franz ha scritto:chango ha scritto:indipendentemente dal genere?
i carichi del lavoro di cura della famiglia non è indipendente dal genere proprio per nulla.
ai figli piccoli o agli anziani bada la donna non certo l'uomo.
la concilizione dei tempi tra lavoro pagato e lavoro non pagato è un problema della donna.
il dover scegliere tra famiglia e lavoro/carriera è un problema della donna.
Chiaro che esiste una oggettività nel fatto che l'uomo 40'000 anni fa andasse a caccia di mammut e la donna no.
E se oggi una donna puo' guidare treni, aerei, fare l'ingengere o il ministro, rimane comuque una traccia profonda (nella cultura) di quella oggettività. Proprio perchè "oggettiva" non è con una legge che la modifichi. Fa parte di un retaggio culturale che non a affrontabile per legge.
Per esempio la differenza tra la nostra cultura e quella svedese non è ricuperabile emanando leggi sulle quote rosa e il fatto che non lo si capisca è appunto un problema di cultura.
se un'intera società è organizzata male come la riorganizzi? con le leggi.
Non mi pare un banale problema organizzativo, per cui basta emanare una norma (non si passa col rosso, si circola sulla destra, si rispettano i limiti di velocità) come se bastasse una convenzione comunemente accettata per mettere tutto a posto. Il problema non è organizzativo ma culturale. Di mentalità, di comportamenti, abitudini.
A seguire il tuo esempio imporrei un obbligo di quote per film di cultura al cinema e televisione ed avremmo un netto miglioramento del livello culturale della nazione. Imponiamo anche ad ogni italiano di leggere 12 libri all'anno (un'apposita commissione del minculpop controllerà che cio' avvenga) con un'apposita legge dello stato. Non cambierà molto ma il paese sarà migliore (tue parole). Forse hai ragione a ma fa ridere e preferisco vivere dove non ci sono quote rosa ma la quantità di donne al lavoro ed in politica è il doppio che in Italia. Ritengo che proposte del genere siano la perfetta testimonianza dell'impotenza della politica di fronte a certi fenomeni. Non sapendo come fare nel concreto ad incidere nella società e nella cultura, ci si trastulla nell'illusione delle regola impositiva e prescrittiva (che è un concetto tipicamente maschile e autoritario). In reatà poi le donne non sono interessate questo modo politico di pensare perché è alieno ad ogni impostazione femminile del mondo salvo quelle poche donne autoritarie che si comportano come maschi e quindi apprezzano il modo maschile di impostare le regole del potere.
Tra l'altro proprio nei posti in cui le donne sono piu' avanti (come la Svezia) sono contro le quote, perché le penalizzano.
Metti che ci sia una quota del 50% (che per ovvia specularità impone il minimo di donne ma anche di uomini).
Se le donne brave ad un concorso fossero l'80%, risulterebbero penalizzate, perché c'è la quota massima di donne e minima di uomini. Idem se in un determinato contesto risultasse che i migliori candidati sono all'80% uomini. Alla fine quello che conta è il merito e la parità di condizioni di partenza.
http://www.repubblica.it/esteri/2010/01 ... a-2007736/Comunque mi sento in buona compagnia, con Emma Bonino:
BONINO: QUOTE ROSA? RIDICOLELa Stampa - 15 ottobre 2005 La bocciatura alla Camera: "
Sono un provvedimento emergenziale da Afghanistan" di Antonella Rampino «E insomma, ancora con le quote rosa...». Un pò si stranisce Emma Bonino, a sentirsi chiedere di qualcosa che evidentemente considera la mitica arretratezza della politica anche femminile italiana. E non perché, ai tempi, la sua campagna «Emma for president» fosse tutta impostata sull'«uomo giusto per il Quirinale».
