da pierodm il 22/12/2009, 12:24
Non si ha facoltà di dichiararsi nonna, se non in presenza di un'offerta votiva, a scelta: carciofi trifolati in olio della Sabina, polpettine in umido, pentolino di pasta e fagioli avanzata - nonna materna d'origine contadina - o conigliotto alla cacciatora e carciofi "alla giudìa" - nonna paterna, trasteverina.
Sì, è vero, io e Franz non stiamo litigando - anche perché per litigare bisognerebbe almeno capirsi, e invece ho la netta impressione che stiamo facendo due discorsi paralleli che non s'incontrano, e quindi nemmeno si scontrano.
Però, io francamente non so più come spiegarmi, ma ci provo ancora, perché il discorso è molto importante: non tanto quello sulla violenza come comportamento, quanto quello sul linguaggio e sulla cultura diffusa, che si riflettono per vie più o meno indirette sulla politica.
Innanzi tutto, non capisco perché in un discorso così generale si debba - o si possa - tenere fuori concettualmente la "violenza di stato": non era mia intenzione riferirmi a questa, né nel mio discorso la tenevo in speciale considerazione, ma non capisco nemmno perché la si debba tenere da una parte.
Il debole.
La notazione sul "soggetto debole" non era stata sollevata da me per differenziare in negativo - come sembra dall'argomento capzioso di Franz - ma per differenziare in senso inclusivo: anche ciò che in casi generali non sarebbe corretto definire "violenza", può essere vista e definita come tale quando un atto viene esercitato verso un soggetto debole, o sottomesso.
Ma tutto i discorso viene falsato dal fatto di non voler recepire - fosse anche solo per contestarla - la mia tesi: molti atti e molti comportamenti devono e possono essere definiti con parole diverse, che danno una rappresentazione più esatta di una certa situazione o di un certo rapporto, o di un certo sentimento.
Volendo spiegare questo concetto assumendo il punto di vista di Franz, possiamo dirlo così: quando si parla dei "tipi di violenza", dicendo che sempre di violenza si tratta, si riconosce che non ne esiste un tipo solo, e che non tutti i comportamenti sono identici. Ovvio, naturalmente.
A me sembra altrettanto ovvio, e giusto, che non solo ad ogni "tipo", ma anche ad ogni specifica corcostanza, debba corrispondere un termine diverso, più adeguato: non per una forma di raffinatezza stilistica, ma per una migliore comprensione dei fatti e del loro significato - visto che il linguaggio serve anche a questo, oltre che a comunicare all'ingrosso un "fatto" o magari la nostra posizione on-off, altrettanto all'ingrosso.
Un ulteriore elemento d'incomprensione sta nel fatto che, secondo Franz, sembra che solo la parola "violenza" abbia dignità espressiva in merito a certi comportamenti o certi fatti: ma questo non è affatto vero.
Credo anzi che usare in modo monocorde questo termine, indiscriminatamente, serva solo a confondere, e in definitiva a buttare ogni evento nel calderone dei comportamenti personali, ossia a sterilizzare ogni approfondimento e ogni significato più politico e culturale.
Ci sono, anche nell'ambito dei comportamenti personali oltre che sociali, termini e concetti altrettanto trancianti e probabilmente più espressivi per definire certi eventi.
Se vogliamo aprire un ulteriore fronte di discussione, diciamo allora una cosa.
Nel campo dell'informatica o del commercio si assiste in questi anni ad un grande proliferare di termini, ognuno dei quali destinato a rappresentare diverse sfumature o situazioni.
Nel campo, invece, dei comportamenti politici e sociali c'è una forte contrazione e semplificazione, ai limiti della rozzezza, del semplicismo.
A me questo sembra un sintomo chiaro di quale siano gl'interessi prevalenti - mentalmente, culturalmene prevalenti, intendo - ma mi sembra anche che non sia una buona cosa. Sicuramente è un fenomeno che serve a capirsi bene nel commercio e nell'informatica, e assai meno nel campo dei rapporti sociali, e diciamo pure che serve a svalutare l'importanza della comprensione dei rapporti sociali e politici, al di là del semplice sì-no.