alla Lega, esistiamo anche noi.


http://www.lastampa.it/redazione/cmsSez ... girata.asp
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Re: Semipresidenzialismo alla francese

Messaggioda ranvit il 06/04/2010, 12:37

Il Pd punta a tagliare lo stipendio ai politici

Studio segreto in vista della diminuzione degli eletti
CARLO BERTINI
ROMA
Dalla notte di martedì 30 marzo, cioè dal giorno dopo le elezioni regionali, il rebus che affligge i vertici del Pd è se convenga o meno contrapporre una proposta organica di riforme al pacchetto che la maggioranza metterà a punto per sfidare l’opposizione. Un rebus con molte variabili in campo che verrà sciolto sabato 17 aprile dalla direzione del partito, convocata dal segretario per soppesare il rischio bluff, «perché ora il problema è capire se il centrodestra le riforme le vuole fare davvero. E un confronto è possibile solo se funziona il Parlamento».

Ma intanto, sottotraccia, in attesa di aggredire il nodo delle modifiche costituzionali, un primo tema che registra un lavorio di dirigenti e tecnici di primo piano del Pd e che mette d’accordo le varie anime del partito è quello che Bersani ha ribattezzato «una Maastricht dei costi della politica»: una proposta di riforma che punti innanzitutto a ridurre gli stipendi dei parlamentari del 20-30% in meno rispetto alle retribuzioni attuali, pari a circa 5.400 euro netti di indennità mensile, a cui si sommano 4 mila euro di diaria più 4.200 euro di spese per il rapporto con i collegi e altri rimborsi di viaggio per gli eletti che devono raggiungere la capitale.

Una proposta che servirebbe anche a dare un primo segnale concreto della volontà dei «Democrats» di non sottovalutare l’insofferenza degli italiani verso il Palazzo, confermata dalla lettura dei dati sull’astensione in crescita e sul successo delle liste dei “grillini”. «Prendiamo quattro Paesi paragonabili al nostro - ha detto Bersani pochi giorni prima del voto - e vediamo stipendi dei parlamentari e tutto il resto», perché in gioco c'è «la legittimazione della politica».
Già da qualche mese, il segretario aveva affidato a Gabriele Albonetti, uno dei tre questori della Camera, esperto della materia, la “mission” di studiare i sistemi retributivi dei parlamentari di alcuni paesi europei simili all’Italia per elaborare una proposta di legge che individui una soglia di remunerazione, mixata ad una serie di benefit obbligati, meno indigesta alla pubblica opinione. In queste settimane il lavoro è andato avanti e il Pd vorrebbe arrivare a farne una prima bandiera da sventolare, magari in coincidenza con l’apertura del grande cantiere delle riforme.


Il numero due del Pd, Enrico Letta, in un’intervista uscita domenica sul Sole 24 Ore, indicava quattro punti chiave che dovrebbero ispirare un pacchetto di riforme: premier forte, nuova legge elettorale, una sola Camera e riduzione dei parlamentari. E su quest’ultimo tema, uno dei primi fronti da aprire è appunto quello degli stipendi degli onorevoli. «Dobbiamo smetterla - spiega Letta - di essere il paese con le retribuzioni più elevate per deputati e senatori e dobbiamo allinearci alla media dei paesi europei. Certo nessuno immagina di rapportarsi ai colleghi lettoni o lussemburghesi, ma ai paesi più simili a noi sì».

La questione non è semplice e si rischia la facile demagogia, basta infatti addentrarsi nella giungla di benefit concessi agli onorevoli oltre confine per vedere che anche loro non se la passano male. «Una delle voci su cui lavorare - chiarisce però Letta - sono i soldi per gli assistenti parlamentari che devono essere condizionati alla formula adottata a Bruxelles per gli europarlamentari: chi vuole indica un modello contrattuale con cui regolarizzare un suo assistente, ma bisogna evitare quanto avviene in Italia, dove chi non assume un collaboratore intasca lo stesso 4 mila euro di rimborso».

