Disa: Riprendendo il discorso di prima potremmo anche continuare con altre manifestazione ch epotrebbero "turbare" le sensibilità dei non credenti.
Continuiamo un pò l'elenco...
...Durante l'anno solare, vi sono alcune festività "imposte" durante le quali il soggetto non credente è "obbligato" a rispettarne la festività. Pensiamo al natale, alla pasqua, a S.Stefano (patrono della mia città), Epifania di Nostro Signore Gesu' Cristo. 8Dicembre Immacolata Concezione...
L'elenco, che vorrebbe essere paradossale, in effetti ricorda quali e quanti strascichi ha lasciato la millenaria egemonia ecclesiastica, sfruttando sia le vie dell'evangelizzazione - talvolta forzata - sia quelle del puro e semplice potere temporale diretto e indiretto.
In effetti si tratta di una presenza assolutamente esagerata, in rapporto all'effettivo contenuto "religioso", il quale però ha la funzione di giustificare queste pratiche e queste abitudini in quanto dotate di speciali qualità spirituali, mentre in realtà sono niente di più che rituali civici, spesso puramente formali, o convenzioni di discutibile utilità pratica.
Convenzioni, abitudini e rituali che certamente possono urtare il gusto e la sensibilità di molti, oltre che essere d'intralcio e avere un costo spropositato, o rappresentare un "marchio" assolutamente indebito su momenti della vita civile della comunità (vedi per esempio la presenza di alti prelati in alcune cerimonie pubbliche istituzionali): ma questi stessi molti, nel tempo, si sono abituati a non farci troppo caso, mostrando una forma pratica di grande tolleranza.
Ricordo tuttavia le mie reazioni, quando da piccolo assistevo a certe processioni nei paesi dell'Abruzzo o della Sabina, con le madonne portate in ostensione cariche di monili e con i cori salmodianti delle pie comari: mi sembravano manifestazioni tutt'altro che "religiose" in senso spirituale, e le associavo assai di più ai riti tribali che stavo imparando a conoscere in altri contesti.
Ne percepivo, però, non tanto i limiti, quanto il potere suggestivo, non verso di me ma verso quele pie comari, e il potere che avevano nel tenere legati quei paesi al proprio passato e ai rapporti sociali dominanti in quel passato: era una percezione confusa, com'è naturale in un ragazzino, legata soprattutto ad una questione di gusto e di estetica, che solo negli anni successivi si sarebbe chiarita sotto l'aspetto ideale e culturale.
In quegli anni quel genere di ritualità aveva l'orgoglio della normalità, e l'arroganza del diritto, quando qualcuno la metteva in discussione. Perfino io, nonostante tutto, provavo un vago timore dei miei stessi pensieri che sentivo eterodossi e "peccaminosi".
Adesso quell'arroganza - la stessa che aveva, ben più arcigna, dominato per secoli - si veste di umiltà, non ne fa più una questione di inferno e paradiso, e la mette sul piano sentimentale della "tradizione", spostando il tutto su un piano minimalista.
No. La questione non è minima, né innocente. La religione è una cosa seria, anche per chi non crede, o nel peggiore dei casi una cosa grave.
Dietro quelle processioni e quelle pie comari c'è una storia, c'è la disputa di un potere, c'è la creazione di una cultura e la formazione di una coscienza: non si può perpetuare una truffa, facendo credere che si tratti adesso di questioncelle formali, o buttarla sul polverone delle "tradizioni".
E le reazioni della Chiesa la dicono lunga su questa pretesa d'innocenza della quale si rivestono le antiche arroganze, così come avviene per le scuole confessionali, che sono promosse sotto la specie della "libertà d'insegnamento" quando il concetto stesso di confessionalità è la negazione della libertà, e certamente lo è stato quando la confessione cattolica ha avuto in mano le leve del potere senza limitazioni.