Ma, naturalmente, perché «il vero dramma è il ritorno al proporzionale che c'era negli anni Ottanta, la violazione delle regole, l'insulto agli elettori che con i referendum hanno scelto con chiarezza il maggioritario..». Però, Bonino, quello delle quote-rosa si è configurato come un dramma nel dramma. Lei le giudica alla stregua di liste-Panda, riserva d'apartheid femminile. Ma con la situazione che c'è in Italia, resa plasticamente evidente con il voto segreto per affossarle, e richiesto proprio dal centrosinistra, non si può considerare necessità una non-virtù? «Ancora con i provvedimenti emergenziali? Ma allora le donne sono davvero parte della politica!
Guardi, sono accettabili in Afghanistan, in Marocco. Non in Italia». Lo dice perché il trenta per cento di quote rosa nelle proposte della Cdl e della Margherita erano ben al di sotto della riserva afghana, notoriamente fissata al cinquanta per cento? «Anche. Ma il punto è che fa ridere pensare che in Italia abbiamo bisogno di quote.
Il punto, come è noto, è il potere delle donne all'interno dei partiti, per quel che riguarda la politica. E forse è anche meglio che non siano passate, visto che per metterci una pezza tutti, da Forza Italia ad An ai diesse, hanno poi assicurato che ci saranno percentuali forti di candidate. Badi bene che quando dico "nei partiti" intendo "nella società". E' per quello che le quote sono ridicole. Che vogliamo fare, tot giornailiste alla Rai, tot signorine negli enti pubblici?». Quindi, meglio che la Camera abbia bocciato... «Meglio. A me sembra che noi donne dovremmo ritenere e cercare di valere ben oltre la semplice appartenenza a un genere.
Le faccio un esempio: quando nel 1976, non per legge ma per scelta politica, tutti i capilista del partito radicale erano donne, non per legge ma per scelta politica, verificammo la ridicolaggine. Fu difficilissimo non dover ricorrere a certe signorine che non avevano requisiti politici, o di intelligenza, difetti che si riscontrano naturalmente anche tra le donne, oltre che tra gli uomini. E bisognerebbe invece chiedersi perché, a parte la Aglietta, la Francescato e me, in Italia non ci sono e non ci siano state donne segretario di partito». Dunque un'emergenza c'è. Ed è, se vuole, un'emergenza che non riguarda solo le donne, essendo legata al meccanismo di selezione delle classi dirigenti, che in Italia ancora avviene troppo spesso più per cooptazione che per merito...
«La fermo subito. Io non penso affatto che i mezzi giustifichino i fini. Piuttosto, i mezzi prefigurano i fini. E a me prefigurare una società a quote, in cui dobbiamo essere tot neri, tot gialli, tot bianchi, tot donne nere, tot donne gialle...». Questo lei lo dice per via della sua larga esperienza nelle istituzioni internazionali, dove, dall'Onu alla Commissione europea, dal Fondo Monetario alla World Bank, le quote ci sono, e da sempre. «Lì è un problema di nazionalità, ed è una regola che vige anche e soprattutto in base ai finanziamenti, nazione per nazione. Si chiameranno anche quote, ma non sono stabilite da leggi, si tratta di semplice consuetudine, legata al fatto che chi più mette, più posti vuole. Una specie di lottizzazione, che nella Ue è legata specificatamente a criteri di grandezza e contributi dei paesi. E guardi che non produce risultati particolarmente brillanti. Anzi, è spesso uno dei motivi non secondari di disfunzione e inefficienza di queste istituzioni».
E tuttavia le quote rosa in Germania e in Francia esistono, anche se certo non sono state loro a produrre nè Edith Cresson, nè Angela Merkel... «In Germania le quote ci sono, ma all'interno dei partiti. In Francia non hanno prodotto, se così possiamo dire, neanche un sindaco. Ma farle in Italia, per il Parlamento, sa cosa signilicherebbe? In un Paese come il nostro produrrebbe quote tra i direttori di giornali, di banche pubbliche, di ospedali... E poi lei parlava di cooptazione: anche le quote lo sono. Perché c'è sempre qualcuno che decide, i segretari di partito, gli editori di giornali o televisioni, di enti locali o finanziari. E loro, in un mondo in cui c'è la cooptazione e non la meritocrazia, molto semplicemente invece degli amichetti loro ci metteranno le amichette loro. Problema non risolto, insomma».