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Re: Semipresidenzialismo alla francese

Messaggioda Robyn il 07/04/2010, 8:32

Esistono le sedi istituzionali per fare le riforme che sono il parlamento le commissioni etc.Invece si organizzano gli incontri ad Arcore come lo fù per la baita di montagna del pasticciato scempio di riforma istituzionale bocciato.Arcore è la nuova baita.Berlusconi si comporta come se fosse il padrone del pianeta Ciao Robyn
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Re: Semipresidenzialismo alla francese

Messaggioda Stefano'62 il 07/04/2010, 11:36

Anche Hitler faceva i "summit" nel suo fortino personale.
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Re: Semipresidenzialismo alla francese

Messaggioda pianogrande il 07/04/2010, 12:18

Ridurre il numero dei parlamentari senza che i cittadini possano decidere chi eleggere (preferenze ed altre forme di espressione e di controllo) non fa altro che facilitare il compito del dittatore che, semre di più, potrà usare il parlamento come ufficio timbratura.
Se un giorno (puta caso) dovessimo avere una finta opposizione, l'amatissimo leader sarebbe agevolato anche nello stabilire la lista dei suoi candidati.
L'attuale opposizione (opposizione vera, per carità!) non può non dare priorità assoluta ed irrinunciabile al controllo popolare (democratico, se preferite) sulle liste dei candidati.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: Semipresidenzialismo alla francese

Messaggioda ranvit il 07/04/2010, 13:21

da lastampa.it :

IL VERTICE DI ARCORE
Bossi al premier: "Via alle riforme ma con larghe intese"

Bossi: "Adesso l'arbitro sono io"
I leghisti vogliono evitare il rischio di un altro referendum. Cresce nel Pdl l’insofferenza verso i diktat degli alleati
UGO MAGRI
ROMA
Le cene di Arcore sono tutte uguali, chi le immagina come consigli di amministrazione è fuori pista. L’alta politica si alterna alle barzellette, un po’ si scherza un po’ si dice sul serio fino a notte fonda, quando su Bossi cala il sonno e quello che è rimasto in sospeso viene rinviato alla prossima volta, «tanto caro Umberto non c’è fretta, ogni lunedì ci si vede...». Anche ieri, identico copione. La Lega si è presentata in massa a Villa San Martino (c’era perfino Renzo, figlio del Senatùr) per mandare avanti le riforme e spingere Ghigo anziché Galan sulla poltrona di ministro all’Agricoltura, oggi occupata da Zaia. Clima ottimo, figurarsi, tanto più che le Regionali sono andate di lusso. Ma esito interlocutorio.

Calderoli ha consegnato la sua bozza di nuova Costituzione. Sono mesi che ci lavora, è imperniata su federalismo e presidenzialismo in salsa francese. Più ancora dei contenuti, per lui conta il metodo, sul quale giura «abbiamo trovato la quadra»: la Lega punta sulle larghe intese perché eviterebbe volentieri di sbattere contro l’ostacolo referendario (nel 2006 fu letale). Nel negoziato dunque coinvolgerebbe il Pd, lo adescherebbe con riforme gradite. Il Cavaliere è scettico, poco ci crede, però non vuole urtare Fini (probabilmente si parleranno domani) e tantomeno Bossi, che su questo la pensa come il presidente della Camera. «Strada facendo vedremo, adesso è prematuro», prende tempo Berlusconi.

Sul ministero, invece, gran discussione. Il premier difende Galan a spada tratta, nessuna voglia di mollarlo al suo destino, insiste per nominarlo ministro al posto di Zaia. Teme che l’ex governatore del Veneto possa fargli danno dentro il partito. Ma soprattutto, Berlusconi non può dare troppo l’impressione di piegarsi ai calcoli della Lega. Sotto questo aspetto, svarione tattico di Maroni, che proprio ieri se n’è uscito sul «Corsera» con un’intervista dove sventola alta la bandiera del Carroccio cui rivendica la guida delle riforme. Detta così, un ceffone in faccia al Pdl nel momento meno indicato, con l’Ufficio di presidenza convocato per oggi e il Cavaliere obbligato a tranquillizzare i suoi facendo apparecchiare pure per i tre coordinatori nazionali (Bondi, Verdini, La Russa) che in origine non erano invitati alla cena.

Insomma, l’affondo pubblico di Maroni ha avuto l’effetto di rendere ardua l’operazione-Ghigo. Non solo. In privato Berlusconi s’è mostrato arrabbiatissimo. E ha dato il via libera a quanti, dentro il partito, volevano replicare al ministro dell’Interno. Uno spunto l’ha fornito senza volere il web-magazine di FareFuturo, fondazione nell’orbita di Fini. Che in un editoriale del direttore Filippo Rossi esorta il Pdl «a battere un colpo per non morire tutti leghisti». Fantastico, si sono dati di gomito Cicchitto e Gasparri, Bondi e Verdini fino a Osvaldo Napoli: ecco l’occasione per mettere le cose in chiaro pure nei confronti della Lega. Difatti si sono precipitati tutti quanti a dichiarare che non scherziamo, «l’agenda delle riforme è sempre saldamente in mano a Berlusconi, la regia appartiene al Pdl che ha fatto miracoli alle elezioni», mentre quelli di FareFuturo non si son visti, farebbero meglio a occuparsi del presente.

E’ finita con Urso che, a nome della fondazione, ha preso le distanze dal sito web. Non per placare i vertici Pdl, ma per una ragione più sottile, legata alla strategia finiana. Pare che, diversamente dal premier, il presidente della Camera abbia molto apprezzato la sortita di Maroni, specie là dove prospetta il modello semi-presidenziale alla francese (vecchio «pallino» di Fini). Dunque non c’era motivo di lamentare una sudditanza Pdl verso la Lega quando, semmai, è il Carroccio che una volta tanto aderisce alle posizioni di An, e del suo ultimo leader.

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Consiglierei....di attenersi alle proposte (quando formalizzate), piuttosto che fare ancora una volta del conservatorismo.

Vittorio
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Re: Semipresidenzialismo alla francese

Messaggioda trilogy il 07/04/2010, 16:10

ranvit ha scritto:
Il Pd punta a tagliare lo stipendio ai politici
Studio segreto in vista della diminuzione degli eletti
CARLO BERTINI
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Ma intanto, sottotraccia, in attesa di aggredire il nodo delle modifiche costituzionali, un primo tema che registra un lavorio di dirigenti e tecnici di primo piano del Pd e che mette d’accordo le varie anime del partito è quello che Bersani ha ribattezzato «una Maastricht dei costi della politica»: una proposta di riforma che punti innanzitutto a ridurre gli stipendi dei parlamentari del 20-30% in meno rispetto alle retribuzioni attuali, pari a circa 5.400 euro netti di indennità mensile, a cui si sommano 4 mila euro di diaria più 4.200 euro di spese per il rapporto con i collegi e altri rimborsi di viaggio per gli eletti che devono raggiungere la capitale.

[b]Una proposta che servirebbe anche a dare un primo segnale concreto della volontà dei «Democrats» di non sottovalutare l’insofferenza degli italiani verso il Palazzo, confermata dalla lettura dei dati sull’astensione in crescita e sul successo delle liste dei “grillini”. «Prendiamo quattro Paesi paragonabili al nostro - ha detto Bersani pochi giorni prima del voto - e vediamo stipendi dei parlamentari e tutto il resto», perché in gioco c'è «la legittimazione della politica».


Sono anni che si parla di riduzione degli stipendi dei parlamentari senza nessun risultato concreto, l'effetto novità sull'opinione pubblica sarà minimo. Una riforma innovativa sarebbe il calcolo dei rimborsi elettorali ai partiti sul numero reale dei votanti piuttosto che sul numero degli aventi diritto.
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Re: Semipresidenzialismo alla francese

Messaggioda Robyn il 07/04/2010, 19:49

Il semipresidenzialismo alla francese non mi troverebbe in disaccordo se fosse fatto bene.Elezione diretta del presidente della repubblica che ha una gamma di poteri che escludono quello legislativo.Praticamente il presidente ha gli stessi poteri del presidente italiano con qualche potere in più.Bicameralismo imperfetto e sistema elettorale a doppio turno per il presidente e uninominale a doppio turno per il parlamento con correzione proporzionale del 12%.Bisogna capire se si concilia bene con il federalismo dal momento che la Francia è uno stato unitario Ciao Robyn
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Re: Semipresidenzialismo alla francese

Messaggioda franz il 07/04/2010, 20:35

Robyn ha scritto:Il semipresidenzialismo alla francese non mi troverebbe in disaccordo se fosse fatto bene.Elezione diretta del presidente della repubblica che ha una gamma di poteri che escludono quello legislativo.Praticamente il presidente ha gli stessi poteri del presidente italiano con qualche potere in più.Bicameralismo imperfetto e sistema elettorale a doppio turno per il presidente e uninominale a doppio turno per il parlamento con correzione proporzionale del 12%.Bisogna capire se si concilia bene con il federalismo dal momento che la Francia è uno stato unitario Ciao Robyn

Esatto. Il problema è conciliare federalismo (potere distribuito nel territorio) e presidenzialismo (potere piu' accentrato in una persona). Che non sia impossibile da fare credo sia evidente e lo si evince osservando il caso USA.
Sul piano concreto della governabilità delle scelte pubbliche credo tuttavia che il federalismo valga cento ed il presidenzialismo valga solo uno.
Franz
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